L’immagine del pastore è una figura di relazione: la sua esistenza è legata al gregge in una condivisione di destino. Nella memoria di Israele la stessa origine del popolo affondava le sue radici nell’esperienza di tribù nomadi di pastori: nella sua più antica tradizione la pasqua stessa, centro della spiritualità di Israele, era festa che inaugurava lo spostamento di pastori e greggi all’inizio della primavera nella ricerca di nuovi pascoli. Così nei Salmi Dio stesso è invocato come pastore: ‘Il Signore è il mio pastore… mi rinfranca mi guida per il giusto cammino’ (Sal 23,1.3). Ed anche i profeti parlano dello sguardo di Dio come quello di un pastore che si prende cura, e nel contempo rivolgono una critica radicale ai capi religiosi del popolo che si approfittano del gregge e cercano solo il proprio potere. “Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.” (Ez 34,11-13) L’autentico pastore di Israele è Dio stesso: va alla ricerca della pecora perduta e riconduce all’ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura quella malata (cfr. Ez 34,16).
Gesù nel IV vangelo presenta se stesso come pastore e richiama la contrapposizione tra chi ha cura del gregge e i pastori mercenari che sfruttano il gregge come ladri e briganti. Il vero pastore è riconosciuto nella sua voce dalle pecore. La grande immagine del pastore e delle pecore rinvia così al rapporto personale di ognuno nel popolo di Dio con Gesù stesso che conosce per nome tutte e tutti coloro che il Padre gli ha dato. L’immagine richiama così alla profondità unica di questa relazione. Gesù chiama i suoi ‘piccolo gregge’ (Mt 25,31-32) e tuttavia la sua missione sta nell’aprire percorsi nuovi per far uscire da chiusure e orizzonti limitati, per scorgere accoglienza e apertura ad altri, fuori e oltre confini e ovili, secondo l’orizzonte di una comunione che si allarga: un solo gregge e un solo pastore.
Gesù presenta se stesso anche come porta delle pecore. La porta è il luogo di passaggio, di attraversamento per entrare e uscire. Sottostà forse un riferimento alla ‘porta delle pecore’ nel tempio di Gerusalemme, un passaggio per entrare nel tempio. Gesù testimonia di essere lui stesso luogo di passaggio, per un incontro con Dio che si attua nel suo corpo: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere… egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,19-22). E’ Gesù il nuovo tempio non fatto da mani d’uomo (cfr. Mc 14,58). Dà la vita per le sue pecore, ha cura per ognuna, soprattutto per le più deboli e stanche e guarda anche quelle che non sono di quest’ovile: “E ho altre pecore che non sono di quest’ovile…” (Gv 10,16).
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia. Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.