In quest’ultima domenica dell’anno liturgico noi festeggiamo Cristo Re ma il Vangelo di oggi ci presenta Gesù in Croce che agonizza. Paradosso che ci invita a rivedere le nostre idee sulla regalità. Il re del mondo, dello spettacolo o dello sport è il primo, il migliore; ma chi dice re dice anche potere assoluto, è dunque colui che domina e a cui si serve. Gesù ha completamente invertito questa prospettiva.
“I re delle nazioni le comandano. Per voi non sarà così: al contrario chi è il più grande tra di voi si comporti come il più piccolo, e colui che governa come colui che serve”. (Lc 22, 25-26) Anche per gli apostoli è stato difficile capire questo insegnamento, perché, come tutto il popolo giudaico aspettavano un nuovo re, un nuovo Davide che cacciasse l’invasore romano. Il Cristo ha sempre preso le sue distanze dinanzi a questa rivendicazione nazionale, davanti a Pilato proclamò: “Ma il mio regno di è di questo mondo.
Se il mio Regno fosse di questo mondo i miei soldati avrebbero combattuto per me”. La sua vita rivela una regalità di umiltà, di servizio di perdono e di amore. Gesù rifiuta questo regno umano. Dalla sua nascita a Betlemme fino al Calvario il Cristo si è comportato non come un capo tradizionale ma come un servo. La sua regalità è proclamata nel momento stesso in cui muore sulla Croce: “Questo è il Re dei Giudei”. Colui che è presentato è un re sfigurato che non si esita a guardare, un re segnato dalla sofferenza, abbandonato dagli amici, ingiuriato dai soldati e condannato dai capi religiosi ma riconosciuto da un malfattore come l’Eletto di Dio.
Questo crocifisso è il Salvatore e benefica il malfattore che proclama la sua innocenza: “Lui non ha fatto niente di Male” e si confida in Lui. “Ricordati di me quando verrai ad inaugurare il tuo Regno”. L’evangelista Luca oppone dinanzi alla salvezza portata da Gesù due categorie di persone: il ladro di sinistra, i soldati, i capi del popolo che deridono e scherzano sui titoli di Gesù “Se sei il re dei Giudei salva te stesso”. Dall’altra parte tra il diluvio di collera e di cattiveria c’è quello che la tradizione chiama il buon ladrone, questo peccatore che si riconosce colpevole :” Per noi è giusto, riceviamo ciò che le nostre opere hanno meritato”.
Noi possiamo riconoscerci in questi due malfattori perché spesso siamo tentati di chiedere a Dio prove della sua potenza: “Perché se tu sei Dio Onnipotente non eviti questo male che mi fa soffrire?” Cerchiamo di mettere Dio a nostro servizio. L’altro malfattore sa di essere stato condannato giustamente ma si ribella davanti all’ingiusta condanna di Gesù, scopre che la fede nell’amore può salvare. La regalità di Cristo è quella dell’amore che non si impone ma che si propone senza forzare la libertà. E’ lo stesso amore che Gesù manifesta per la peccatrice, per Zaccheo e per i pubblicani.
In questo re, rigettato dai suoi, tutti i perseguitati possono ritrovarsi e sentirsi con Lui nel suo Regno. Insieme, Gesù e i condannati con Lui entreranno nel Regno dei cieli. Per entrare in questo regno non abbiamo che un modello, questo re che dona la sua vita per amore e che ci invita ad amare come Lui. E’ dal modo con cui noi abbiamo amato che saremo giudicati. Gesù ricompensa ogni atto fatto per amore, pur modesto che sia. E’ nel sostegno offerto alle sofferenze più elementari che si rivela il vero amore. Ogni uomo che vive di amore è vicino a questo Re che oggi festeggiamo.