Commento al Vangelo di domenica 27 Maggio 2018 – p. Alessandro Cortesi op

“Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore Dio è lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro”.

Nell’esperienza della fede di Israele Dio è presenza nascosta e vicina: non è una tra le creature della terra, sta infatti ‘lassù’, luogo del divino, nelle altezze dei cieli, metafora di una dimensione non racchiudibile entro i confini del creato. Nel medesimo tempo si fa vicino ed irrompe nel ‘quaggiù’, nei luoghi della vicenda umana, sulla terra.

Il Dio unico e vicino, è il non dominabile, non racchiudibile. Non sta nelle mani dell’uomo, non è uno tra gli elementi del cosmo. Per questo tutto nel creato viene così sdivinizzato e il mondo è restituito ad essere mondo dell’uomo. Nessuna manifestazione naturale, nessun essere per quanto meraviglioso, nessun uomo o donna possono prendere il posto di Dio. Dio è altro.

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Ma il Dio che sta lassù è anche il vicinissimo, E’ presenza che soffia non sopra ma dentro le cose, con il suo spirito che è respiro di vita donata. ascolta il grido del popolo che soffre e scende a liberarlo. è coinvolto nella vita del popolo. Abramo padre dei credenti è l’esempio di chi ha ascoltato una parola interiore, una chiamata di Dio. E così Mosè. Quest’esperienza del cuore, non di uno solo ma di popolo, viene espressa con l’immagine del fuoco che avvolge il roveto e non lo consuma. Un fuoco che arde e non dà morte ma porta vita.

Da lì sorge una storia di incontro che si delinea come amore impegnativo e di relazione. Israele lo esprime nei termini dell’alleanza, un patto di dono e fedeltà: “Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità dei cieli all’altra, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?”.

I testi biblici non offrono una definizione di Dio ma raccontano l’esperienza di un popolo nell’incontro della fede. Il suo volto si delinea solo in una storia. E’ una storia sospesa, fondata sull’affidamento: la fede è espressa con l’immagine di appoggiarsi su un piccolo appiglio di roccia, una parola accolta nel cuore, una promessa custodita e trasmessa, una stabilità fragile. Israele scopre l’agire di Dio negli eventi della storia. La sua è esperienza non tanto della ricerca umana di Dio, quanto del venire di Dio in cerca dell’uomo. E’ un venire, il suo, che continuamente si ripropone in modi nuovi, e passa per la chiamata di persone che si fanno voce della sua Parola, che annunciano la sua fedeltà, che allargano i confini di un raduno.

Nei vangeli un dato fondamentale del profilo di Gesù è indicato nel suo rapporto con l’Abbà, Dio il padre. Partecipe della fede del suo popolo Gesù, come ebreo vive la fede dei padri. Nella sua vita manifesta la coscienza di un rapporto particolare con l’Abbà: a lui si affida senza riserve. Nella sua preghiera sta la profondità del suo rapporto con Dio. All’Abbà si rivolge nella solitudine e soprattutto nei momenti di scelta e di prova. Si affida a Dio di cui annuncia il regno, come vicinanza che apre senso della vita e salvezza per chi non ha speranza. La sua preghiera respira di una confidenza unica fino al grido sulla croce in cui affida a Dio il suo grido che esprime l’esperienza dell’abbandono. Marco riporta che il centurione vedendolo morire a quel modo, sotto la croce, disse ‘Veramente quest’uomo è Figlio di Dio’. Dopo la Pasqua la comunità riconosce a Gesù i titoli di ‘Figlio’ e Signore.

L’esperienza della prima comunità dopo la pasqua, si può sintetizzare nell’esperienza dello Spirito che fa sentire accolti, figlie e figli: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno Spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno Spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo Abbà, Padre. Lo Spirito stesso attesta al nostro Spirito che siamo figli di Dio”.

Dire Abbà non è esito di sforzo umano: è in radice un dono, opera dello Spirito, dono della Pasqua (cfr Gv 20,22). Nello Spirito, lasciando spazio a lui, colui che ricorda tutto quello che Gesù ha detto (cfr. Gv 14,26) e consola (Gv 14,15), la comunità vive l’esperienza di essere coinvolta in un evento di comunione: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre… in quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (cfr. Gv 14,20).

Se il volto di Dio è comunione il volto autentico di ogni persona e dell’umanità stessa è nell’orizzonte della comunione. La comunità di Gesù dovrebbe essere segno e strumento, profezia e annuncio, di tale comunione nel cammino della storia. L’esperienza di vita nelle famiglie, delle comunità umane, dei rapporti tra i popoli, può trovare nel volto di Dio Trinità, una promessa, una chiamata ed un orizzonte di speranza.

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
IX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Domenica della Santissima Trinità – ANNO B

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Battezzate tutti i popoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Parola del Signore

Fonte: LaSacraBibbia.net

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