Se pensiamo che la vita eterna perpetuerà le situazioni di valore e di forza di questo mondo, ci troveremmo totalmente spiazzati: tutto verrà rovesciato. Gesù ce lo rivela attraverso una parabola davvero dura e scomodante: ma è la realtà che è tale!
Gesù presenta la scena di un’assurda contiguità fra due situazioni umane perfettamente contrapposte. Un uomo molto potente e ricco: vestiva solo cose preziosissime e rare, e faceva ogni giorno un banchetto come se fosse a nozze. Per lui non esisteva la ferialità dell’impegno e della fatica che caratterizza la vita di tutti gli uomini: era sempre ricca festa, con tutte le sue esagerazioni e sprechi. Da notare che di questo uomo non si dice il nome: è «ricco». La sua identità è data (o rubata) dalle sue ricchezze: essere ricchi non significa essere più uomini, all’opposto, è essere personalmente ridotti ad esse. Non si vede l’uomo, ma i suoi beni.
E proprio alla porta del ricco «giaceva, era gettato» (letteralmente) un povero. Di lui, invece, si dice subito il nome: Lazzaro. Ha un’identità e un gran valore per Dio, per il suo essere povero. Gli sarebbe bastato solo qualche piccolo avanzo della super tavola del ricco, ma il racconto fa capire che non gli davano nulla, tanto che «erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe»: causa di ulteriore sofferenza e degrado. Uno accanto all’altro: colui che non poneva limiti all’esagerazione della sua ostentata ricchezza e colui che non era trattato neppure come una bestia. Il primo non si curava assolutamente dell’altro! Sarebbe bastato un nulla: qualche briciola. Per tutto ciò che il ricco aveva e spendeva, era più difficile evitare di lasciare qualcosa al povero che concederglielo. Non si tratta, quindi, solo di una chiusura di cuore: ma è la voluta e ostentata discriminazione dell’altro. Negandogli addirittura l’essere povero, e quindi un uomo.
Ma questo quadro della parabola di Gesù non descrive forse la realtà del mondo in cui viviamo?! Alcune società del nostro mondo si sono accaparrate tutti i beni e le risorse, e vi costruiscono il loro benessere senza pensare alle altre regioni e al futuro. Anzi, se ne sono fatte padrone, e rifiutano la condivisione anche solo delle briciole. L’egoismo e l’ignoranza sono le armi per ottenebrare le menti e i cuori, tanto da voler costringere il povero Lazzaro ad allontanarsi dalla porta della vita presso la quale è gettato.
Se in questa prima parte Gesù denuncia la situazione di iniquità e di violenza provocata dal potere e dal denaro, nella seconda parte della parabola, Egli annuncia il completo rovesciamento che avverrà nella vita dopo la morte, cioè in Dio.
Il ricco si ritrova nei tormenti degli inferi, mentre Lazzaro vive beato fra le braccia di Abramo. Non è la descrizione di come sarà il paradiso e l’inferno: è la rivelazione di ciò che Dio accoglie e ciò che, invece, disapprova. Abramo dice al ricco, che pretendeva che Lazzaro gli portasse quel minimo di sollievo che lui gli aveva negato per tutta la vita: «Ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i mali («suoi» non c’è nel testo letterale: i mali non sono mai qualcosa che spetta all’uomo); ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei mezzo ai tormenti». Non è la rivalsa o la vendetta di Dio. Piuttosto ci dice che quello che siamo e abbiamo ha senso solo se ce ne serviamo per far paradiso già qui sulla terra: attraverso la condivisione e la cura verso gli altri. Se alla fine, cioè in Dio, resterà solo l’amore, cosa rimarrà di chi, pur vivendo di esagerazione e di sprechi, non ha voluto condividere nemmeno le briciole con il povero Lazzaro?!
Qualcuno potrebbe obiettare che esiste una ignoranza incolpevole: cioè si sostiene che, d’accordo, il ricco poteva dare almeno le briciole, ma forse non aveva ben consapevolezza della disapprovazione di Dio … Questa difesa del ricco egoista nasconde la convinzione che ci sia un po’ di ideologia nella condanna delle ricchezze, con una forzatura “comunistica” della fede. La risposta di Abramo è lapidaria: «Hanno Mosé e i Profeti; ascoltino loro». E ancora: «Se non ascoltano Mosé e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». Per Gesù non ci sono scuse: la coscienza di fede è data dall’ascolto della parola di Dio. Chi la legge veramente e la mette in pratica non può rifiutarsi al povero, non può mostrargli la violenta esibizione della sua ricchezza goduta e non condivisa, nemmeno nelle briciole. Non si può brandire il Vangelo: si deve ascoltare e imparare da esso ad aprire la porta e la mano. Se no, la disapprovazione del Signore bussa alle nostre porte. Il credente non lancia condanne in nome di Dio, ma denuncia un mondo ricco che rifiuta il povero, perché, in Dio, le cose saranno completamente rovesciate.
A cura di Alberto Vianello – Monastero di Marango