I due brani appartengono alla seconda parte dei discorsi di addio che Giovanni fa pronunziare a Gesù a ridosso della Passione, durante la Cena finale. Nel primo discorso (cap 14), dopo un un colloquio serrato con i discepoli, Gesù aveva messo a sintesi i tanti tratti del percorso di svelamento di sé e della propria missione, disegnando ancora la comunità nei suoi rapporti interni: statuto dell’amore reciproco, promessa della futura inabitazione divina. Il secondo discorso (capp 15-16) situa la comunità fuori dalla cerchia protetta, in cammino, proiettata in mezzo al mondo decisamente ostile. Qui si fa più evidente la particolare intersezione dei diversi piani cronologici nella riflessione, per cui l’esperienza storica di Gesù anticipa l’esperienza della comunità giovannea, per poi riverberarsi sul senso di tutte le ostilità tenaci che accompagneranno inevitabilmente ogni sviluppo della vita cristiana nel tempo.
La lettura evangelica ci offre in primis i due versetti finali del capitolo 15. Presentati così, isolati, risultano come depotenziati e un po’ criptici. Di quale testimonianza e di quale verità si parla? Se immersi nel contesto si caricano invece della vitalità tragica dell’Ora.
Quando verrà (v. 26) rimanda alla promessa fatta nel primo discorso: il padre … vi darà un altro chiamato-vicino perché rimanga con voi per sempre,… in una inabitazione destinata a non sciogliersi mai e che precede quella del Padre e di Gesù nell’interiorità del discepolo. … lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce (14,16-17). Già in questa anticipazione era emersa l’antitesi giovannea Verità-mondo, in cui cosmos ha l’accezione negativa di ingiusto ordinamento del mondo indurito nel rifiuto, mentre la Verità comincia a disvelarsi, non in senso cognitivo ma relazionale, come indefettibile fedeltà di Dio alla sua creatura e al proprio disegno salvifico. Quindi, a seguire, il tema del rifiuto era emerso con forza: Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta (15,18-ss). Ora si comprende qual è la testimonianza che l’Innocente condannato chiede per sé e che sa di ottenere dallo spirito del Padre. La narrazione della sua Verità, del suo essere la Verità di Dio, Io sono la via, la verità e la vita (14,6), come perfetta realizzazione nella storia della volontà di dono del Padre, dono della vita da effondere nell’amore, insieme allo Spirito (19,30). Dopo, al completo abbandono al Padre sarà affidata la riabilitazione del Giusto, iscritta nella Resurrezione.
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Ma anche la comunità, dall’altro versante della storia, lascia in questo brano emergere le proprie ferite, il proprio spaesamento nel ritrovarsi perseguitata, messa all’indice, scomunicata dal Tempio prima, dalla Sinagoga dopo, oltre che dall’Impero. Nella meditazione della parola il ricordo genera senso alle situazioni e conduce la comunità a fare anch’essa nello Spirito esperienza del mistero di morte-resurrezione. Nel dono dello Spirito così il discepolo riceve una particolare attitudine alla martyria, testimonianza di una nuova Alleanza, della Vita piena donata, della figliolanza del Padre condivisa perché donata dal Figlio sulla croce (1Gv 5,6-9).
Eppure lo spazio bianco tra i due brani che ci parlano dello Spirito, continua a essere riempito da una storia di male, un controcanto cupo, che fa resistenza e si ripropone anche se radicalmente sconfitto dall’evento resurrezione (16,1-11).
Allora ci è donata una chiave, la perseveranza che paziente si ponga le domande di senso: Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire.
La sapienza liturgica in questa festa di Pentecoste, memoriale antico della promulgazione della legge e memoriale nuovo della legge dello Spirito inscritta nei cuori, ci presenta un Gesù che pone un limite al suo insegnamento, che non riempie tutto lo spazio della conoscenza dei suoi, come il Creatore che ferma la sua azione nello shabat per lasciare spazio all’autonomia della creazione.
E’ all’opera dello Spirito che viene affidata la progressiva assimilazione della Verità tutta, non esoterica ma legata alla comprensione del mistero del Cristo, parola sempiterna scesa nella carne, umiliata e ingloriosamente respinta in Gesù Nazareno, reso poi dal Padre Signore nella gloria.
Caratteristiche dello Spirito: come Gesù, non parla a partire da sé, ma da un profondo silenzio/ascolto della parola di Dio: la tua parola è verità (17,17). E’ Spirito profetico che legge il presente della storia e lo interpreta secondo le categorie di Dio in un circolo attualizzante per cui il messaggio illumina la vita e la vita approfondisce la portata del messaggio. Ancora lo Spirito spinge perché la Parola compresa si realizzi, perché il progetto si dispieghi tra le mani dei credenti laddove nasce qualcosa che dica bellezza, arricchimento di vita, comunione, pace.
La testimonianza radicale dello Spirito in Giovanni illumina la tensione tra la salvezza offerta e la perdurante struttura di peccato. E’ un conflitto aperto tra luce e tenebre, tra l’adesione al progetto di Dio e l’autoaffermazione della propria solitudine, indisponibile alla comunione. C’è la rivelazione di un altro ordine di esistenza: quella del dono e non dell’accaparramento, dell’abbandono e non della resistenza. Opera dello Spirito è far vibrare il già detto, sottraendolo al rischio della mummificazione.
La consolazione del “chiamato vicino” non risulta perciò paralizzante delle situazioni, ma dinamizzante, perché mette in moto il cambiamento, la decisione nuova e l’assunzione delle responsabilità. La verità vi farà liberi, liberi dalla tirannia dell’angoscia e della paura in quanto già risorti, liberi dai sensi di colpa in quanto perdonati.
Lo Spirito, eternamente reinterpretando, suggerisce cammini nuovi, soffia con potenza là dove vuole, non curandosi delle appartenenze, lavorando per l’unità nelle diversità, per la creatività innovativa e non per la conservazione rituale e morale, a scongiurare il rischio palpabile di una chiesa senza Vangelo.
Commento a cura di Raffaella – Comunità Kairos
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay