DOMENICA «DELLE TENTAZIONI NEL DESERTO»
La « buona notizia », che ci viene portata dalle letture odierne, sembra possa sintetizzarsi in questo modo: Dio è con noi nella lotta per la vita e va innanzi, come un alleato e amico, per liberarci dalla morte e avviarci verso la pienezza dell’esistenza. Con instancabile «passione» per l’uomo, geloso di questa sua creatura, studia di fare breccia nel cuore umano, troppo spesso angosciato dalla tristezza, abbruttito dall’odio, per proporgli la strada dell’amore e del dialogo salvifico con lui.
L’uomo moderno sempre più prende coscienza del suo ruolo insostituibile di coartefice e coordinatore (cf. Gen. 1,28-29) delle forze vitali e delle energie immense che si sprigionano dalla creazione. Con la sua azione, egli s’industria a vivere in quella natura, che un tempo era per lui tanto misteriosa e inafferrabile.
Mentre rimane inebriato dal successo delle sue imprese, s’accorge, nello stesso tempo, come la realtà umana si faccia sempre più complessa e delicata. Allora il cristiano comprende e desidera, brama, una partecipazione sempre più larga dell’umanità ai vantaggi e ai frutti di tante conquiste; rivendica più umani trattamenti nel lavoro; cerca di liberare dalle varie schiavitù alle quali l’uomo è stato assoggettato. Queste sono anche le preoccupazioni e le ansie del Dio che si rivela lungo la storia sacra; con ripetuti richiami, egli sembra rinnovare l’invito all’uomo, ad unirsi sempre di più alla sua opera di creazione e di salvezza: lo cerca e lo sprona continuamente, perché voglia, con intelligenza, collaborare alla liberazione dell’universo (Rom. 8,22).
Dall’eucologia:
Antifona d’Ingresso Sal 90 (91),15-16
Egli mi invocherà e io lo esaudirò;
gli darò salvezza e gloria,
lo sazierò con una lunga vita.
Già dal primo testo liturgico, nell’antifona d’ingresso, il Sal 90 (91),15ac.l6a, DSap. risuona l’ottimismo. Questo Salmo, conosciuto come il Qui habitat, era molto pregato in ogni caso di necessità e dal pellegrino che recatosi al Tempio di Gerusalemme trascorreva la notte entro il suo recinto (v. 1) attendendo un oracolo di JHWH. Mettendosi sotto la protezione divina il fedele troverà salvezza e liberazione dal nemico, dalla malattia e da ogni pericolo (vv. 3-8.10-13). Questo salmo è particolarmente conosciuto nel N.T. (cf Mt 4,6: Mc 16,18; Lc 10,19) e il Satana lo utilizza per tentare Gesù che reagisce ribadendo che la fede nella provvidenza divina esclude ogni aspetto magico e non può essere un pretesto per “costringere” il Signore a compiere miracoli. La liturgia giudaica e cristiana (nella Compieta dopo i secondi Vespri della Domenica) lo propone come preghiera serale.
Nei versetti liturgici il Signore proclama per bocca di Cristo, l’Orante dei Salmi in Quaresima, che esaudirà sempre chiunque Lo invocherà (il giusto sofferente, Gb 22,27 e Ger 33,3; il giusto caritatevole, Is 58,9), tanto più il Figlio, il sommo Epicleta del Padre nello Spirito Santo (v. 15a). Il Signore lo sottrarrà da qualunque pericolo, e gli conferirà la sua gloria (v. 15c; Mt 4,11, gli Angeli che si accostano come al Re e servono come Dio il Tentato vittorioso). È la gloria che il Padre destina al Figlio (Gv 12,26), a cui il Figlio ha diritto (Gv 17,1-3), a cui il Figlio ammette donando lo Spirito Santo.
Canto all’Evangelo Mt 4,4b
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!
Non di solo pane vive l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!
La citazione di Mt 4,4b. (tratta da Dt 8,3) nel canto all’Evangelo dà il tono a tutta la Quaresima, e a tutta la celebrazione di oggi. Letta nel contesto dell’Evangelo di oggi, ne dà l’orientamento, accentuando il senso forte della Parola Pane, «il Corpo di Cristo che si mangia ascoltando» (i Padri), il Cibo divino sempre indispensabile, ma tanto più nella tensione spirituale quaresimale.
II Colletta
Dio paziente e misericordioso,
che rinnovi nei secoli la tua alleanza con tutte le generazioni,
disponi i nostri cuori all’ascolto della tua parola,
perché in questo tempo che tu ci offri
si compia in noi la vera conversione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Come già abbiamo detto e poi verificato, testi alla mano, lo scorso anno, ribadiamo ancora una volta che la Quaresima «prepara» alla Resurrezione: ma solo come tempo. Come contenuti, invece, celebra la Resurrezione, in specie nelle sue Domeniche (sulla duplice indole cf SC 109 e 110 del Concilio Vaticano II).
Nel lezionario domenicale, che comprende i tre cicli di letture, è stato disposto che l’anno A, sia come il prototipo di quello che deve essere questo tempo liturgico. Per la grande importanza che i brani biblici del Ciclo A hanno in rapporto all’iniziazione cristiana è data la possibilità di proclamarli anche negli anni B e C, specialmente se ci sono dei catecumeni. Sono stati perciò conservati, nella I e nella II domenica, i temi tradizionali delle tentazioni del Signore e della Trasfigurazione, che per di più sono comuni ai tre cicli, ma sono stati ricuperati, per le domeniche III, IV e V, gli Evangeli classici della Quaresima catecumenale: la samaritana, il cieco nato e la resurrezione di Lazzaro.
Queste domeniche negli anni B e C, si occupano di aspetti del mistero pasquale e della chiamata alla conversione.
La domenica delle Palme si concentra sulla proclamazione della Passione del Signore, letta ogni anno nel testo di uno degli evangelisti sinottici, esattamente come si fa nelle domeniche I e II nelle quali gli episodi delle tentazioni e della trasfigurazione sono presi da uno dei detti evangelisti.
L’episodio delle tentazioni proclamato dalla liturgia di questa domenica, non è solo un momento decisivo nella vita di Gesù, ma è, più ancora, il dramma di Adamo nel paradiso terrestre, di Israele nel deserto e di ogni cristiano in questa vita.
«Eri in Cristo ed eri tentato tu» dirà sant’Agostino, mentre il prefazio della messa ci svela il senso di questa prima domenica quaresimale:
Egli (Gesù) consacrò l’istituzione del tempo penitenziale
con il digiuno di quaranta giorni,
e vincendo le insidie dell’antico tentatore
ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato,
perché celebrando con spirito rinnovato il mistero pasquale
possiamo giungere alla Pasqua eterna.
Tutti gli altri testi biblici e liturgici di questa dom. girano intorno a questo grande contenuto fondamentale; le letture dell’A.T. ci presentano i primi momenti dell’uomo e del popolo di Dio, momenti di tentazione e di caduta. Le seconde letture completano il messaggio facendoci riflettere sul peccato, sul battesimo e sulla fede.
Il cristiano vincerà la tentazione solo se terrà sempre presente il grande avvertimento, valido per l’intera Quaresima e per l’intera vita: «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4 = Dt 8,3; vedi versetto del canto all’evangelo). Cibo principale del credente è lo stesso cristo, che ci si offre sulla duplice mensa della Parola e del sacramento:
Il pane del cielo che ci hai dato, o Padre,
alimenti in noi la fede,
accresca la speranza,
rafforzi la carità,
e ci insegni ad avere fame di Cristo,
pane vivo e vero,
e a nutrirci di ogni parola che esce dalla tua bocca.
Per Cristo nostro Signore.(Dopo Com.).
I lettura: Gen 9,8-13
Il racconto di Noè che si rifa ad antichissime tradizioni, vuole mettere in luce l’ostinazione dell’uomo a voler fare da sé, senza Dio, rompendo il rapporto di dipendenza che lega l’uomo a chi lo ha creato. Questo atteggiamento lo porta alla dissoluzione e alla morte, (il diluvio ne è un segno e una conseguenza), ma Dio che si è impegnato con la sua creatura la cerca continuamente e le dà occasione di salvezza nell’arca di Noè.
Questo amore non procura solo la salvezza all’uomo, ma compromette ulteriormente Dio che è spinto ad allacciare un patto di amicizia e di salvezza con l’uomo e con tutto il creato (Gen 9, 8-11),
Il vangelo di questa prima domenica di Quaresima è breve: quattro versetti Dunque questo intervento di Dio è ripensato e riprodotto non solo a vantaggio del popolo ebraico, ma di tutti gli uomini e di tutto l’universo: il Dio che salvò Noè è il Dio di tutto il creato.
Di questa alleanza sarà segno la fedeltà delle leggi naturali (Gen 9,13-16).
L’uomo attraverso la conoscenza delle realtà create e delle leggi che le governano potrà incontrare il Dio amico, che è capace di procurare salvezza.
Si rileva inoltre che questo patto è totalmente gratuito in quanto non solo l’iniziativa è di Dio, ma solo lui si impegna e chiede all’uomo solo di accettare questa proposta di salvezza.
Dopo il diluvio il Signore rinnova l’alleanza. La prima alleanza era cosmica, abbracciava l’intero mondo creato, ed era stata concessa ad Adamo, posto come signore della creazione divina (Gen 1-2). Adesso Noè prende la responsabilità di Adamo come mediatore umano dell’alleanza, anche questa cosmica. Il Signore la promette a Noè e ai suoi familiari come eterna, lungo le generazioni (vv. 8-9), e comprenderà anche tutti gli animali della terra, del cielo e del mare (v. 10). Per il titolo dell’alleanza, i viventi non saranno più sterminati, non avverrà mai più un diluvio (v. 11).
Il Signore pone e dona anche il segno sacramentale dell’alleanza cosmica universale (v. 12), l’arcobaleno, segno cosmico e memoriale eterno per il Signore (v. 13). Il diluvio antico sarà un elemento della tipologia battesimale del N. T.
La situazione del mondo, in cui viene a trovarsi Noè, non sembra molto diversa dalla nostra. Varie volte, e con diversi accenni e allusioni, l’agiografo ne dipinge la drammatica realtà, insistendo sulla depravazione, malvagità e infedeltà a Dio. Ci dà la visione di un mondo a una sola dimensione, orizzontalmente livellato, tutto chiuso in se stesso, e perciò votato alla distruzione. Noè si stacca da questa bolgia di morte, e, aprendosi a un attento e faticoso dialogo con Dio, trova salvezza per sé e la sua famiglia. «Egli solo trova grazia» (Gen. 6,8). Con questa espressione, si sottolinea anzitutto il desiderio di Dio di allacciare un dialogo di salvezza con l’uomo, ma uno solo è pronto ad aprirsi con docilità alla sua iniziativa e al suo dono, con una fede incondizionata e coraggiosa; per cui «ricevuto un responso di avvenimenti che non si potevano ancora prevedere, con pio timore, preparò un’arca, per la salvezza della sua famiglia» (Eb 11, 7).
Noè ci appare come l’uomo attento e insoddisfatto del benessere raggiunto dalla sua «civiltà» (Mt 24,37); per questo accetta, nonostante fosse umanamente insensato costruire un’arca così immensa, di affidarsi unicamente alla parola di un’Altro. I fatti lo convinceranno, che non aveva creduto invano, e che la parola di Dio è un appoggio più solido dell’evidenza dei sensi. Per questo accetta volentieri di legarsi definitivamente a quest’Amico che lo coinvolge in una solidarietà irrevocabile, a vantaggio di una nuova umanità, uscita dal lavacro purificatore.
L’evangelo di Marco, dà inizio alla descrizione dell’attività di Cristo, con questa pagina, dove viene messo in risalto come in lui abbia inizio una nuova creazione. Nel caos primordiale, essa viene plasmata dalla forza creatrice dello Spirito, come ora la medesima forza spinge Gesù nel deserto, per dare inizio, proprio da questo regno di morte, alla sua opera di salvezza. È per questo che Gesù ci viene offerto dall’iniziativa amorosa del Padre (Rom. 5, 8 ss.; 1 Gv. 4, 9): in tal modo egli dà compimento a tutte le sue proposte di solidarietà e di amicizia con l’uomo. In questo dono del Padre, noi possiamo vedere la nostra «immagine» quale è stata voluta dal disegno divino. In lui, posto nelle condizioni più difficili, ci è dato il modello di come l’uomo deve rispondere, per realizzare la pienezza dell’esistenza. Essere creatura, significa dovere se stessi a Dio.
In tutte le sue scelte, Gesù esprimerà chiaramente quest’esigenza e questa convinzione, abbandonandosi totalmente al volere del Padre (Gv 4,34).
Per questa ragione, si opporrà decisamente a tutto ciò che è contrario al piano paterno; respingerà qualunque soluzione proposta dal buon senso comune e dalle idee, anche religiose, di un messia, giustiziere implacabile.
Anche gli apostoli avranno bisogno di convertirsi, di fronte a questo nuovo modo di vedere le cose; dovranno lottare non poco, per accettare questa novità così sconcertante, che viene loro proposta da Dio stesso.
Il contesto della pericope evangelica è il battesimo del Giordano, immediatamente precedente, e l’inizio della predicazione in Galilea. La breve informazione marciana sul digiuno di 40 giorni nel deserto e sulla tentazione è ampliata da Matteo e Luca in una triplice tentazione. Una fonte scritta comune per Matteo e Luca non è ovvia; se c’è una fonte comune, uno dei due evangelisti l’ha sfruttata con una certa libertà. Le citazioni bibliche sono identiche nei due evangeli. L’ordine della seconda e della terza tentazione è invertito in Luca rispetto a Matteo; l’ordine del primo evangelo sembra avere un crescendo deliberatamente voluto.
Il brevissimo brano evangelico di Marco è distinto in due momenti molto diversi:
- Primo momento (vv. 12-13) è quello delle tentazioni di Gesù, sulle quali Marco non dice altro.
- Il secondo momento (vv. 14-15) è quello degli inizi del ministero pubblico in Galilea.
Sempre laconico, Marco concentra grandi temi che la catechesi apostolica certamente sviluppava. Per dare maggior respiro alla brevissima pericope delle tentazioni (1,12-13), il brano liturgico propone anche i due versetti seguenti (vv. 14-15) che presentano l’inizio della predicazione di Gesù in Galilea. Non dimentichiamo però che gli stessi versetti sono già stati letti nella 3a domenica del Tempo ordinario.
Esaminiamo il brano
- 12-13 Appena un accenno a quanto dicono gli altri due sinottici; una narrazione brevissima con uno stile semplice e descrittivo. Il brano evangelico proposto in questa domenica è estremamente ridotto. Sarà opportuno comunque rimanere fedeli al testo del secondo evangelista e non cedere alla tentazione di commentare la versione più nota degli altri due.
«Lo Spirito lo sospinse nel deserto»: L’evangelista adopera un verbo quasi violento, da “esorcismo” (cf lectio di Mc 1,43 dell’evangelo della VI Dom. Tempo Ord. B): ekbállei è un presente storico, da ek-bállō (= ‘gettare fuori’), e indica l’azione di spingere qualcuno fuori da un ambiente. Con forza cioè lo Spirito Santo lo tirò fuori dalla folla che circondava il Battista, per spingerlo nella solitudine del deserto, luogo tipico della prova e della verifica. L’evangelista vuole così sottolineare che a tale azione spirituale Gesù fu docile e insieme non potè opporsi.
«lo Spirito»: tò pneûma con articolo anche in greco; il che rimanda spontaneamente allo Spirito Santo menzionato prima (vv. 8 e 10). Gesù non va nel deserto di sua spontanea volontà. Quello stesso Spirito che rese possibile la sua generazione (Mt 1,20) ed era venuto visibilmente su di lui per mostrare a tutti il compiacimento del Padre (Mc 1,10-11), ora lo conduce nel deserto come aveva condotto il popolo eletto (Dt 8,2).
Secondo la tradizione, teatro delle tentazioni fu la zona desertica intorno a Gerico (deserto della Giudea), non lontano dal luogo del battesimo (zona, sempre secondo la tradizione, individuata con El Maghtas, circa 9 Km a est-sud est di Gerico).
I visitatori di Tell es-Sultan (la Gerico dell’A/T.) godono un’ottima vista del tradizionale Monte delle Tentazioni (la tradizione risale al VII secolo) sulla cui cima Satana offrì a Gesù tutti i regni della terra a patto che si prostrasse per adorarlo. II nome arabo della montagna, Jabal Quruntul, deriva evidentemente dalla parola francese quarante introdotta dai crociati in ricordo dei quaranta giorni delle tentazioni.
«deserto»: è il luogo della penitenza e della prova, ma anche dell’incontro con Dio e della preghiera (Os 2,16). In vari testi è presentato pure come il luogo in cui Satana vaga (Mt 12,43; Lc 11,24; Tb 8,3; Is 13,21; 34,14). Soprattutto, però, si deve tenere presente l’esperienza unica di Israele, che nel deserto aveva ricevuto la sua formazione. In qualche modo da Dio e saggiato nella sua fedeltà all’alleanza sinaitica, e «tentatore» a sua volta di Dio nell’esigere da lui continui interventi miracolosi (cf Dt 8,2-6; Sal 95,8-10).
«quaranta giorni»: cifra tonda, consacrata dalla tradizione biblica. È il tempo d’attesa per l’opera mirabile di Dio: la salvezza.
«tentato»: in gr. peirázō nel linguaggio biblico ha un duplice significato: «mettere alla prova, saggiare» e «far deviare dalla retta via». Nel nostro brano prevale il secondo significato e l’azione deve intendersi estesa per tutti i 40 giorni (cf participio presente in greco).
«da satana»: trascrizione dall’ebr. satan, aramaico satana, che significa propriamente «il nemico», «l’avversario» (cf 1 Re 11,14.23), l’accusatore dell’uomo per rovinarlo e rovinare il Disegno divino (cf tutto Giobbe).
I LXX lo resero con «diavolo» (alla lettera «il divisore», gr. dia-bàllò,) e così fanno pure Matteo e Luca nelle narrazioni parallele.
Marco usa sempre «satana» (cfr. 3,23.26; 4,15; 8,33).
II genere delle tentazioni non è precisato, ma la vita di Gesù sulla terra sarà tutta punteggiata da un continuo combattimento contro le potenze del male, impersonate da satana, il nemico di Dio (cfr. 3,22-27).
«stava con le fiere»: è una notazione esclusiva dell’evangelista Marco. Gli animali più comuni del deserto sono: gazzelle, sciacalli, lupi, iene, serpenti e anticamente in Palestina non mancavano nemmeno i leoni.
Per Giovanni Crisostomo (vescovo e dottore della Chiesa, nato nel 347 e morto il 14 sett. del 407) e per alcuni esegeti, anche moderni, questo particolare ha un valore semplicemente descrittivo, quasi a sottolineare la realtà della permanenza di Gesù nel deserto.
Per altri, invece si deve interpretare come un parallelismo con Adamo nel paradiso terrestre; egli è come il nuovo e perfetto Adamo che vive nel giardino del mondo in pace con tutte le creature. Naturalmente non nel senso che gli animali selvatici insidiano la vita di Gesù o che sono strumenti nelle mani di satana; ma più semplicemente come un ritorno a quella pace, serena e tranquilla, con tutti gli esseri della natura, che Adamo godeva prima del peccato. È la pace di chi è vicino a Dio e gode della sua protezione (cfr. Sal 90 (91),13; il celebre brano di Is 11,6-8).
«gli angeli lo servivano»: il verbo dell’originale greco (diakonéō) può essere preso nel senso particolare di «servire a mensa, apparecchiare il cibo» (cfr. Mc 1,31) e indicherebbe che Gesù viene «servito» dopo aver digiunato.
Oppure si prende nel senso più generico di «assistere, stare presso qualcuno per prestargli dei servizi» (cfr. Sal 90 (91), dove sono ricordate le prove, il demonio, le fiere e gli angeli; si veda anche in 1 Re 19,8, dove Elia è servito da un angelo nel deserto). Quale che sia il particolare sta ad indicare una singolarissima assistenza da parte di Dio, il quale non permette che il suo eletto soccomba alla fame, alla tentazione o a qualunque altro male; ma indica anche la superiorità e la vittoria di Gesù su satana, vittoria che da Marco non è riportata esplicitamente.
Gesù si lasciò guidare dallo Spirito nel momento cruciale della riflessione e della decisione: la rivelazione del Giordano l’ha presentato come il Messia, ma non era così scontato e sicuro capire chi fosse il Messia, che cosa dovesse fare e come dovesse farlo. Gesù deve scegliere. E vuole scegliere secondo la volontà di Dio.
Marco non esplicita le tentazioni di Gesù; ma trasmette solo la notizia del ritiro di Gesù nel deserto e la presentazione del fatto che è stato tentato. Durante tutta la sua vita si è ripetutamente posto il problema della sua messianicità: la gente che lo ascolta e lo applaude ha tante idee diverse del Messia, ognuno vorrebbe che Gesù corrispondesse alla propria. I suoi stessi discepoli hanno consigli da dargli e proposte alternative; di fronte all’annuncio della passione, Pietro lo prende in disparte e lo rimprovera; fino all’ultima tentazione sulla croce, quando molti gli gridano: «Salva te stesso scendendo dalla croce!» (Mc 15,30). Durante tutta la sua vita Gesù è stato tentato di scegliere altre strade e altri modi.
- 14-15 – «Giovanni fu arrestato»: nell’accenno dell’arresto Giovanni Battista è mostrato precursore anche nella passione, oltre che nella nascita e nella predicazione di Gesù.
Nell’esporre, sia pure in sintesi, la predicazione del maestro, Marco è più specifico degli altri evangelisti; la delinea infatti non con due (Mt 4,17) ma con quattro fasi:
- «il tempo è compiuto» riassume il senso della storia della salvezza, nella quale più che la quantità (chrònos), conta la qualità del tempo (kairòs).
- «il regno di Dio è vicino»: Dio si è avvicinato agli uomini e fa sentire la sua presenza nell’opera salvifica di Gesù; ma spetta agli uomini rispondere alla chiamata e sottomettersi docilmente alla sua sovranità, facendo quanto Gesù richiede con i due imperativi: convertitevi e credete.
- «convertitevi»: (gr. metanoéō) non è un semplice riconoscimento dei propri errori, ma di un cambiamento radicale dell’uomo; cambiamento che è poi un ritorno a Dio da cui l’uomo si era allontanato con il peccato.
- «credete all’evangelo»: credete in forza dell’evangelo.
«si è avvicinato»: La forma verbale di engízō non significa che è un po’ più vicino di prima, ma afferma che è proprio qui, è arrivato, ci siamo! Lo stesso verbo ritorna ancora sulle labbra di Gesù, quando nel Getsemani sveglia gli apostoli per dire loro che il traditore «è qui» (Mc 14,42) e, mentre ancora sta parlando, Giuda gli si accosta. Dunque Gesù dice che «il regno di Dio è qui!»: finalmente Dio interviene per prendere in mano la sorte del mondo e cambiarla. E nella persona stessa di Gesù Dio è all’opera per cambiare il mondo.
Nell’offerta che Gesù fa di se stesso sulla Croce e con la Resurrezione, oggi ascoltiamo questa Parola con la certezza che, anche nel terribile deserto della morte, Dio può mandare a compimento il suo piano universale di vita e di salvezza. Noi oggi troviamo, comprendiamo e amiamo l’opera di salvezza divina.
Donando una nuova vita a Gesù, il Padre conferma concretamente le sue promesse, e offre una convincente risposta all’atteggiamento di servo obbediente, vissuto da lui (Fil 2, 5-11). S. Pietro ci ricorda poi che, col battesimo, veniamo inseriti nella risurrezione di Cristo, in modo che la stessa forza vitale si trasmette a ciascuno di noi, e ci dà la possibilità di ripeterne le scelte e lo stile.
L’acqua del battesimo è il povero segno di quella realtà che si è stabilita tra noi e il Cristo; è il segno indelebile di quella solidarietà e di quell’amicizia, alla quale Dio non verrà mai meno nei miei confronti.
Dio mi ha raggiunto nella mia disperazione, nella mia solitudine, per mezzo del suo figlio. Con tutta serietà e verità, si è inserito nel mio deserto. Ha portato questa condizione maledetta, caricandosi della sofferenza di tutti gli uomini, della loro sete di giustizia mai soddisfatta, della loro povertà, del loro desiderio di pace.
Ha unito il suo sudore a quello dell’operaio sfruttato; il suo sangue a quello versato dagli uomini sopraffatti, schiacciati dall’odio e dalla violenza.
Raggiunto così da Dio, nel mio deserto di disperazione, ho trovato l’amico che con me lotta, lavora, suda e muore, nell’abbandono più assoluto.
Ma proprio perché ho trovato questo Altro, sento che il mio deserto si anima, prende vita. Lo Spirito si diffonde nel nostro cuore, e, vivificandoci dall’interno, ci fa scoprire di essere un gruppo, una massa, unita misteriosamente, così da formare come un solo corpo, un’unica vite.
Il nostro deserto si popola, si anima, si muove, come il caos primordiale, sotto la spinta del soffio divino, o come le tribù d’Israele che, nell’attraversare il deserto, si costituiscono in popolo di Dio.
Nella liturgia eucaristica, questo intero percorso viene vissuto simbolicamente, impegnandoci a vivere la quaresima in spirito di rinnovata fedeltà all’amore che Dio ci porta.
Colletta I
O Dio, nostro Padre,
con la celebrazione di questa Quaresima,
segno sacramentale della nostra conversione,
concedi a noi tuoi fedeli di crescere
nella conoscenza del mistero di Cristo
e di testimoniarlo con una degna condotta di vita.
Per il nostro Signore…
Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano