Pescatori di uomini
La scorsa domenica abbiamo incontrato Gesù che stava organizzando l’organico della sua opera: alcuni che stessero con Lui. Furono loro stessi a cercarlo, su indicazione del Battista. Oggi continua: chiama alcuni a seguirlo allo scopo di farne “pescatori di uomini” e loro “subito, lasciate le reti lo seguirono”.
Diventare “Pescatori di uomini” è impegnativo anche come proposta, perché gli uomini non sono pesci da pescare e a nessuno piace di essere un ripescato. Letta nei termini di oggi la cosa richiama i “cacciatori di teste” che entrano a far parte del commercio delle persone. Niente di tutto questo: il chiamato a “pescare uomini” lo fa non per se stesso, ma per Gesù Cristo, che non è una rete che imprigiona, ma è la libertà. Chi pesca è del tutto secondario e nessuno può impadronirsi dei pesci che non sono “né di Paolo, né di Cefa, ma di Cristo”, direbbe San Paolo.
Questa pesca avviene attraverso la predicazione del Vangelo che deve produrre i suoi effetti, primo fra tutti la conversione al Vangelo.
L’importanza della evangelizzazione è sottolineata dal ministero di Giona, di cui parla la prima lettura. Giovanni Crisostomo sottolinea che Ninive si convertì davvero alla predicazione di Giona, cosa che non fece un gran piacere al profeta, che avrebbe preferito la punizione anziché il perdono alla città peccatrice!
Chiamati per annunciare. La vocazione coincide con la missione, che ha lo scopo preciso dell’annuncio. Nessuno è chiamato per essere qualificato o entrare a far parte di una certa casta, magari quella sacerdotale, ma per annunciare il vangelo. “Guai a me se non evangelizzo” diceva San Paolo, che si sentiva debitore del vangelo nei confronti di tutti.
Non è un compito facile, soprattutto perché la Parola di Dio è una spada a doppio taglio e penetra nel più profondo della persona. Nessuna circostanza può dispensare dall’annunciare la Parola. Certamente non si tratta di diventare una predica continua, ma di fare di ogni occasione lo spazio per seminare. Ricordo Madre Teresa di Calcutta il giorno in cui ricevette il premio Nobel della pace non perse l’occasione per annunciare ai capi di stato presenti l’orrore dell’aborto, del quale molti di loro erano responsabili.
Annunciare il Vangelo è sempre scomodo, perché Gesù è segno di contraddizione ed è facile nascondersi dietro l’idea di opportunità per dispensarsi dall’annuncio in certi momenti particolari. Si cita spesso Francesco di Assisi come esempio di tolleranza, dimenticando che andò dal sultano ad annunciare il Vangelo, per questo fu messo in prigione, percosso e rischiò la vita.
Niente può dispensare dall’annuncio formale del vangelo. Magdeleine Delbrel, dopo anni di collaborazione come assistente sociale con i comunisti della periferia di Parigi, si accorse che era indispensabile, insieme al lavoro e alla collaborazione, anche il formale annuncio del Vangelo, perché nessuno cadesse nell’equivoco che tra cristiani e comunisti non ci fosse differenza, la differenza che fa il vangelo. Ogni chiamato deve sentirsi inviato ad annunciare che Gesù Cristo è l’unico salvatore del mondo.
Pescatori di uomini. L’annuncio deve produrre i suoi frutti. Non è l’ascolto di una piacevole melodia che accarezza le orecchie e la propria sensibilità, lasciando l’uomo nella condizione di prima, ma deve produrre frutti di conversione. “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. L’annunciatore deve avere senso di responsabilità: la salvezza dei fratelli dipende dal suo servizio, ed è per questo che è stato chiamato. “Il tempo è assai breve, passa la figura di questo mondo”.
Dall’impegno che Gesù ha dato ai suoi di annunciare la Parola di Dio e pescare gli uomini, si è diffusa la Chiesa su tutto l’universo e i cristiani sono appena il 7% dell’umanità! Gesù ha chiamato poche unità, ma prima di lasciarci ha detto: “Andate in tutto il mondo e predicate il mio Vangelo ad ogni creatura”. È l’unica cosa che Gesù ci ha incaricato di fare. Tocca a noi, a seconda della chiamata che ci ha rivolto.