Il racconto di Luca, incisivo e immaginifico, come sempre, ci offre in questo brano una grande rappresentazione sacra, una LITURGIA fatta di Parola, Azione, Esortazione, Benedizione, Innalzamento glorioso.
Nella grande LITURGIA dell’ASCENSIONE l’umanità dei discepoli sperimenta il proprio ribaltamento, matura il più profondo dei cambiamenti. L’umanità con tutto il suo peso di paure, sgomento, stupore, incredulità conquista la dimensione spirituale della certezza, della pace, della gioia.
Dall’inizio alla fine del brano accade tutto il contrario di quello che potrebbe essere pesantemente umano; ovvero: dapprima il sogno di un ritrovamento: l’amico del cuore che torna dopo una dolorosa assenza, e poi la delusione di un distacco che lo porta lontano per sempre! Ma non è così per i discepoli guidati dalla mano sapiente del Signore; anzi è esattamente il contrario.
Essi (“gli Undici e gli altri che erano con loro”) sono riuniti e stanno commentando, tra stupore e incredulità, il racconto dei due compagni che, sulla strada per Emmaus, avevano fatto il misterioso incontro, ed ecco che, in mezzo a loro, compare GESÙ che augura “pace”. Sono turbati e dubbiosi. Cos’è, un fantasma?
GESÙ deve subito intervenire per persuaderli ch’Egli è vivo, porta ancora evidenti i segni della passione nelle mani e nei piedi ch’essi possono vedere e toccare, e può addirittura mangiare davanti a loro una porzione di pesce arrostito. La concretezza dei gesti persuade i discepoli che Gesù è veramente risorto, come avevano riferito le donne andate di buon’ora al sepolcro e come stavano raccontando i compagni di Emmaus. Ma la loro immediata certezza diventa consapevolezza con la spiegazione delle Scritture da parte del Maestro. Gesù ribadisce quello che tante volte aveva detto senza essere compreso a fondo: doveva accadere ch’Egli soffrisse e morisse per poi risuscitare il terzo giorno affinché si compissero le SCRITTURE e si realizzasse la volontà di Dio di salvare l’umanità dal male e dalla morte.
Quante volte quegli uomini “tardi a comprendere” avevano udito, e assai probabilmente ritenuto a memoria, i testi della Legge, dei Profeti e dei Salmi, senza capirne il senso vero. Ma ora, dopo quanto era accaduto, dopo lo scoramento per la morte di Gesù, la fine di tutto! ecco accendersi una fiammella di comprensione alla vista dei gesti concreti di quel VIVENTE! Le Parole di GESÙ spandono ulteriore luce sui discepoli che con intelligenza nuova adesso ricevono l’invito a divenire testimoni dell’accaduto, testimoni della morte del FIGLIO dell’UOMO che è venuto a prendere su di sé tutto il male del mondo per liberare tutti col perdono e la misericordia del Padre.
Niente è più come prima. Il senso stesso della vita è cambiato. La testimonianza è la missione che attende i discepoli, a partire da Gerusalemme, fino agli estremi confini della terra, appena saranno fortificati dall’effusione dello SPIRITO SANTO, che GESÙ manderà al suo posto. Essi però sono umanamente già pronti a riceverLo, poiché la loro umanità si è pienamente adeguata al disegno di Dio: essi infatti ora seguono il Maestro fuori dal chiuso delle loro paure e dall’angustia delle loro resistenze. Sono ora a Betania, luogo dell’amicizia con Dio, e GESÙ li benedice mentre viene innalzato, ed essi provano GIOIA.
L’amico amato, il Maestro, il Signore scompare ai loro occhi, ma nel loro cuore alberga la gioia liberante di chi ha preso coscienza che EGLI è vivo, fuori dal tempo, e perciò per sempre presente. Non c’è da elaborare nessun lutto, ma da gioire della Sua Gloria e da preparare la Via per il suo Ritorno ultimo e definitivo.
Le infondate attese di un tempo: “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”, così ottusamente racchiuse nei tempi brevissimi di un’epoca storica, sono state soverchiate dalla GIOIA insperata di partecipare alla GLORIA di Dio insieme col FIGLIO (“Vado a prepararvi un posto” aveva promesso GESÙ), poiché quel FIGLIO sta riportando al PADRE l’immagine rinnovata del vero UOMO, così come EGLI l’aveva creato, libero dagli insulti del Male, in virtù della GIUSTIZIA di quel VIVENTE e della SUA paterna COMPASSIONE.
E’ a questo punto che, nella grande LITURGIA dell’ASCENSIONE, rinnovata da Luca nel primo capitolo degli ATTI, trova posto la primitiva CHIESA di Cristo formata dagli Apostoli e da molti discepoli. Sono all’inizio le stesse persone che hanno assistito all’Ascensione di GESÙ e che hanno ricevuto con la benedizione la missione di portare fino agli estremi confini della terra la buona novella della Resurrezione di GESÙ, cardine della fede e della speranza cristiana nella salvezza per l’umanità intera.
Seguirà nel racconto lucano l’altra grande LITURGIA della PENTECOSTE che vedrà aumentare la piccola comunità iniziale e nascere un autentico rapporto di carità fra i suoi membri.
A questa Chiesa che nasce sullo sfondo delle grandi LITURGIE apparteniamo tutti noi cristiani. Cosicché a noi tutti sono rivolte le Parole di GESÙ dell’odierno vangelo.
Ciascuna comunità, piccola o grande, deve sentirsi associata al nucleo primitivo che ebbe l’occasione di vedere e sentire GESÙ, ma dovette passare attraverso il grande mutamento della propria condizione di grezza umanità per salire alla comprensione piena delle Scritture e del Mistero di Salvezza.
Proprio perché i tempi e i luoghi di quei lontani accadimenti restano, anche alla luce delle moderne interpretazioni dei passi che abbiamo ricordato, saggiamente oscuri e cronologicamente non ricomponibili, il racconto lucano va letto nel contesto di una sacra LITURGIA, estranea alle coordinate spazio-temporali banalmente terrene, poiché essa parla di SALVEZZA e di REGNO di DIO. Così pure le Parole di GESÙ, la sua Benedizione e il suo messaggio sono, come Lui stesso, VIVI, al di là dei tempi storici e ci chiamano a testimoniare, nel SUO nome, come lo sono state nel passato, anche oggi, nel presente, e domani, nel futuro, “la conversione e il perdono dei peccati”.
Chiamati tutti a testimoniare, non solo come singoli quanto come Comunità di credenti, dobbiamo cominciare dalle nostre “GERUSALEMMI”, ovvero dalle nostre case, famiglie, luoghi di lavoro, città, e andare verso gli estremi confini, ovvero, come dice Papa Francesco, verso le periferie, là dove abitano i lontani, gli esclusi, i poveri, coloro che non hanno mai “ascoltato” la Parola di GESÙ o che hanno dimenticato (…i molti battezzati, ”analfabeti di ritorno”).
Raccontare loro che un giorno, lontano migliaia di anni Gesù è morto in croce ed è resuscitato? Potrebbero sorridere con incredula sufficienza della nostra “ricchezza” a loro ignota. Cosa allora ci induce a dire e a fare lo Spirito di Dio? Usare parole di rispetto per ciascuno di loro, dire che a QUALCUNO sta a cuore il loro bene ed anche a noi, dimostrandolo con le attenzioni, l’accoglienza, i piccoli gesti che sanno di buono ed anche col silenzio, se è il caso, di fronte a domande che, se capovolte, hanno già in sé la risposta.
A cura di Vanna
Fonte: Comunità Kairos (Palermo)