Commento al Vangelo di domenica 3 Maggio 2020 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 3 maggio 2020 – Anno A, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.

Pastori, guardiani e cani

È risorto, il Signore.

Inutile cercarlo fra i morti, inutile imbalsamarlo, inutile seppellire Dio.

È risorto, anche in mezzo ad una pandemia che c ha messi all’angolo, che ha ribaltato le nostre convinzioni, che ha sbriciolato la nostra presenza cristiana costringendoci ad un prolungato digiuno eucaristico.

È una lunga festa di pietre rotolate, la Pasqua, un evento di massi ribaltati, di definitività rimesse in discussione, di canti funebri interrotti.

Una luce che irrompe potente nelle nostre tenebre, una Parola che ci scuote mentre, tristi, ci lamentiamo dell’assenza di Dio, come i discepoli di Emmaus.

Ma, lo viviamo sulla nostra pelle, ci vuole del tempo per convertirsi alla gioia.

E percorsi interiori, strade dell’anime tracciate dallo Spirito per potersi finalmente arrendere all’evidenza. Che passano anche attraverso una quarantena forzata e gravida.

È qui, il risorto. Raggiunge Tommaso. E i discepoli di Emmaus. E noi.

Egli vuole che nessuno vada perduto. Cerca ad una ad una le pecore smarrite.

Smarrite per il troppo soffrire. Per gli scandali suscitati da uomini di Chiesa. Per la nostra stupida inclinazione all’autocommiserazione. Per la paura di morire.

Viene, conosce per nome ciascuno di noi.

E non è come il pastore compassionevole di Luca, che si sfinisce finché non ha ritrovato la pecora perduta. È muscoloso e determinato, il pastore di Giovanni.

Pronto a fare a pugni pur di difendere le sue pecore. Pronto a dare la sua vita.

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Entra dalla porta

Entra dalla porta della nostra anima il pastore. Sa come entrare, abita la nostra interiorità, la sua forza è nell’amore verso Dio e gli uomini e la conoscenza che ha delle cose di Dio.

Altri si mascherano, ingannano, sono dei mercenari. Ma solo a lui, al pastore, stiamo a cuore.

Quanto è vero!

Ancora oggi molti si occupano di noi solo per interesse. Per vendere soluzioni al nostro disagio, per proporci soluzioni improbabili, per manipolarci e ottenere consenso. Per impaurirci e controllarci.

A chi sto davvero a cuore? A chi sta a cuore la mia felicità, sul serio, in maniera disinteressata, solo per amore? I mercenari fingono di occuparsi di noi ma, in realtà, si occupano solo del loro interesse.

Intendiamoci: nessuno può agire al posto nostro, nessuno può occuparsi di noi meglio di noi stessi.

Siamo noi i capitani della barca su cui viviamo.

Siamo noi i costruttori del nostro destino.

Ma altro è farlo seguendo un Maestro: il Signore.

Altro improvvisandosi per ciò che non si è.

Gesù Risorto che proclamiamo Figlio di Dio, rivelatore del Padre, è l’unico che sa dove condurci, l’unico che ci conosce più di quanto noi stessi ci conosciamo.

Ci spinge fuori

È la voce che ci permette di riconoscere il pastore.

È la Parola che vibra possente e vera in noi che ci permette di distinguere il vero pastore dai mercenari. Quella Parola che ci scuote, ci scruta, ci incendia, ci scompone, ci innalza, ci rianima, ci svela, ci riempie. Quella Parola che meditiamo, amiamo, celebriamo.

Se la frequentiamo, se la amiamo, non possiamo sbagliare: è quella la Parola, l’unica, che ci aiuta a riconoscere il vero Pastore.

Ci chiama per nome, per rassicurarci.

Poi ci caccia, ci spinge fuori.

Fuori dall’ovile, fuori dalle certezze, fuori dalle piccole isole in cui ci siamo nascosti.

Fuori dalle sacrestie, fuori dalla curia, fuori dal nostro piccolo mondo auto-referenziale.

Ma anche fuori dalle nostre certezze incrollabili, dai nostri cammini spirituali definiti e statici, inossidabili e puri. Fuori dalle visioni piccine. Fuori.

Fuori dalle nostre comunità per ricordarci che la Chiesa del cuore di Dio abita prima nelle case.

Fuori dai nostri programmi pastorali per ricordarci l’essenziale.

Fuori dalle nostre piccole certezze di fede messe a dura prova dalla paura di morire.

Fuori, in cammino, si riparte.

La porta delle pecore

Al tempo di Gesù le pecore venivano radunate durante la notte e chiuse in un basso recinto fatto di pietre accatastate. A volte, ad aumentare un po’ la sicurezza, di aggiungeva una fila di rovi spinosi, in modo da impedire ai ladri e ai lupi di accedere e di fare scempio del gregge.

Il recinto, normalmente, sorgeva nei pressi del villaggio e radunava le pecore di numerosi proprietari. A turno, poi, questi si alternavano per la veglia della notte: si ponevano nell’unica apertura del recinto di pietre e, seduti, si appoggiavano con la schiena ad uno stupite e con le gambe rannicchiate chiudevano il passaggio: diventavano loro stessi la “porta” del recinto.

Impedivano così ai malintenzionati di avvicinarsi.

Sul fare del mattino, quando arrivavano i singoli proprietari, bastava una voce per svegliare le proprie pecore che, a questo punto, venivano lasciate passare per andare a pascolare.

Gesù è quel pastore che passa la notte a vegliare, accovacciato all’apertura del recinto di pietre, diventando egli stesso la porta che lascia passare solo chi ha a che fare con le pecore e tiene lontano i nemici, i briganti, i ladri.

Fino a quando è lui a vegliare, fino a quando è lui il custode della porta del nostro cuore no, non abbiamo nulla da temere.

Pastori e guardiani

È lui il Pastore. L’unico buono, l’unico bello, come abbiamo cantato nel Salmo.

E cerca guardiani e cani. Anime innamorate che lo aiutino a condurre, lasciandosi condurre.

Così siate, fratelli preti, così diventate, fratelli vescovi.

Guardiani e cani che saltano festanti intorno all’unico Pastore.

Guardiani e cani che odorano di pecora.

Guardiani e cani che si inventano l’impossibile, in questi tempi, per esserci.

Che poi siate fragili, incoerenti, a volte burberi, poco importa.

Siate, però, innamorati.

Per farci innamorare.


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