Commento al Vangelo di domenica 2 Maggio 2021 – p. Alessandro Cortesi op

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p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

L’ulivo con la vite costituisce una delle caratteristiche del panorama mediterraneo e la vigna è riferimento che attraversa il Primo Testamento. Evoca da un lato la cura appassionata e la fedeltà di Dio; conduce anche a considerare le fatiche e infedeltà all’alleanza donata. La vigna è cantata da Isaia con riferimento al popolo d’Israele oggetto della cura di Dio ma che vive la durezza di cuore (Is 5,1-6; cfr. Ger 2,21; Ez 13,1-6). E nei salmi si prega Dio “volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato” (Sal 80,9-10.15-16).

Nel contesto dell’ultima cena il IV vangelo riporta i discorsi di Gesù ai capp. 15 e 16 con il riferimento alla vite. Il richiamo riprende le voci dei profeti con l’indicazione della cura ma anche della mancanza di risposta e coinvolgimento. Gesù dice: ‘Io sono la vera vite’. La vite passa da essere rinvio ad Israele ad indicare Gesù stesso: nella metafora si possono scorgere aspetti della sua identità in rapporto inscindibile con il popolo d’Israele ed nella relazione con tutti coloro che Gesù ha legato a sé. In lui si rende presente la cura e la fedeltà del Padre cui le pagine profetiche con il rinvio a questa immagine facevano riferimento. E’ ancora lui a portare quei frutti che il Padre si attendeva: sono giunti allora in lui i tempi ultimi.

L’affermazione ‘io sono la vera vite’ indica anche Gesù quale portatore di una comunione di vita: tutti possono rimanere a lui uniti e trarre una linfa di vita. Credere nel suo nome indica perciò vivere un rapporto di vicinanza e sequela: essere tralci vivente della sua stessa vita apre a portare frutto cioè a rendere la vita significativa e piena in relazione con gli altri.

‘Rimanere’ è il verbo che esprime questo rapporto di conoscenza e intimità. ‘Rimanete in me’ è invito ripetuto: rinvia ad una familiarità di vita, alla condivisione di esperienza (Gv 6,56).

Gli stessi tralci non vivono da soli, distaccati gli uni dagli altri, ma insieme: Gesù propone ai suoi un ‘rimanere’ che implica accogliere e vivere come comunità in rapporti di relazionalità viva, di accoglienza reciproca: motivazione e forza dello stare insieme sta nella corrente di vita che da lui proviene. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.

Alessandro Cortesi op

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