Io sono con voi tutti i giorni
Festa dell’ascensione di Gesù al cielo. A prima vista, è una di quelle celebrazioni che si capiscono subito, che non richiedono tante spiegazioni: quaranta giorni dopo essere risorto dai morti, Gesù ha concluso la sua presenza terrena salendo al cielo, sotto gli occhi degli undici apostoli. E invece, indagando un po’, il fatto riserva qualche sorpresa, cominciando dal protagonista. Il Gesù che gli undici vedono salire non è esattamente lo stesso con il quale avevano condiviso tre anni della loro vita, camminando, mangiando, dormendo con lui. Dopo la risurrezione egli non stava più sempre con loro; si è fatto vedere e toccare varie volte, con loro ha mangiato e parlato, ma arrivando d’improvviso e poco dopo andandosene: dove? Non certo in un rifugio segreto; la sede naturale del Risorto era “alla destra del Padre”; come ha detto la mattina di Pasqua alla Maddalena (“Non trattenermi, non sono ancora salito al Padre mio”).
In altre parole, e per dirlo con le nostre povere parole, il giorno stesso della risurrezione egli è andato ad occupare il suo posto definitivo, dove Dio l’ha collocato in segno di approvazione dell’opera da lui compiuta. Le successive manifestazioni avevano lo scopo di rendere certi gli apostoli della sua risurrezione, dopo di che si è fatto vedere a salire al cielo, dove convenzionalmente gli uomini collocano Dio, per renderli consapevoli che da quel momento non l’avrebbero visto più.
Dunque l’Ascensione, cioè il ritorno di Gesù al Padre, è avvenuta subito dopo la Risurrezione; quella che oggi si celebra ne è soltanto la manifestazione visibile, avvenuta quaranta giorni dopo sul monte degli Ulivi. E come a ribadire la sua definitività, in quella circostanza egli ha assegnato agli apostoli il compito per cui li aveva scelti: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”.
Queste parole delineano il senso e la missione della Chiesa: continuare, sino alla fine del mondo, l’opera di Gesù, o meglio offrire a tutti gli uomini, di ogni tempo e paese, la possibilità di beneficiare di quello che egli ha fatto per loro. Come? Ricevendo il battesimo e osservando i suoi precetti. E’ importante non perdere di vista l’essenziale: radice dello sviluppo della Chiesa, base delle sue ramificazioni, delle sue tante istituzioni, di duemila anni di impegno, al di là degli umani errori che vi si sono commessi e vi si commetteranno, sta questo mandato del suo Fondatore: e tutto nella Chiesa ha senso e valore se si riconduce ad esso, se ne è una conseguenza; il resto, come vi è subentrato così potrà cadere. Un fatto è certo: la Chiesa, vale a dire l’insieme dei battezzati, è costituita da uomini, limitati e fragili uomini, ma si regge e cresce perché Lui l’ha voluta e la sostiene. Sino alla fine del mondo.
Il passo di oggi conclude il vangelo secondo Matteo (28,16-20), l’unico a terminare il suo scritto lasciando direttamente a Gesù l’ultima parola. E’ una parola basilare per la Chiesa, che sa di poter contare sulla sua continua assistenza. Ed è una parola confortante per i singoli cristiani. In una società come l’attuale, così rumorosa e affollata, non ci sono mai state tante “famiglie” costituite da una sola persona, mai si è affacciato così insistente lo spettro della solitudine, anche, e forse soprattutto, per chi vive in una grande città (“in quel deserto che chiaman Parigi”, cantava già la Traviata). Qualcuno pensa che l’angoscia della solitudine sia addirittura costitutiva dell’uomo (“Ognuno sta solo sul cuor della terra”, secondo Quasimodo). Ma a fronte di simili cupezze i cristiani sanno di poter poggiare su un’altra parola; sanno, qualunque cosa succeda, di non essere mai soli: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”.