Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.
La pagina del cap. 10 di Giovanni è centrata sull’immagine del pastore: a lui sono contrapposte tre figure diverse, il ladro, l’estraneo e il mercenario. Il ladro che giunge per sottrarre e non per custodire, l’estraneo che non ha alcun rapporto di legame e affetto, il mercenario che è profittatore della situazione in vista di trarre unicamente propri vantaggi senza rapporti e coinvolgimento.
La metafora del pastore è usata ad indicare l’identità di Gesù stesso: è il pastore che da’ la sua vita per le sue pecore. L’immagine evoca pagine del Primo testamento in cui Dio stesso è indicato come pastore che guida i suo popolo, in contrasto con le guide umane che si rivelano inadeguate e tese a sfruttare e impoverire il popolo. In queste parole possono anche essere colti echi drammatici perché vi è riferimento alla figura del servo di Jahwé: ‘non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto…si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… (Is 53,3-7). Paradossalmente la figura di colui che è sfigurato e davanti al quale ci si copre il volto è usata ad indicare il volto di Gesù, pastore ‘bello’, la cui bellezza esprime il dono della sua vita per gli altri. Il pastore indicato nel IV vangelo reca in sé i tratti del servo che si offre per tutti. Da qui la contrapposizione con il mercenario, che presta servizio fino al momento in cui ha qualcosa da guadagnare e non coinvolge per nulla la sua vita in una relazione impegnativa.
Un primo tratto dell’immagine del pastore indica che Gesù ha fatto della sua vita un dono in un legame intenso per tutti come il pastore con il suo gregge.Il pastore conosce le sue pecore e sa che le pecore lo conoscono: ‘conoscere’ implica una relazione di vita nella reciprocità. E’ un movimento di incontro che inserisce nella relazione stessa tra il Figlio e il Padre: ‘come il Padre conosce me e io conosco il Padre’. ‘Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamati amici’, è la chiamata ad un percorso profondo di amicizia, con lui e tra noi. Sta qui il cuore del vangelo, e costituisce il dono ed il progetto di vita che viene proposto a chi si apre all’incontro con Gesù. Gesù sta in rapporto al Padre come figlio, vivendo il dono e l’accoglienza dell’amore; così il ‘conoscere’ che lega Gesù è coinvolgimento nell’amicizia.
Lo sguardo di Gesù va oltre ogni ovile che chiude e impedisce di vedere oltre: “ho altre pecore che non di quest’ovile”. La sua vita è non per il privilegio di qualcuno, ma per la condivisione di tutti. La radice di un tale sguardo sta nella sua libertà radicale: ‘io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo’. A questo sguardo aperto ad altri orizzonti oltre i confini di ovili chiusi Gesù pastore spinge anche i suoi.
Alessandro Cortesi op