Dopo l’incontro sul Giordano, Giovanni viene arrestato e Gesù inizia a predicare, perché la parola di Dio non si può incatenare (2Tm 2,9). Isaia comunque aveva previsto l’esordio del Messia di Israele in una terra impropria, una terra di confine, la Galilea delle genti che diventerà per lui una seconda patria (Mt 4,15). Perché il Signore Gesù ha cominciato a predicare da quella periferia? Solo una misura di prudenza? Un desiderio di raggiungere subito con la sua parola i popoli pagani? Oppure “la realtà si comprende meglio guardandola insieme non dal centro, ma dalle periferie?” (Papa Francesco, omelia nella parrocchia dei SS. Elisabetta e Zaccaria, Roma, 26.05.2013) Comunque sia, Matteo ci dice che in questo modo si compiono le Scritture. L’aurora di un giorno assolutamente nuovo è arrivata: Gesù è la grande luce che si è levata per tutti. La nuova creazione è iniziata, il destino delle tenebre e della morte è segnato (Mt 4,16).
La sua predicazione si avvia agganciandosi con precisione alle parole di Giovanni: convertitevi, perché il regno dei cieli è qui (Mt 4,17). Convertitevi: per tantissimo tempo abbiamo pensato, parlato e interpretato questo imperativo come la necessità di lasciare la nostra vita di peccato, le nostre cattiverie, quale condizione per essere accolti da Dio. Il che presenterebbe la nostra fede sostanzialmente come una rigorosa dottrina morale. Tutti ci ricordiamo come si parlava (e come se ne parla ancora!) del catechismo di iniziazione cristiana ai bambini. “Dove stai andando?” – chiede una donna rivolta all’amica di passaggio – E questa risponde: “vado a prendere mio figlio che è andato a dottrina”. E invece le parole del Signore non hanno affatto questo senso. Piuttosto, hanno lo stesso sapore di quelle successive che leggiamo mentre cammina sulle rive del mare di Galilea. Non a caso Matteo le colloca dopo questo incipit. Gesù chiede di convertirsi, è vero, ma dando una motivazione: perché il regno dei cieli è qui. Ma cos’è il regno dei cieli?
Due fratelli stanno gettando le loro reti in mare, sono pescatori, stanno facendo qualcosa che forse era per loro quotidiano. Ma sulla riva un uomo li chiama e li invita: seguitemi, vi farò pescatori di uomini (Mt 4,19). I due lasciano tutto e lo seguono. Poi altri due ricevono lo stesso sguardo/invito e fanno lo stesso. Ma come fanno a lasciare tutto? L’evangelista racconta così, in maniera scarna, l’avventura dell’incontro tra Gesù e i primi discepoli. Cos’è il regno dei cieli? È sentirsi guardati e chiamati per nome da Gesù. È rispondere al suo invito a seguirlo lasciandosi conquistare da come Egli vive. È scoprire la forza di lasciare tutto per andare con Lui. Se le cose stanno così, il cristianesimo è l’esperienza indicibile, offerta a tutti, di rispondere a questo invito. Gesù dunque chiede di convertirci, ma il suo non è un imperativo morale, è un invito a guardarlo e andargli dietro. Vi sarete accorti che sto usando il linguaggio proprio dell’amore. Perché tutto ciò che ho detto avviene a chi si innamora e vive di un amore.
Rivolgo una domanda a te che mi stai leggendo: se cominci a seguire una persona con lo sguardo, perché lo fai? Per costrizione? No, se la segui, lo fai per attrazione, altrimenti se non ti interessa lasci perdere e non la guardi più. Anche fosse solo per curiosità, anche fosse perché stai svolgendo solo la tua professione, anche fosse solo per ammirare una qualità umana della persona, il processo è lo stesso. Si segue una persona con lo sguardo per attrazione. Non diciamo anche con un proverbio che “l’occhio va dove porta il cuore”? Dunque il cristianesimo non è una dottrina o una prassi morale. È la mia relazione personale con Gesù. La fede suppone un innamoramento, suppone un amore che attraverserà anche momenti molto difficili, ma sarà sempre e soltanto una questione di amore. Perché il vangelo ci racconta che tutto è cominciato da una chiamata, dall’aver gustato gli occhi di Gesù su di sé, dall’essersi sentiti al centro di un grande amore. Perché se non ci si sente chiamati, vuol dire che non ci si sente amati, vuol dire che non si conosce ancora Gesù, e Lui non è ancora Dio per me. Ma se lo si segue davvero, si scopre anche la propria identità: vedete quale grande amore ci ha donato il Padre da essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! (1Gv 3,1). So chi sono solo se so chi è Gesù. Solo se mi vedo nei suoi occhi comincia per me il regno dei cieli.