Commento al Vangelo di domenica 2 Giugno 2019 – Ileana Mortari (Teologa)

“Riceverete la forza dallo Spirito santo”

Se nella liturgia festiva il primo brano biblico è sempre collegato al vangelo, nella festa dell’Ascensione le due letture sono visibilmente complementari l’una all’altra e andrebbero viste in sinossi. Esse descrivono lo stesso momento della vicenda di Gesù, ma con evidenti differenze o addirittura contraddizioni. Ad esempio, come mai nel vangelo Luca pone l’ascensione di Gesù alla sera di Pasqua e in Atti invece quaranta giorni dopo? La risposta a questa domanda ci permette di cogliere quello che è il contributo più originale del terzo evangelista alla formazione del Nuovo Testamento.

Anzitutto è solo lui che parla diffusamente dell’ascensione di Gesù, come è solo lui che ha avvertito la necessità di non fermarsi al racconto della vita e delle opere del Nazareno, ma di proseguire con quello dei primi tempi della Chiesa. Erano gli anni 80-85 e nella sua comunità (probabilmente ad Antiochia di Siria) si riproponeva e diventava sempre più angoscioso un interrogativo: come mai la promessa seconda venuta di Cristo nella gloria (detta “parusia”) tarda tanto? Che fare nel frattempo?

E’ proprio questo stesso interrogativo che il redattore ha posto in bocca agli apostoli in Atti 1,6: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno di Israele?” e nel seguito dell’episodio vediamo quella che era stata la risposta trovata da Luca al preoccupato interrogarsi suo e della sua comunità.

“Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”, dice Gesù in Atti e più brevemente nel vangelo.

La prima parte della risposta è negativa: non può essere data alcuna soddisfazione alla pruriginosa curiosità (dei discepoli allora, ma di molti altri anche dopo e ovviamente pure oggi!) circa il momento preciso della fine del mondo e del conseguente ritorno glorioso del Cristo. Inutile pretendere di saperlo (neppure il Figlio dell’uomo lo sa! – cfr. Marco 13,32) e tanto meno almanaccarci sopra.

La seconda parte – positiva – parla invece del dono dello Spirito; questo dono, spesso promesso da Gesù nel corso della sua vita terrena, renderà possibile la testimonianza degli apostoli e la realizzazione delle profezie che parlavano di una estensione universale della salvezza. Ma allora non si deve neppure più attendere il giorno della restaurazione nazionale. Il momento decisivo è già arrivato e il compito dei discepoli è testimoniare la venuta del Messia predetto dai profeti, e nel suo nome annunciare la Buona Novella a tutte le genti.

“Io ti renderò luce delle nazioni – aveva detto l’oracolo del Servo di Jahvè in Isaia 49 – perché tu porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”. Questa profezia si realizzerà proprio grazie a coloro che sono inviati da Gesù. Il racconto degli Atti terminerà infatti con l’arrivo e la predicazione di Paolo a Roma, centro del mondo di allora, e dunque garanzia di una diffusione davvero universale della Buona Novella. Luca ha colto ed espresso la perfetta continuità tra la missione di Gesù e quella degli apostoli; e quest’ultima rientra a pieno titolo nel provvidenziale disegno del Padre.

E’ proprio sul crinale di queste due fasi della storia della salvezza che si colloca l’ascensione di Gesù, riportata solo dal terzo evangelista (in Marco venne aggiunta all’inizio del II° sec.d.Cr. con tutto il “blocco” di 16,9-20).

Al tempo di Luca già circolava nelle comunità apostoliche un antico kerygma dell’esaltazione celeste del Cristo (cfr. Fil.2,9-11 e Rom.8,34) e la tradizione biblica annoverava alcuni casi di importanti personaggi assunti in cielo come Enoch, Elia ed Eliseo. Così Luca pensò di costruire uno, anzi due racconti che in qualche modo esprimessero in termini visibili il mistero della dipartita di Gesù.

Nel vangelo egli vuole mostrare come l’ascensione è la realizzazione piena e definitiva della pasqua di Cristo (risorgendo, Gesù è tornato al Padre che lo ha esaltato e glorificato) e dunque la pone la sera stessa del giorno della resurrezione. All’inizio degli Atti, invece, egli introduce il periodo dei 40 giorni per sottolineare la necessità di una prolungata permanenza di Gesù tra i suoi (ed esclusivamente con i suoi!), che egli stesso prepara alla missione. Il numero 40 è evidentemente simbolico e si ritrova sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento (Mosè rimane sul Sinai 40 giorni e 40 notti, Gesù resta 40 giorni nel deserto prima di iniziare la sua predicazione): è il tempo classico di un’esperienza religiosa forte, che precede ogni missione importante.

In conclusione, che cosa ci dice la lettura comparata dei due testi? Un annuncio molto consolante: non ha senso stare fermi a guardare in alto in attesa della parusia (cfr. Atti 1,11), ma con la certezza che il Signore, non più visibile agli occhi, è ugualmente presente in mezzo a noi e in noi grazie al dono dello Spirito, siamo chiamati a testimoniarLo nel mondo, soprattutto con una vita di amore. E tutto questo porta con sè una grande, grandissima gioia!

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