Il commento al Vangelo di domenica 30 Agosto 2020 – Anno A, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.
Dietro di me
Ce la faremo?
Riusciremo, davvero, a venirne fuori? L’estate sta finendo e i segni della ripresa dell’epidemia, purtroppo, ci sono. Non siamo in una bolla: attorno a noi, in molti paesi europei, già si parla di chiusure delle attività. L’idea stessa di un nuovo lockdown ci sprofonda tutti nell’ansia e allontaniamo il pensiero con spavento.
Ce la faremo?
Ricevo decine di messaggi da parte di preti, di religiosi e religiose, di laici innamorati del Vangelo che mi raccontano di comunità stordite, confuse, di incertezze che si assommano alle difficoltà nel riprendere una vita pastorale “normale”.
Ce la faremo?
A non lasciarci prendere dalla paura, a lavorare, a coltivare relazioni ed affetti, a dare senso profondo alla nostra vita, a non lasciar dilagare in noi e attorno a noi l’ombra oscura della violenza, della critica, del vittimismo, per immaginare un “me” diverso, una vita più autentica ed essenziale?
Sì, forse sì.
Continuo a pensare che il tempo che stiamo vivendo, a saperlo leggere, è tempo di grazia, non di disgrazia, in cui Dio fa nuove tutte le cose, in cui possiamo, infine, diventare discepoli.
Chiedetelo a Pietro.
Dietro di me, Satana!
Gesù è il Messia, evviva. Molto diverso da quello che si aspettava, d’accordo.
Ma Pietro ha osato ed è riuscito a dire l’inimmaginabile. Dio non è mai come ce lo aspetteremmo. Gesù non è un Messia muscoloso e battagliero, un condottiero che attira consensi e plausi.
Sia.
Gesù, però, adesso esagera.
Parla di sacrificio, di prove, di incomprensione, di sofferenza. Di morte. Della sua morte.
Non serve essere Figlio di Dio per capirlo: tira una bruttissima aria intorno a lui.
I discepoli sono scossi. Ora sanno chiaramente che Gesù è il Messia.
E il Messia non deve morire, secondo loro. Se è l’inviato di Dio non può che vincere, che trionfare, che appianare e risolvere. Teneri.
Pietro prende da parte Gesù (!) e lo invita, è appena diventato Papa!, a non scoraggiare il morale delle truppe. Fa come noi, Pietro, insegna a Dio a fare Dio. Gli suggerisce in che direzione andare.
Dio non voglia!…
No Pietro, Dio non vuole. I nemici vorranno, Dio no. Dio non vuole il male, mai. Ma il male rivela il bene, l’ombra evidenzia la luce. Il chicco di grano deve morire per portare frutto.
E come con la cananea, Gesù tira fuori un bel caratterino.
Stai ragionando come Satana, Simone, convertiti. Torna dietro di me. Torna ad essere discepolo!
Quando
Quando vogliamo indicare a Dio che direzione prendere, quando pensiamo che la sofferenza sia eccessiva, quando vorremmo fare qualche correzione all’agire divino, quando, anche se devoti, santi, pii, preti, vescovi, martiri, ragioniamo secondo gli uomini, quando non siamo discepoli, ma ci crediamo Maestri di Dio, quando, ingenuamente, assumiamo la logica di questo mondo, come ci ha ricordato san Paolo, Gesù non ha paura e ci richiama all’essenziale, anche con fermezza.
Ci invita a conversione. A passare dietro di lui.
Non ama la croce Gesù e ne farebbe volentieri a meno. E non vuole morire.
No, Dio non vuole, Pietro.
Ciò che vuole Gesù è manifestare il vero volto di Dio e per farlo è disposto a subire tutto ciò che ha detto, come accadrà.
Scegli tu Pietro, da che parte stare.
Dalla parte della croce, donando la vita, morendo pur di non rinnegare il vero volto di Dio, “perdendo”, cioè donando la vita per ritrovarla. O dalla parte del mondo. Che pensa solo a sé, che usa gli altri, che contratta, contrabbanda, cambia idea, giudica senza esporsi, non paga mai.
Scegli, Pietro.
Scegli, amico lettore. Scegli, sorella nella fede.
Croci
Questa è la croce, non altro. Non sofferenza, né prova divina, né alcuna delle assurde idiozie che abbiamo costruito intorno a questo invito.
Quante volte abbiamo stravolto questo brano e offeso Dio facendogli dire l’esatto contrario di quello che voleva dire. Dio non ama la croce, perché dovrebbe chiederci di amarla?
Dio non manda le croci, gli altri le mandano, noi stessi le costruiamo per sentirci devoti.
La sofferenza va evitata, ove possibile. Ma amare, a volte, porta a donarsi fino alla morte, fino allo svuotamento di sé, fino al rendere sacro un gesto, il sacrum facere, il sacrificio.
Che non significa sopportare un marito violento e farmi da parte davanti all’arrogante o diventare uno zerbino. Dio non apprezza tale atteggiamento!
Significa entrare nella logica del dono, logica che Gesù assume. Fino a morirne.
Siamo davvero disposti a osare tanto?
Sì però
Gesù è onesto.
Con Pietro e con noi. Possiamo scegliere.
Perché possiamo guadagnare il mondo intero senza per questo diventare felici. Anzi, perdendo l’essenziale. E non è forse all’essenziale che questo tempo di prova ci sta riportando? Non è forse ad una profonda e radicale conversione personale e delle nostre comunità che questo tempo ci sta spingendo?
Possiamo passare il tempo a lamentarci, o a far finta che, in fondo, non sia cambiato molto.
Accontentarci di essere discepoli urlanti e mascherati.
Oppure.
Oppure tornare al fuoco.
Al tormento di un amore impossibile. L’amore di Dio per me. L’amore mio per Dio.
Come un terremoto che schianta gli edifici fragili, così la pandemia ha messo in evidenza la fragilità del nostro annuncio, la pigrizia del nostro cristianesimo abitudinario e poco affascinante (e credibile).
Eppure questo tempo ci può dare una scossa. Farci riscoprire, come sperimenta Geremia, profeta sfortunato ed inascoltato, percepito come un eretico alla corte del debole re di Gerusalemme, che quando parla di Dio parla di un incendio.
Di un fuoco divorante che penetra nelle ossa e consuma.
Di un amore dolcissimo e straziante.
Da qui possiamo ripartire.
Da qui voglio ripartire. Tornando ad essere discepolo.
Costi quel che costi.