Questa domenica chiude l’anno liturgico, per dare spazio ad un nuovo tempo di preghiera, tempo efficace di preparazione alla venuta del Signore.
Oggi si celebra la solennità di Cristo Re dell’Universo, la sua signoria sul mondo. Per fare memoria della regalità di Gesù, il vangelo odierno ci propone una pagina del lungo processo davanti a Pilato, secondo la narrazione di Giovanni.
Una sequenza di brevi scene compone il racconto del processo (Gv 18, 28 – 19, 16), scandito dall’entrare e uscire di Pilato, che si rivolge a Gesù e alle autorità giudaiche. La scena dell’incoronazione con una treccia di spine (Gv 19, 2) ne costituisce la parte centrale, rivelando in modo paradossale l’identità di Gesù, quale re egli sia. La regalità di Cristo si manifesta nell’umiltà, nel dono di sé, nella croce.
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Uno di fronte all’altro sono posti Gesù e Pilato, all’esterno stanno le autorità giudaiche; Pilato va e viene, realmente diviso, in balìa degli avvenimenti. Questa indicazione spaziale è significativa: fuori è il “mondo” incredulo, all’interno ha luogo la rivelazione.
È appunto il grande tema dell’identità di Gesù che siamo chiamati a meditare oggi, la sua regalità e autorità.
All’inizio e alla fine, delineando come una cornice all’interno della quale avviene il processo, l’evangelista precisa che era la vigilia di Pasqua (Gv 18,28 e 19,14), ponendo in questo modo un’evidente relazione tra il sacrificio dell’agnello pasquale e la condanna di Gesù. Egli è l’agnello di Dio che toglie e porta su di sé il peccato del mondo (Gv 1, 29). L’evento di liberazione che fonda la fede è ora la croce di Cristo, il dono del Figlio che ci rende figli.
Entro questa prospettiva si comprende che la sua regalità non è politica, ma escatologica. Dio ha l’autorità ultima sul mondo, questa verità rivela Cristo. Ma la realtà di Dio in mezzo agli uomini, “il regno di Dio”, si realizza qui e ora, non in un vago e indefinito futuro.
In Cristo, il presente non è più un fenomeno effimero, ma contiene in sé anche una dimensione trascendente capace di provocare il futuro, il futuro assoluto, l’eterno (G. Ravasi, su Sette del Corriere della Sera, 2/11/21).
Gesù andando incontro alla morte amando fino alla fine (Gv 13, 1) è pienamente uomo (Gv 19, 5) e porta a termine la rivelazione. Ecco il Regno di Dio. La corona di spine, il mantello porpora e la croce non ne smentiscono il senso, piuttosto ne sono una conferma. Nella teologia giovannea, l’abbandono del “mondo” è segno della presenza di Dio, di cui Gesù è la Parola definitiva (Gv 18, 37 e Gv 1, 18). L’amore di Dio opera secondo la logica pasquale del perdersi per ritrovarsi nell’altro, del morire per ricevere la vita.
L’autorità di Gesù emerge dal suo essere padrone degli eventi, li conduce, li affronta, pur inerme e prigioniero nei fatti domina i suoi avversari. All’opposto Pilato è incerto, timoroso, incapace di prendere posizione: il rappresentante del potere è sopraffatto dagli eventi.
Gesù apparentemente debole e sconfitto testimonia l’amore del Padre (Gv 3, 16-17) fino alla morte.
È questo l’uomo agli occhi del Signore, è questa la via tracciata per noi.
Commento a cura di Monica – Comunità Kairos
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay