VII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Equilibristi sul filo della vita
Passiamo la vita come funamboli sospesi nel vuoto, con l’ansia di precipitare, concentrando tutte le nostre energie per rimanere in equilibrio. Cerchiamo di non cadere mai dalla parte sbagliata, ci teniamo in equilibrio con i compromessi, diventiamo esperti di diplomazia, prestiamo attenzione a non assumere posizioni che potrebbero diventare compromettenti.
Perdiamo gran parte del nostro tempo a valutare la corretta reciprocità dei comportamenti degli altri nei nostri confronti: le relazioni diventano visite di cortesia, gli incontri si trasformano in affari diplomatici, le feste assumono l’aspetto di circoli di ragionieri pronti a valutare se quanto è stato speso valesse davvero la pena. C’è gente che, prima di partecipare a un regalo di compleanno, cerca in archivio il pregresso del festeggiato nei suoi confronti. Vale la pena o non vale la pena?
La libertà di precipitare
Le letture di questa domenica, al contrario, potrebbero essere lette come un richiamo forte a spezzare l’equilibrio.
Nel racconto del primo libro di Samuele, Davide avrebbe la possibilità di uccidere Saul, che pure aveva tentato di eliminarlo. L’interpretazione di Abisai è chiara e si ammanta di motivi religiosi: «Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico» (1Sam 26,8).
Ma la risposta di Davide è l’espressione di chi si sottrae alla logica della vendetta, anche se questo significa rimetterci in prima persona. Se anche Dio avesse messo Saul nelle mani di Davide, Davide lo riconsegna nelle mani di Dio. Quante volte invece capita di giustificare le proprie rivendicazioni additando considerazioni spirituali che nascondono in realtà le logiche interiori più perverse.
Ogni volta siamo messi davanti all’alternativa di assecondare chi ci fa del male o sottrarci a quella logica e giocare su un piano diverso. Se giochiamo la partita di chi ci percuote con i suoi giudizi, di chi ci strappa la nostra dignità, di chi ci prende la vita senza il nostro permesso, allora diventiamo conniventi nel male. A volte, l’unica cosa che possiamo prendere per stare meglio, come diceva Lucy dei Peanuts, sono le distanze. A volte possiamo solo tirarci indietro, non seguire l’altro sulla sua strada.
L’amore è molto concreto e coinvolge tutto il nostro corpo. Per Gesù amare vuol dire fare (coinvolge le nostre mani), benedire (la nostra bocca), pregare (il nostro cuore).
La reciprocità è il surrogato dell’amore
Gli equilibristi sono in genere gli uomini della reciprocità. Abbiamo fatto della reciprocità un valore portante della nostra cultura, dell’educazione, delle buone maniere, ma certamente la reciprocità non è un concetto evangelico. Gesù ci invita ogni volta a uscire da queste dinamiche da partita doppia, da questa mentalità da ragionieri, in cui la mia risposta è sempre misurata su quello che ho ricevuto io dall’altro. Alla reciprocità Gesù sostituisce l’eccedenza. Rimanere sul piano della reciprocità significa rimanere in una logica pienamente umana, precludendosi la via del Vangelo.
Saremo degni di gratitudine quando avremo strappato la partita doppia, quando non ci aspetteremo più dall’altro risposte adeguate a quello che noi abbiamo investito, quando prima del rispetto dei nostri diritti, ci impegneremo nel compiere il nostro dovere: «E come volete gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro» (Lc 6,31). Come volete, non come fanno. Trasformiamo il nostro desiderio verso noi stessi in azione nei confronti degli altri, spezziamo l’equilibrio, giochiamo d’anticipo!
Dio con me non fa l’equilibrista
Il criterio di questo stile di amore ovviamente non lo trovo in me, ma si tratta di diventare consapevoli dell’amore che prima di tutto io stesso ho ricevuto da un altro: Dio non mi tratta secondo i miei meriti: «Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe» (Sal 102,10).
Ignazio di Loyola invita negli Esercizi spirituali a contemplare con meraviglia il fatto di essere stati salvati senza meritarlo. È da questa consapevolezza che nasce la forza per spezzare l’equilibrio. Dio infatti con me non ha ragionato in termini di reciprocità: «Qui sarà domandare vergogna e umiliazione per me stesso, vedendo quanti si sono dannati per un solo peccato mortale, e quante volte io avrei meritato di essere condannato in eterno per i miei tanti peccati» (Esercizi spirituali 48).
Se usciamo dalla dinamica della reciprocità, saremo i primi a beneficiarne. Siamo noi infatti che ci esponiamo al giudizio, alla condanna, all’accusa quando accettiamo di entrare in queste dinamiche: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (Lc 6,37-38).
Se il cammino del Vangelo ci conduce a somigliare a Dio, si tratta allora di un cammino che possiamo percorre solo se precipitiamo dalla corda dell’equilibrista, la misericordia di Dio infatti è eccedenza, senza reciprocità: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36).
Leggersi dentro
- Nelle tue relazioni sei particolarmente attento al modo in cui gli altri si comportano con te?
- Se Dio ti volesse trattare secondo il criterio della reciprocità, cosa dovrebbe fare nei tuoi riguardi?
P. Gaetano Piccolo SJ
Compagnia di Gesù (Societas Iesu) – Fonte