Commento al Vangelo di domenica 28 Marzo 2021 – p. Alessandro Cortesi op

p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

La liturgia di oggi fa entrare con duplicità di accenti nel mistero della Pasqua, mistero di morte e di vita, di passione e di risurrezione, di sofferenza e di gloria.

Marco presenta Gesù nella passione facendo emergere il segreto della sua identità: aveva iniziato il suo scritto con le parole “Principio del vangelo di Gesù Cristo figlio di Dio”. L’intero vangelo, è la bella notizia di Gesù il suo annuncio del regno ma è anche la bella notizia che è Gesù stesso, il messia atteso (‘figlio di Dio’ è titolo del re messia per es. nel Salmo 2,7). Eppure quando qualcuno esprimeva l’identità di Gesù veniva subito messo a tacere: è imposto il silenzio ai demoni (1,24; 3,11), ma gli apostoli sono invitati a tacere (9,7.9). Marco è consapevole della facilità di costruire un’immagine falsata di Gesù, basata sulle attese di affermazione e pensieri umani e non lasciandosi cambiare da quanto Gesù proponeva con la sua vita.  Al centro dell’intero racconto della passione sta la presentazione del volto di Gesù.

Marco presenta Gesù nel suo patire paura e angoscia, in preda allo sfinimento ed alla debolezza. E’ descritto sempre più solo fino al punto che anche i suoi più vicini, coloro che aveva raccolto con sé, gli apostoli, lo lasciarono “Tutti allora abbandonatolo, fuggirono”.

Marco fissa il momento drammatico della preghiera di Gesù nell’orto degli ulivi: “Abbà Padre, allontana da me questo calice”. Così ancora sottolinea il suo silenzio di fronte al sommo sacerdote: “Non rispondi nulla?… Ma egli taceva e non rispondeva nulla”, così anche di fronte a Pilato: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano! Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito”.

Secondo il modo di pensare umano la potenza e la violenza di ogni potere hanno ragione; in modo paradossale Gesù inerme davanti al sommo sacerdote afferma la sua pretesa di essere lui il Figlio dell’uomo, figura del giudice degli ultimi tempi (cfr. Dan 7), colui che giudicherà il mondo e la storia.

Gesù è presentato anche nella sua incapacità a portare il legno della croce (patibulum) che veniva poi agganciato al palo piantato sulla terra. Veniva caricato sulle spalle ai condannati tanto che un certo Simone di Cirene fu costretto a portarlo. Ed ancora sono riportate ripetutamente i gesti di disprezzo, di beffe e di sfida contro di lui fin sotto la croce: dicevano “ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo”.

Gesù è messia che si fa scorgere come tale solo sulla croce: non scende dalla croce. Dalla croce., luogo della tortura, patibolo infamante, si rivolge al Padre con le parole iniziali del salmo 22,2: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. E’ una preghiera  drammatica che descrive la solitudine e l’abbandono del giusto sofferente che dopo aver gridato a Dio si affida e conferma il suo affidarsi a Dio, che esaudisce il grido del perseguitato e non gli nasconde il suo volto.

Gesù, dice Marco in questa presentazione, è messia che prende su di sé la debolezza e vive il suo essere messia come dono di sé fino alla fine.

Marco propone anche il volto del discepolo che s’identifica con il centurione pagano, che lì sotto la croce dice: ‘Davvero quest’uomo era Figlio di Dio’. Il credere sorge non in rapporto a gesti prodigiosi o ad opere di potenza ma sotto la croce, scorgendo in Gesù il volto del servo che si è fatto uomo per gli altri.

Nel momento della sua morte  ‘il velo del tempio si squarciò in due dall’alto in basso’: viene ripresa la polemica che attraversa tutta la narrazione della passione. Si tratta di una simbolica apertura e distruzione del tempio. Di fronte al sommo sacerdote il discorso si era appuntato sul ‘tempio fatto da mani d’uomo’ e sul ‘tempio non fatto da mani d’uomo’: Marco presenta il Cristo, nel momento della morte, come nuovo tempio, luogo vivente dell’incontro con Dio che si realizza eliminando ogni barriera tra Dio e l’umanità. La morte di Gesù è inizio di una vita nuova.

Quel giovinetto che l’aveva seguito vestito solo di un lenzuolo perché voleva vedere le vicende della passione ed era fuggito via nudo, è rinvio e anticipo già di quel giovinetto seduto sulla destra del sepolcro, vestito d’una veste bianca che annuncia: ‘E’ risorto non è qui… vi precede in Galilea…là lo vedrete…’.

Il ragazzo e la fuga

“Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo” (Mc 14,50-52). C’è un particolare nel racconto di Marco della passione che attira per i tratti di originalità e per i richiami che evoca. Infatti ad accenni che compaiono in questo momento inizio della passione di Gesù corrispondono riferimenti che ritornano al momento della conclusione della vicenda tragica della morte di Gesù: nel Getsemani un giovinetto, vestito solamente con un lenzuolo, fugge via dopo essere stato preso da coloro che erano venuti per arrestare Gesù ma riesce a fuggire lasciando cadere il lenzuolo e fuggendo via nudo.

La narrazione è ricca di evocazioni e di simboli: forse è l’indicazione di un discepolo di Gesù che non riesce a rimanere con lui anche nel momento della passione e vive il fallimento di rimanere nudo e di fuggire via (come tutti lo hanno abbandonato). Ma questa figura è anche un’anticipazione di qualcosa che nella narrazione viene a seguire. Infatti il riferimento al lenzuolo ritorna alla fine del racconto e lo stesso vangelo si conclude con il riferimento ad un giovinetto. Il termine ‘giovinetto’ (neaniskos) infatti ritorna nel vangelo d Marco solo qui (Mc 14,50) e alla conclusione del vangelo (15,6).

Ma anche il riferimento al lenzuolo (sindon), che può essere un lenzuolo, un panno o un vestito leggero da tenere avvolto ritorna proprio in queste pagine. “Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’ingresso del sepolcro” (Mc 15,44-46)

Pilato concede la salma di Gesù a Giuseppe e si ripete a questo momento per due volte il riferimento ad un lenzuolo, comprato appositamente da questo personaggio che Marco nel suo vangelo indica come ‘membro autorevole del sinedrio che aspettava il regno di Dio’. Di lui nel vangelo di Luca si dice che era ‘buono e giusto’ (Lc 23,50-51) che non aveva aderito alle decisioni del sinedrio contro Gesù e all’operato degli altri. Egli depose Gesù in un sepolcro in cui nessuno era stato ancora sepolto. Il IV vangelo lo indica come discepolo di Gesù che si reca al momento della sepoltura ‘di nascosto’ (Gv 19,38). Anche il vangelo di Matteo si sofferma sulla figura di Giuseppe, dicendo che “era diventato discepolo di Gesù… si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. … prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia…” (Mt 27,57-60).

Quindi il lenzuolo è un elemento importante nel momento in cui il corpo di Gesù viene accolto e curato, dopo la morte, per interessamento di questo discepolo particolare, Giuseppe d’Arimatea che sta vicino a Gesù nel momento della sua morte mentre i suoi discepoli lo avevano abbandonato. Marco sottolinea che non era solo: “Maria di Magdala e Maria madre di Joses stavano a osservare dove veniva posto” (Mc 15,47).

Ma è interessante notare come proprio le ultime righe del vangelo al mattino presto nel primo giorno della settimana quando le donne Maria di Magdala Maria madre di Joses e Salome vennero al sepolcro al levare del sole  e si domandavano ‘Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?’ ricompare una figura di giovinetto: “Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto alla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: ‘Non abbiate paura! Voi cercate Gesù il crocifisso. E’ risorto, non è qui… ma andate dite ai suoi discepoli e a Pietro: Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto. Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore…” (Mc 16,1-8).

Un giovane è seduto alla destra del sepolcro ‘avvolto’ con una veste bianca, così come era stato indicato ‘avvolto’ da un lenzuolo il giovane dell’orto del Getsemani. Ora la veste è indicata come bianca, simbolo di luce e splendore della vita che non è chiusa nelle angustie della morte. Le donne fuggirono piene di paura e stupore per l’annuncio ricevuto e questa fuga rinvia al fuggire del giovane dell’orto del Getsemani.

Tutti questi elementi sono piccoli segnali della abilità di Marco come narratore: lungo il racconto della passione di Gesù sa infatti lasciare qua e là elementi che offrono le chiavi per scorgere il significato di quanto sta accadendo e che aprono interrogativi e domande su quanto sta raccontando leggendo il percorso alla luce della fine e del compimento: il cammino di Gesù apre infatti per Marco il cammino dei suoi discepoli e discepole.

Quel giovane dell’orto è forse indicazione del discepolo che fallisce nella sua pretesa di stare con Gesù con le sue forze e fugge? E solo accogliendo il dono della sua vita sotto la croce può trovare la via per seguirlo? Oppure è simbolo del discepolo che nasce di nuovo nello spogliarsi del vestito vecchio e nel rivestirsi della veste bianca del battesimo, partecipazione alla vita del risorto? Oppure può essere rinvio al giovane avvolto in veste luminosa presenza di messaggero e testimone che annuncia alle donne che Gesù non è rimasto chiuso nel luogo della morte, ma precede i suoi in Galilea?

E’ forse invito a leggere l’intera passione di Gesù – tutti i singoli momenti – quale testimonianza della fedeltà sino alla fine alla sua missione, all’annuncio del regno aprendo un orizzonte di vita che va oltre ogni violenza e malvagità? E quindi invito a scorgere nel presente di difficoltà e ingiustizie il luogo in cui stare resistendo con la nonviolenza dell’amore ponendo fisso lo sguardo su Gesù? E la sua fuga impaurita è forse da accostare alla fuga delle donne che nella loro paura si fanno testimoni silenziose della risurrezione ed aprono ad altri cammini di testimonianza?

Sono domande aperte che Marco suggerisce a chi legge: rimanendo coinvolti nella fuga delle donne si è inevitabilmente toccati dalla provocazione ad entrare in questo incontro che è la vita di Gesù che sempre e ancora precede nella Galilea delle nostre esistenze.

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