GESÙ IL PROFETA
Alcuni Padri della Chiesa, seguiti da scrittori più tardi, amavano elencare e commentare i vari “nomi” con cui nella Bibbia è designato Gesù. Tra questi è da sottolineare il nome di “profeta”. Gesù se lo attribuisce quando dice, parlando della propria morte: “Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (Lc 13,33).
ta, nel linguaggio biblico, non è in primo luogo uno che predice il futuro, ma uno che parla a nome di Dio, un portavoce di Dio. E Gesù si presenta come tale: “Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio” (Gv 8,46.47); “Io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me” (Gv 12,49-50). È lui il profeta che Mosè promette al popolo ripetendo ciò che gli ha detto il Signore: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò”. Lo proclamerà Pietro, appellandosi alle parole ora riportate (cf At 3,22-23).
Gesù parla a nome del Padre che l’ha inviato; ma poiché egli e il Padre sono una cosa sola (cf Gv 10,30), egli insegna “come uno che ha autorità”, con grande stupore dei suoi uditori, abituati all’insegnamento degli scribi, i quali riferivano semplicemente ciò che leggevano dalla Bibbia.
esù non si limita a fare una proposta alla quale si può aderire o no senza conseguenze, ma esige piena fede alle sue parole: “Chi crede in lui (nel Figlio mandato dal Padre) non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Gv 3,18); “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui” (Gv 3,36).
Gesù è profeta. Il potere sui demoni, dimostrato nel fatto riferito qui da Marco, come gli altri miracoli che l’evangelista racconterà, sono una prova della sua missione profetica. Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, il liberatore degli uomini dal dominio del male e del peccato. Gesù è profeta sempre, in tutto ciò che insegna. È troppo comune il vezzo di prendere dal Vangelo quello che risponde ai propri gusti, alle proprie preferenze di carattere sia religioso sia politico sia moralistico, o semplicemente quello che fa più comodo. C’è chi accetta senza difficoltà l’invito: “Venite a me, …e io vi ristorerò” (Mt 11,28), ma mette volentieri fra parentesi il: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno” (Mt 25,41).
C’è chi non contesta la preghiera, tanto raccomandata da Gesù, e preferisce ignorare il “Beati voi poveri” e “Guai a voi, o ricchi” (Lc 6,20-24). C’è chi, mentre Gesù dice ben chiaro che il primo e più grande comandamento è: “Amerai il Signore Dio tuo”, e il secondo: “Amerai il prossimo tuo” (Mt 22,37-38), afferma con tutta disinvoltura che l’unico dovere del cristiano è la solidarietà con gli altri e la lotta di classe.
Tutti profeti?
Risponde il Concilio: “Il popolo santo di Dio (cioè tutti i battezzati) partecipa all’ufficio profetico di Cristo” (Lumen Gentium, 12). Ogni fedele deve “rendere testimonianza di Gesù con spirito di profezia” (Ad gentes, 2).
In qual senso tutti i cristiani sono chiamati a essere profeti? Col rendere a Cristo “una viva testimonianza, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità” (Lumen Gentium, 12). Dunque, prima che con la parola, con la vita. Come possono anche i laici essere profeti?
Risponde Charles de Foucauld: “Verso tutti quelli coi quali sono in rapporto, con la bontà, l’affetto fraterno, l’esempio, l’umiltà, la mitezza. Con alcuni, senza mai dir loro una parola su Dio e la religione, pazientando come pazienta Dio, essendo buoni com’è buono Dio, mostrandosi loro fratelli e pregando. Con altri, parlando di Dio nella misura in cui sono in grado di accettarlo, e, appena hanno in mente di ricercare la verità con lo studio della religione, mettendoli in contatto con un prete scelto molto bene… Soprattutto, bisogna vedere in ogni essere umano un fratello”.
Ma c’è anche il carisma dei “profeti”, che parlano a nome di Dio per una grazia speciale ricevuta da lui. Questo carisma, presente nelle comunità del Nuovo Testamento, non è andato perduto nella Chiesa. Spesso si manifesta in forma semplice e modesta, altre volte si presenta come qualcosa di straordinario, con “rivelazioni”, “apparizioni”, “voci”, “messaggi” di Dio, di Cristo, della Madonna. Oggi, forse più che ieri, questi tipi di “profeti” sono piuttosto frequenti – ne ricevo in media uno ogni settimana –. Il dubbio se siano autentici viene naturalmente, anche quando la stramberia non salta immediatamente all’occhio.
Gesù ci mette in guardia dai “falsi profeti” (Mt 7,15). Sin dai primi tempi la Chiesa conoscerà, accanto all’autentico carisma profetico, quelli che, pretendendosi profeti, semineranno l’errore e lo scisma. Attenzione, dunque. E ricordiamo l’avvertimento del Concilio, eco delle parole di Paolo: il giudizio sulla genuinità dei carismi “e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf 1 Ts 5,12 e 19-21)” (Lumen Gentium, 12).
Paolo pone il carisma dei “profeti” subito dopo quello degli “apostoli” (1 Cor 12,28-29; Ef 2,20; 4,11). Ma se profeta è colui che parla a nome di Dio, tale è certamente anche Paolo, inviato da Cristo ad annunziarlo ai pagani e portare il suo nome “dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele” (At 9,15). Per questo anche oggi, come spessissimo nella liturgia della parola, abbiamo ascoltato la sua voce, la quale ci dà una lezione (che non è certo familiare ai più), quando, confrontando la situazione di chi è sposato con chi non lo è, dichiara che questi si trova in una condizione di vantaggio rispetto a chi lo è, perché non è diviso e “si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore”.
Così della donna sposata. Linguaggio senza senso per chi pone il sesso al centro della vita e non ammette freni e limiti al godimento sessuale; linguaggio difficile anche per il cristiano che, accettando il sesto e il nono comandamento, considera il matrimonio condizione indispensabile per la piena espansione della personalità e non vede come si giustifichi la scelta del celibato, della verginità. Linguaggio difficile, certo: l’aveva già detto Gesù, presentando con altre parole lo stesso insegnamento: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19,11). Paolo a sua volta ha detto poco prima: “Ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro” (1 Cor 7,7).
Nessuna svalutazione dell’amore e del matrimonio, in cui Paolo stesso ravvisa un “mistero grande”, come figura dell’unione di Cristo con la Chiesa (Ef 5,32). Ma, nel quadro d’una gerarchia di valori che afferma il primato di Dio sull’uomo, dell’eterno su ciò che passa, l’apostolo vede in tutte le realtà del mondo (si ricordi anche la 2ª lettura della scorsa domenica) una tappa verso il Regno che verrà nella sua pienezza. In questo senso s. Massimo di Torino, citando questo testo, si domanda: “Come potrebbe uno che si preoccupa del mondo impegnarsi veramente per Cristo?”.
Non bisogna dimenticare, d’altra parte, che tutto l’impegno nelle cose terrene, quando sia vissuto nella fede, può e dev’essere orientato a Dio, divenire autentico atto di amore per lui. È ancora Paolo che lo afferma in questa stessa lettera: “Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1 Cor 10,31). Del resto, il dono di se stesso a Dio, per chi, avuto il carisma del celibato, lo vive unicamente per amore, non può non dilatare il cuore all’amore disinteressato e operoso, alla dedizione per i fratelli, poiché consente di attingere sempre più abbondantemente al cuore di quel Dio che è amore (cf 1 Gv 4,8-16).
Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC
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Terza domenica del Tempo Ordinario – Anno B
- Colore liturgico: VERDE
- Gio 3, 1-5. 10;
- Sal. 24;
- 1 Cor 7, 29-31;
- Mc 1, 14-20
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Mc 1, 14-20
Dal Vangelo secondo Marco
14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». 16Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». 18E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 19Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. 20E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 21 – 27 Gennaio 2018
- Tempo Ordinario III
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 3
Fonte: LaSacraBibbia.net
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