Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.
Inizia un nuovo anno liturgico, un tempo nuovo, nel segno dell’attesa di una venuta. Il Dio di Israele e il Dio di Gesù è presenza che viene incontro. Il primo movimento della fede parte dal Dio che sta in ricerca dell’uomo. E’ Lui per primo che rivolge la sua parola e invita ad incontrarlo. L’avvento richiama ad una promessa e ad un’attesa. C’è un disegno di Dio sulla storia che è disegno di bene. “realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda”. Questa promessa di bene trova concretizzazione in una presenza: “in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra”.
Geremia vede lo sbocciare di un germoglio dall’albero della famiglia di Davide, il re della pace. Il germoglio porterà un tempo nuovo segnato non solo dall’assenza di guerra ma da una condizione di benessere globale che viene indicato come pace. E’ un tempo che vedrà l’intervento di una figura portatrice di giustizia, un messia. Nel linguaggio biblico giustizia è sinonimo di fedeltà. Dio è giusto perché fedele alla sua promessa di vicinanza e di cura. Il Dio fedele viene a prendere la difesa di chi non ha altri sostegni, di chi è lasciato escluso e dimenticato.
“Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia”. Gerusalemme reca in sé la promessa di essere luogo in cui si compie la fedeltà di Dio e l’orizzonte che reca nel suo nome, città della pace, è legato al venire di Dio che compie la sua fedeltà di amore.
“il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi”. La preghiera dell’autore della prima lettera di Giovanni è un’invocazione a crescere e sovrabbondare nell’amore.
L’indicazione della venuta di Cristo sta al cuore della fede delle prime comunità cristiane. Nella sua prima lettera Giovanni parla di una crescita da coltivare nella vita: un amore interno alla comunità dei discepoli e aperto a tutti. Il cammino dei cristiani si pone nella attesa della venuta del Signore. Non è un tempo vuoto ma luogo di un crescere e sovrabbondare nell’amore. La santità è accoglienza del dono di Dio e del suo amore che si è manifestato e donato in Cristo e si esprime in un agire che rifletta le scelte di Gesù. L’orizzonte finale è quello di una comunione con Gesù e con tutti coloro che hanno vissuto l’amore come lui ha indicato.
Luca nel cap. 21 del suo vangelo riprende elementi dello stile apocalittico, un genere letterario per noi difficile da comprendere ricco di simbolismi. Le immagini molto forti intendono indicare l’intervento di Dio che si comunica nella nostra storia (apocalisse significa infatti rivelazione): “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso…”. ‘Quel giorno’ è inteso il ‘giorno del Signore’, giorno del venire di Dio, momento ultimo della storia. L’invito diviene allora: “Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. Il discepolo è presentato come persona del giorno, non prigioniero della notte e del buio. L’invito è a stare in piedi, con attenzione vivendo il presente in modo attivo, con impegno. Sin da ora è iniziato l’Ultimo: nell’oggi si realizza la visita di Dio. Nel presente viviamo l’attesa di Qualcuno che viene.
Alessandro Cortesi op