L’anno liturgico si conclude ponendo davanti ai nostri occhi la visione di Gesù Cristo nelle vesti di un re. Un re certamente singolare: che possiede sì un regno, ma tanto dissomigliante dai regni di questo mondo (vangelo); che esercita la sua regalità su tutti i popoli (prima lettura), ma nella forma di un «Agnello immolato» (Ap 5,12: antifona d’ingresso) che dall’alto del suo trono regale (la croce!) attira misteriosamente a sé ogni uomo, «anche quelli che lo trafissero» (Ap 1,7: seconda lettura). Forse la festa di Cristo Re rischia oggi di venire mal compresa e mal interpretata: è facile infatti immaginare la regalità di Cristo alla stregua di quella che esibiscono i potenti del mondo. Ma se ci atteniamo a ciò che i testi biblici ci dicono, ecco allora che essa assume tutta un’altra luce e un altro colore. Non dimentichiamo poi che Gesù è apparso davanti agli uomini in vesti regali proprio alla vigilia della sua morte, appunto per togliere ogni fraintendimento sul modo in cui intendeva la sua regalità su questa terra.
L’ampio spazio dato al racconto del processo di Gesù davanti a Pilato nel quarto evangelo (da solo occupa più di un terzo dell’intera narrazione della passione) e la cura, letteraria e teologica, con cui è costruito, sono già un segno evidente dell’importanza che l’evangelista vi attribuisce. Sette piccole scene compongono il racconto, che si snoda in un’alternanza continua tra spazi interni (pretorio) e spazi esterni (cortile), con Pilato che entra ed esce senza posa per parlare rispettivamente con Gesù e con i Giudei. Tra Gesù e i Giudei c’è ormai una separazione definitiva, non c’è più comunicazione, non c’è più dialogo, il silenzio si fa totale. Sembra quasi che Gesù non abbia più nulla da dire al suo popolo (e soprattutto ai suoi capi religiosi): ha già detto tutto quello che doveva. Ora non gli resta che presentarsi davanti a loro nelle vesti di un «re da burla» (B. Maggioni), deriso, oltraggiato, umiliato e – apparentemente – sconfitto (cfr. 19,1-3: la scena degli oltraggi). Ma proprio in questa umiliazione e in questa sconfitta risplende ancor più luminosa quella verità che non ha bisogno di ragioni per farsi valere: chiede solo di essere riconosciuta e accolta da un cuore libero da ogni falsità e ipocrisia…
Il testo di Gv 18,33-37 costituisce la seconda delle sette scene che scandiscono il processo romano nella visione giovannea. Abbiamo qui il primo colloquio tra Pilato e Gesù. Dopo essere stato fuori a discutere con i Giudei, Pilato rientra nel pretorio, chiama Gesù e, senza troppi preamboli, comincia l’interrogatorio: «Sei tu il re dei Giudei?» (v. 33). La tematica della regalità è così posta subito al centro del dialogo e tutto si gioca sulla comprensione della vera natura della regalità rivendicata da Gesù. Pilato formula la sua prima domanda in un tono di ironia mista a disprezzo e incredulità (come se dicesse: «E questo qui sarebbe un re!?»). Ma Gesù, con una controdomanda, obbliga in qualche modo Pilato a uscire allo scoperto, a non nascondersi dietro opinioni altrui, a rivelare le sue vere intenzioni: «Dici questo da te…» (v. 34). Pilato rifiuta di prendere posizione nei riguardi di Gesù, non vuole lasciarsi coinvolgere personalmente in una questione che ritiene non rilevante per lui, e cerca di venire subito al sodo: «Che cosa hai fatto?» (v. 35). Poco prima i Giudei, consegnando Gesù, avevano riferito a Pilato che era un «malfattore» (v. 30), cioè «uno che fa il male». Dovremmo lasciarci interrogare a lungo intorno a questa semplice – ma fondamentale – domanda : cosa mai ha fatto Gesù durante la sua breve esistenza terrena? La legge giudica i ‘fatti’, ma i fatti sono passibili di travisamenti o, se non altro, possono essere letti almeno secondo due prospettive: secondo le apparenze o secondo la fede. Se letta dal punto di vista di Dio, la storia di Gesù rivela significati inediti e abissali che l’uomo non è in grado di comprendere se non accetta di «rinascere dall’alto» (Gv 3,3). Che cosa «ha fatto» precisamente, Gesù lo confessa poco più avanti, sul finire del colloquio: egli è venuto nel mondo «per dare testimonianza alla verità» (v. 37). Tutta la sua missione è riassunta in questa testimonianza data alla verità. Gesù è re (lui steso lo dichiara al v. 37: «Io sono re») in quanto testimone e servitore della verità. La sua regalità è completamente a servizio della verità, di quella verità di Dio che viene prima di ogni altra cosa, anche prima della propria persona. Tutto il contrario di ciò che fanno i sovrani del mondo, che non esitano a fare della regalità un baluardo a difesa del proprio potere, dei propri interessi, a fare della menzogna uno strumento ordinario del proprio governo, sottomettendo spesso la verità (che è il bene supremo) alle esigenze della cosiddetta ‘ragion di stato’.
Ma il regno di Gesù ‘funziona’ secondo altri criteri, secondo criteri che vengono da altrove, da un mondo ‘altro’, non da questo (cfr. v. 36). La verità che questo regno vuol custodire e servire non ha bisogno di essere difesa con la forza: essa sa ‘difendersi’ da sola con la forza stessa della sua luce che illumina tutti, sia coloro che da essa si lasciano raggiungere che coloro che da essa rifuggono. Certamente, quello di Gesù è un regno sconcertante, che non ha bisogno di guardie che combattono per il suo re ma solo di due braccia che sanno distendersi sulla croce, in un vulnerabile abbraccio che mostra la verità di un amore che accoglie tutti.
La parola conclusiva del dialogo («chiunque è dalla verità ascolta la mia voce»), oltre che sottolineare la condizione necessaria per entrare nella logica di questa originale regalità (stare dalla parte della verità), getta una luce anche sul modo concreto con cui Gesù esercita il suo potere regale. Il Signore infatti regna su di noi unicamente attraverso l’ascolto della sua voce: nessun altro strumento di ‘potere’ egli vuole utilizzare se non quello della sua parola. Nel rispetto pieno della nostra libertà, perché una «voce» non si impone e vive in ogni istante la fragilità e il rischio di essere accolta o rifiutata…
Fonte: Monastero Dumenza
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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B
NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO – Solennità
Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 25 Novembre 2018 anche qui.
- Colore liturgico: Verde
- Dn 7, 13-14; Sal.92; Ap 1, 5-8; Gv 18, 33-37
Tu lo dici: io sono re.
Gv 18, 33-37
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 25 Novembre – 01 Dicembre 2018
- Tempo Ordinario XXXIV
- Colore Bianco
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 2
Fonte: LaSacraBibbia.net
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