Commento al Vangelo di domenica 25 Ottobre 2020 – p. Alessandro Cortesi op

Negli ultimi capitoli del suo vangelo, Matteo, dopo aver narrato l’ingresso di Gesù a Gerusalemme (cap. 21) raccoglie una serie di controversie in cui Gesù è interrogato e messo alla prova da diverse categorie di persone che costituiscono le élites religiose e i capi del popolo. Al cap. 22 dopo la questione del tributo a Cesare suscitata da farisei e erodiani e quella sulla risurrezione sulla quale Gesù è provocato dai sadducei, gli viene posta una questione discussa su cui non c’era accordo tra le scuole: quale il più grande comandamento della legge.

La legge era sintetizzata nelle dieci parole dell’alleanza: tuttavia la tradizione aveva aggiunto ai dieci comandamenti centinaia di precetti (613 comandamenti) che costituivano nell’immaginario religioso una sorta di siepe per proteggere l’osservanza del nucleo della legge stessa. Erano norme che regolavano tutti i momenti della vita. Ma varie erano le proposte ad individuare il nucleo della legge stessa: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?» è la domanda che gli viene posta.

Gesù risponde in piena fedeltà al testo biblico e riprende due versetti presenti nei libri della Torah. II primo è un testo tratto dal Deuteronomio che richiama la fondamentale professione di fede che veniva ripetuta più volte al giorno nella preghiera dello Shemà: ‘ascolta Israele… amerai il Signore Dio con tutto il cuore… il Signore è uno’.

“Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore” (Dt 6,4-5).

Si tratta del comandamento che richiama a riferire la vita in tutte le sue dimensioni a Dio quale unico Signore dell’esistenza. E’ il primo comandamento perché richiama l’affidamento al Dio dell’alleanza, e chiede di non avere altri idoli nella vita ma riconoscere un solo Signore a cui affidarsi. E’ un comandamento riconosciuto e su cui si era articolata una vasta tradizione di pratiche e osservanze.

Gesù richiama all’amare Dio che è al cuore di questo comandamento: non sempre amare Dio corrisponde con le forme dei sacrifici, delle offerte delle preghiere e devozione praticati per offrire un culto che può essere scisso dalla vita.

La prassi cultuale e liturgica ha una grande forza nel far sentire a posto con Dio e gratificati nell’aver compiuto opere  questo. Spesso è limitata ad aspetti esteriori senza coinvolgimento e può essere una forma di tranquillizzazione della coscienza dal momento che svolgere liturgie, preghiere o devozioni non turba particolarmente la vita e non genera di per sè cambiamenti nelle scelte e nell’operare. Gesù a tal riguardo condivideva la critica aspra dei profeti in Israele: essi sollevavano l’accusa ad un culto vuoto fatto di sacrifici e offerte mentre la vita va in altre direzioni e viene praticata la disonestà, l’ingiustizia andando contro la volontà di Dio.

Gesù per questo aggiunge nella sua risposta il riferimento ad un altro comandamento. E riprende a tal riguardo un altro versetto biblico dal libro del Levitico: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore” (Lev 19,18). Richiama quindi non qualcosa di nuovo, bensì un orientamento che era ben presente nella tradizione biblica: non si può amare Dio se insieme non si vivono relazioni nuove di autentico amore verso il prossimo. I rapporti con gli altri sono il luogo di verifica dell’amore verso Dio.

Gesù, pienamente inserito nella fede d’Israele riconduce alla profondità della alleanza. Questo secondo comandamento, dice Gesù, è simile al primo. Il secondo comandamento è simile al primo in quanto ne è la trasparenza. In tal senso Gesù riporta tutta la questione sul più grande dei comandamenti ad una radicalità che interroga su di una prassi diversa. Gesù non è preoccupato di elaborare una teoria della morale o una costruzione teologica. Piuttosto chiede una prassi coerente in cui l’amore verso Dio si verificato nell’amore verso gli altri, in un unico e inscindibile movimento.

Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti: legge e profeti indicano tutta la Scrittura ebraica che è testimonianza dell’incontro di Dio che ha fatto alleanza con Israele e coinvolge in una storia di libertà.

Chi attua gesti di ascolto, accoglienza, cura, accompagnamento verso gli altri attua già in questo l’amore di Dio. E’ liberante ed è l’indicazione di Gesù sapere che dove ‘avete fatto qualcosa ad uno dei fratelli più piccoli’ lì c’è già incontro con Dio e amore per Lui. Questo fa superare la mentalità di chisura e di oppressione della religione per aprirsi all’incontro con Dio che coinvolge la fede e si attua nel rapporto con gli altri. E chi desidera coltivare l’amore di Dio è invitato a porre in pratica scelte di gratuità e attenzione verso gli altri. 

In questa sua risposta Gesù pone una critica ad un modo di intendere la fede come legata a tutte quelle tradizioni di uomini che finiscono per oscurare le esigenze prime della  fedeltà a Dio. E’ ciò che accadeva ai suoi tempi ed è ciò che accade oggi.

In questo senso Gesù comunica anche una immagine di Dio diversa dal Dio di una religione del culto e dell’appartenenza culturale e ripropone il volto del Dio dell’Esodo e dell’alleanza, il Dio che ascolta il grido dei poveri e delle vittime e scende a liberarli per aprire percorsi di libertà nell’amore che si prende carico dell’altro.

Può essere interessante ricordare a tal proposito quanto Paolo dice nella lettera ai Galati “Voi infatti… siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso”.

Alessandro Cortesi op

Fonte


p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

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