Commento al Vangelo di domenica 30 Maggio 2021 – p. Alessandro Cortesi op

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p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

“Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore Dio è lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro”.

Il ‘lassù’, le altezze dei cieli, e il ‘quaggiù’, la terra, non sono luoghi abbandonati e vuoti ma sono abitati. Israele ha scoperto e incontrato la presenza di Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra come vivente, in ascolto, colui che dona liberazione e salvezza. Egli è lassù, altro da ogni cosa, e nel medesimo tempo è fonte di ogni vita, Dio nella creazione, coinvolto nella vita del popolo a cui rivolge la sua parola e la sua alleanza: “Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra … si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?”

Non è facile stare in ascolto di Dio, non si può mai pretendere di trattenerlo o rinchiuderlo in un possesso umano. L’intero Primo testamento è narrazione della storia di un’esperienza di incontro, non tanto di ricerca umana di Dio, ma del venire di Dio in cerca dell’uomo. Il Dio lontano e vicino chiama e dona se stesso per una convocazione con orizzonti universali.

Gesù è presentato dai vangeli come testimone dell’Abbà, il Padre, a lui orientato in tutta la sua vita. Ha vissuto come chi si affida senza riserve, e i vangeli ne rivelano il profilo rivolto all’Abbà soprattutto nei momenti decisivi e drammatici della sua esistenza: nella quotidianità e nella prova, nei giorni di scelte importanti, fin nell’orto degli ulivi (Mc 14,36). C’è un’intimità unica che emerge dai racconti dei vangeli. Nella preghiera in particolare Gesù si affida al Dio Abbà e così il grido sulla croce “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato” (cfr. Sal 22) e le parole di affidamento ‘nelle tue mani padre affido il mio spirito’ manifestano un rapporto unico.

Dopo la sua morte e risurrezione Gesù è riconosciuto e indicato come il Figlio mandato dal Padre. In lui chi lo segue può vivere la scoperta di essere figlio del Padre e fratello suo. E’ l’esperienza della prima comunità dopo la pasqua, quando Gesù dona ai suoi di vivere la gioia di una sua presenza nuova nello Spirito. Paolo esprime tale consapevolezza quando scrive: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno Spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno Spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo Abbà, Padre. Lo Spirito stesso attesta al nostro Spirito che siamo figli di Dio”.

Nello Spirito, lasciando spazio a lui, il grande suggeritore, colui che ricorderà tutto quello che Gesù ha detto (cfr. Gv 14,26) colui che consola (Gv 14,15), possiamo scoprirci innestati nella vita dell’Abbà, dono di amore e di comunione: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre… in quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (cfr. Gv 14,20).

Alessandro Cortesi op

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