L’occhio interiore
Bartimeo, il cieco seduto al bordo della strada, non aveva mai visto Gesù, ovviamente! Però sentiva che stava passando e sentiva pure che la gente lo acclamava. Tutti parlavano dei suoi miracoli. Una grande speranza lo spinge ad alzarsi e a gridare: “Figlio di David, abbi pietà di me!”. Grida talmente forte che Gesù lo sente e lo chiama a sé.
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Si alza e lascia cadere il mantello con cui si ricopriva. È talmente grande la forza misteriosa che emana da Gesù che subito si stabilisce un legame tra Lui e il cieco che ripone tutta la sua fiducia in Lui. E’ sempre cieco e lo sa. Non ha ancora mai visto Gesù e lo conosce solo per sentito dire. Ma quando Gesù gli domanda cosa vuole ottenere da Lui, la sua risposta è: “Rabbunì, Maestro, che io possa vedere”. E Gesù prontamente: “Va’! La tua fede ti ha salvato!”.
Sembra che Gesù non sia dovuto intervenire: era la fede che gli aveva restituito la vista. In effetti credere è già vedere. Almeno vedere fino ad un certo punto, cominciare a vedere, essere misteriosamente attratti da una forza più forte di noi. Vedere non ancora “faccia a faccia”, ma come in uno specchio, dirà San Paolo. Presentire qualcosa a cui noi siamo chiamati. Provvisoriamente siamo tutti dei ciechi, o meglio dei mal vedenti.
Per spiegare questo i Padri della tradizione siriaca si servono di una immagine suggestiva. Paragonano il mondo presente ad un grande seno materno nel quale a poco a poco cresciamo fino ad essere messi al mondo, cioè nell’altro mondo, nel Cielo. Questa vita intrauterina è cominciata col nostro Battesimo: quando siamo stati concepiti dal seme divino che ormai deve svilupparsi progressivamente fino al punto conveniente perché avvenga la nascita definitiva.
La psicologia moderna ha meravigliosamente esplorato la vita dell’embrione prima della nascita nel tempo, nutrito e protetto dal seno della madre. Egli non vede niente. E’ cieco. Il seno materno di cui ha un bisogno vitale gli impedisce di vedere. Ma già percepisce sua madre, i suoi sentimenti di tristezza, di gioia, di apprensione e addirittura di rigetto e ciascuno di essi si ripercuote su di lui, non soltanto nel suo corpo, ma anche nella sua psiche, che comincia a svegliarsi e a registrare. Non soltanto percepisce, ma comprende già qualcosa di ciò che avviene al di la del seno materno, dei rumori che gli diverranno familiari, delle voci che riconoscerà quando verrà al mondo
Questa, secondo i Padri, è la situazione del battezzato. anche se ancora non è orientato alla vita del cielo. I limiti di questo mondo gli impediscono di vedere le realtà divine a cui è destinato. E’ cieco, ed è importante che lo sappia per non lasciarsi ammaliare dalle bellezze provvisorie e che avranno fine anche se portano una traccia di Colui che le ha create per noi. Un giorno Gesù rimprovera ai farisei di credersi vedenti: “Se voi siete ciechi non avete peccato; ma voi dite: “Noi vediamo!”. E’ per questo che rimanete nel peccato” (Gv 9,41).
Il cristiano battezzato, embrione di ciò che sarà più tardi, è cieco, ma intanto percepisce già qualcosa di quella realtà misteriosa che “occhio non ha visto – dirà San Paolo- orecchio non ha udito, ne cuore di uomo ha sperimentato”. Percepisce un primo rumore, assapora un primo sentimento, lo pregusta nella Parola di Dio, quando si attarda amorosamente ad ascoltarla nella liturgia, in questo “cielo sulla terra”, come dicono i fratelli ortodossi, in cui, nello sguardo dei più piccoli chi accoglie Lo accoglie: “Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me”. E’ l’occhio interiore illuminato dalla fede che permette di vedere e grazia, la quale si applica anche a ciascuno di noi, la beatitudine proclamata da Gesù: “Perché hai veduto hai creduto – rimprovera a Tommaso -, ma più beati sono coloro che non hanno visto ed hanno creduto!” (Gv 20,29).