Don Mauro Manzoni di graficapastorale.it, propone una riflessione sul brano del Vangelo di domenica 20 marzo 2022.
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Fin da piccoli, frequentando il Catechismo (ai miei tempi si chiamava Dottrina), ci hanno fatto sempre chiamare questa parabola letta nel Vangelo di oggi, la “parabola del figlio prodigo”. Abbiamo, cioè, sempre messo al centro del racconto di Gesù, il figlio minore che contesta il padre, scialacqua la prematura eredità, si trova poi in difficoltà, rientra in se stesso pentendosi e ritorna a casa accolto dal perdono del padre.
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Ed il figlio minore è stato sempre preso come modello di conversione e cambiamento del cuore. La vera motivazione di questo ritorno al padre è terra terra e mi sembra non abbia motivazioni nobili. Al centro del racconto c’è il problema del mangiare: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò e andrò da mio padre”. E anche il figlio maggiore dice: “Io ti servo da tanti anni e tu non mi hai mai dato un capretto da mangiare per far festa con i miei amici”. A tutti e due poco interessa il padre. Interessa e sta a cuore saziarsi e mangiare.
Gesù racconta questa parabola per farci capire e insegnarci chi è il vero Padre dei cieli. Ci chiama a diventare figli, veri, leali e riconoscenti. Ci fa scoprire che Dio padre è amore, sempre con le braccia aperte al perdono, che il suo abbraccio cambia completamente i connotati del nostro cuore, mi rialza dalla mia fragilità e ridona dignità di uomo e donna perduta col peccato.
E’ questo il messaggio quaresimale: chiamati a diventare figli, figli di un Padre che, in Cristo, accoglie tutti, lontani e vicini, chi va in Chiesa e chi no, si siede a tavola con i peccatori e mangia con loro, accoglie gli stranieri e gli esclusi e attende con ansia e trepidazione chi si allontana da Lui.
In una società così egoista ed avara nell’accogliere, così refrattaria al perdono, le parole che abbiamo ascoltato nella liturgia, sono stimolo e sollecitazione per un sincero ritorno al Padre, un ritorno all’amore.