Un anno liturgico si è concluso con l’adorazione di Gesù in croce che annuncia al primo uomo salvato, un malfattore fiducioso, il suo ingresso nel Paradiso! Il Figlio dell’Uomo è salito al Padre per regnare con Lui, ma, come ha detto più volte, tornerà alla fine dei tempi. Si apre quindi un nuovo anno con il tempo forte dell’attesa del ritorno promesso dall’Unto del Signore, della sua Parusia.
Ma sarà poi nuovo nei credenti questo prossimo anno liturgico? Ci sono forse le premesse per sperare nella novità? Guardiamoci attorno! Vediamo cambiamenti nelle persone, almeno quelle battezzate nel nome di Cristo, che popolano il nostro mondo? O ha ragione il Vangelo nel farci specchiare nei “giorni di Noè”? Non possiamo negare che cambiamenti ce ne siano continuamente nell’ordine sociale, politico, economico, climatico, forse in meglio, forse in peggio, a seconda dei punti di vista! Ma quello che non cambia visibilmente è il cuore dell’uomo. Egli si adatta alle situazioni che mutano, gioisce o si lamenta, si arrabbia o si ribella a quanto non gli sta bene, ma in sostanza cerca solo di vivere al meglio per sé, magari sgomitando un po’ per prevalere, quando occorre, sui più fragili, e, soprattutto, non si pone il problema della fine, neppure della propria, se mai ricorre ai medici e alle cure, pur di garantirsi la sopravvivenza per il maggior numero di anni possibile. Nel cuore umano, prigioniero del “mondo”, regnano sensazioni, affetti, interessi che vengono prima di ogni richiamo alla fine sia del proprio tempo, come del tempo cosmico.
“…come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti”.
- Pubblicità -
Occupati e preoccupati per le cose di questo mondo stiamo tutti rischiando di rimanere indifferenti alle “cose altre”, a quel “dopo” che, quando ce ne sfiora il pensiero, lo allontaniamo cercando distrazione nell’ oggi.
Ma è proprio il nostro oggi che è bene rivedere e rimodulare, se siamo credenti nella Parola di Gesù che ci mette in guardia con l’annuncio di Mt 24.
Gesù infatti in questo brano si rivolge proprio ai “discepoli”, a coloro che hanno scelto di stargli
dietro e di seguire le sue orme. Anche se Egli parla a tutti, perché desidera ardentemente che tutti
lo seguano in un cammino di pace e di amore. Però il richiamo ai discepoli è un atto di fiducia nella possibilità di condividere con l’umana debolezza il suo gioioso cammino verso il Regno e di rendere anche l’oggi terreno di chi gli si è affidato un’occasione di crescita ed un modo di vivere più libero, più umano e più consapevole.
La nostra speranza e fede nell’infinita misericordia di Dio non ci fa pensare che, alla fine, il suo Giudizio sia come un diluvio travolgente, bensì come una salvezza per “tutte le genti”. La Parola del Vangelo ci esorta frattanto a partecipare fin dall’oggi del nostro vivere quotidiano alla gloria della Resurrezione, purché rientriamo in noi stessi attraverso l’attesa operosa ed orante del Dio che viene.
La sapienza della Parola ci fa riflettere sulla nostra insipienza: “non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”. Infatti non possiamo, per i limiti della conoscenza umana, prevedere la fine dei tempi. Talvolta siamo tentati da profezie apocalittiche a vedere la fine in eventi catastrofici che purtroppo non mancano di ferirci, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici che hanno trasformato il nostro pianeta per responsabilità assolutamente umane, legate alla fame di ricchezza, di benessere e di supremazia che hanno lasciato “indifferenti” gli egoismi consumistici e di potere. Tutte le categorie sociali sono implicate nell’abbandono della responsabilità verso i fratelli più poveri e verso la natura per lo sfruttamento indebito, consapevole o inconsapevole. Ma non sono gli eventi apocalittici che debbono risvegliare le coscienze alla responsabilità verso il creato e le sue creature, bensì il pensiero dei nostri stessi limiti temporali.
Se guardiamo la nostra vita nella prospettiva della sua fine, non possiamo non prendere in considerazione il fine a cui siamo chiamati ed il senso da dare al nostro percorso terreno. Il brano evangelico ci sottolinea infatti le scelte che il tempo fa per noi nella realtà quotidiana e farà anche alla venuta del Figlio dell’Uomo, quando ci saranno quelli “portati via” e “quelli lasciati “.
Non è facile interpretare il senso del “portare via e del lasciare”. Ma lungi da noi pensare alla salvezza solo per pochi! Certamente o cammineremo insieme a Gesù nella sua Gloria, o saremo lasciati alla misericordia del Padre per poter entrare nel suo Regno.
Come profetizza Isaia 2,1-5 “al tempio del Signore …. affluiranno tutte le genti” ed “Egli sarà giudice”
perché tutti camminino sulla via della pace “nella luce del Signore”.
A riscontro dei versetti evangelici leggiamo in San Paolo (Rm 13,11-14): “Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno… Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo!”
Bellissima immagine di un popolo di credenti che, in forza della fede in Cristo, è messa in grado di rivestirsi di Lui, ovvero di diventare come Lui.
Concludiamo allora col Salmo: “Andiamo con gioia incontro al Signore”!
A cura di Vanna per la Comunità Kairos.
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay