Si respira novità in questo terzo vangelo; siamo in un altro universo rispetto alla Natività del giudeo Matteo. Quella ruota attorno alla figura di Giuseppe, lui “annunziato” della nascita straordinaria, lui fedele custode della famiglia che conduce per le strade del mondo con accanto una silenziosa Maria. La Natività dell’ellenista Luca, invece, ci presenta una Maria protagonista, che riflette, discute, sceglie di accettare una spiazzante proposta divina e poi decide in prima persona un viaggio pesante, su per le montagne, nel suo fresco stato di gravidanza.
Così all’indomani della rivelazione, levatasi (resuscitata a vita nuova), si affretta a raggiungere la cugina anziana, che l’angelo ha indicato come segno. Va da Nazareth a Giuda attraverso le montagne della Samaria, lungo il percorso degli antichi patriarchi, sino alla casa di Zaccaria (il Signore si è ricordato) per visitare Elisabetta (Dio ha promesso), anziani spenti, ormai considerati privi di futuro, ma a cui, in Giovanni, il Signore ha dato misericordia. Lo stesso significato dei nomi adombra già il compimento della antica Alleanza!
Così, con sensibilità Luca intreccia due temi. Primo, il suo intento teologico: mostrare sin da subito, inaugurata da Maria, la corsa di quella Parola che, fatta carne, le cresce dentro. Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza (Is 52,22)! Dal momento del suo Eccomi, che l’ha resa madre, la pienezza di Gesù in lei si espande in un amore dinamico che vuole raggiungere tutti in qualcuno. Il brano è esclusivo di Luca e delle sue personali fonti; rivelatore quindi della sua prospettiva.
- Pubblicità -
Ha presentato in un dittico, costruzione sapiente, le due annunciazioni sulle origini di Giovanni il Battista, il testimone dell’attesa di Israele, e di Gesù, l’Atteso ora offerto a tutte le genti. Ora Maria diventa la prima evangelizzatrice, modello della Chiesa che condivide il lieto annunzio, uscendo dalla sua casa e prestandosi al servizio. Quindi nell’incontro tra le rispettive madri si celebrano, attraverso Elisabetta, la Profezia di Giovanni e, attraverso Maria, l’Amore di Gesù. Nella gioia di una aspettativa finalmente saziata!
Il secondo tema è la rappresentazione umanissima, fisica si direbbe, dell’incontro. Grande è la premura di Maria di raggiungere Elisabetta. Verso di lei è calamitata, a lei porge finalmente il suo saluto di pace, colmo di letizia e trepidazione interiore. Pare continuarsi l’atmosfera incantata dell’annunzio dell’angelo. Di quello vuole parlare, quello vuole approfondire, confrontandosi, perché una felicità si gusta se condivisa, uno smarrimento si supera se confessato e una trepidazione si alleggerisce se portata alla luce. Non sa ancora come iniziare, tace… quando le parti si rovesciano!
Sarà Elisabetta a parlare. Maria è andata per dire e viene invece detta, anzi benedetta. E’ andata per conoscere e viene riconosciuta madre del Signore. E’ andata per congratularsi e a lei viene rivolta la prima beatitudine. E’ il segreto di ogni comunicazione profonda, il luogo in cui riconosciamo il nostro vero essere perché l’altro ce lo rimanda indietro, svelato. Ancor di più quando tra due che comunicano è lo spirito che, terzo tra loro, genera quella intima comunione che può esplodere in canto o vivere di silenzio.
Qui Luca interseca per la prima volta le vite, agli inizi parallele, di Giovanni e di Gesù. Non ancora sbocciati alla luce, vivono attraverso le madri. L’uno ha spinto Maria sul cammino della condivisione della gioia, l’altro trasmette alla madre lo spirito dell’esultanza e della danza interiore. Perché così è stato annunziato a Zaccaria: sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre (1,15). Ed Elisabetta, albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo, profetizza. Anziana, non sterile ma così detta (1,36) dagli uomini che escludono, mentre Dio ha guardato benevolo alla fecondità dei suoi frutti di giustizia (1,6). Così, dalla sua gravidanza ormai evidente, contempla l’ancora invisibile gravidanza di Maria ed effonde, piena di gioia, il primo canto di benedizione per la madre e il suo bambino. E, a conferma dello straordinario futuro regale promesso dall’angelo a Gesù, giunge sino a interpellarla poi come la madre del mio Signore (v. 34).
È un acquarello lieve e festoso questo incontro fra donne. Ambedue gravide, insieme vivono serenamente il contatto con la fisicità dei loro corpi abitati e con le loro percezioni sensibili: grembi protagonisti, sussulti del feto, voce di saluto, orecchi che odono, esultanza a gran voce. Linguaggio del corpo visitato dal linguaggio dello spirito, con la leggerezza che esprime la gioia (Gal 5,22). Donne abituate a leggersi dentro nel silenzio, capaci di abbandonarsi alla preghiera e quindi rintracciare in sé l’operare del Signore della vita, della forza generativa e di cura, nelle generazioni della storia. Nella loro carne, nelle loro maternità impossibili celebrano le grandi opere del Signore in loro, piccolo resto di Israele, umiliato e fedele. Maria, benedetta e confermata, libera allora il suo canto di gratitudine al Dio Salvatore che si è chinato sul suo niente per rivestirlo di beatitudine: L’anima mia magnifica il Signore …perché ha guardato la piccolezza della sua serva.
Pochezza capace però di fede totale. Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che le è stato detto dal Signore. Maria credeva alle promesse antiche del Signore e ha creduto, fidandosi, a quelle che l’angelo le trasmetteva. Unificate nella sua fede accogliente hanno generato in lei la Novità di Dio.
Accettare quelle promesse che a ognuno di noi il Padre riserva, accettare di legarci alla Parola che ci viene incontro dalle Scritture significa poter generare in noi il Figlio e … cullarlo nell’altro che ci avviene di incontrare.
Eterno Natale!
Commento a cura di Raffaella – Comunità Kairos
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay