«VOGLIAMO VEDERE GESÙ»
Nel brano del Vangelo che precede quello che è stato proclamato ora, Giovanni ci ha raccontato l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, introducendoci così nel clima della Pasqua ormai vicina. Un altro passo in questa direzione siamo invitati a fare col Vangelo di oggi.
Ieri e oggi
Vedere, conoscere il Signore, era l’aspirazione del popolo ebreo, alla quale Dio risponde con la reiterata promessa fatta per bocca dei profeti. Ne abbiamo udito un’eco, nella la lettura, in Geremia: «Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore». Non era una semplice promessa: in realtà Dio s’era fatto conoscere «con eventi e con parole» (Dei Verbum, 2), fin dall’inizio dell’umanità; Adamo, Noè, Abramo e i patriarchi, Mosè erano stati interlocutori privilegiati nel dialogo instaurato da Dio con l’umanità. 1 pagani, anche dopo la scelta fatta in Abramo, non ne erano stati esclusi. Come dicevano Barnaba e Paolo ai cittadini di Listra, pur lasciando «che ogni popolo seguisse la sua strada», Dio «non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi di cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori» (At 14,16-17).
Alcuni Padri della Chiesa avevano scoperto nel pensiero di poeti e filosofi dell’antichità una rivelazione «seminale» del Verbo divino, che un giorno, facendosi carne, avrebbe piantato la sua tenda in mezzo a noi, così da far dire all’evangelista Giovanni: «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato… noi lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1,1-3). «Vedere Gesù»: era il desiderio di Zaccheo, prontamente esaudito (cfLc 19,2-5), e chissà di quanti altri! Certo, non mancavano gli indifferenti, che non avrebbero mosso un passo per vedere Gesù. Così, dopo, attraverso i secoli, fino a noi e, possiamo esserne certi, dopo di noi.
Desiderio esplicito, come quello dei Greci venuti a Gerusalemme per la Pasqua, di tanti che, avendo udito parlare di lui, forse a caso e di sfuggita, forse in modo molto approssimativo, forse con linguaggio ostile e blasfemo, vorrebbero incontrarsi con Gesù, sapere chi egli è veramente, sentire se ha qualcosa da dire e da dare anche agli uomini d’oggi. Per altri, il desiderio di vedere Gesù è un anelito, che non saprebbero definire, che li spinge verso qualcosa, verso Qualcuno che dia una risposta ai loro interrogativi più profondi, un senso alla loro vita. Perché «solamente nel la grazia lavora invisibilmente non solo nei cristiani ma nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà» (Gaudium et Spes, 22).
Il cristiano, il prete che veramente, come Filippo e Andrea e gli altri discepoli, vive, nella fede, l’amicizia di Gesù, sa per esperienza quello che dico. E grande la responsabilità di chi è chiamato a fare la parte di intermediario fra Gesù e chi lo cerca, l’« amico dello Sposo» (Gv 3,29). Come sento questa responsabilità quando, nell’omelia, guardo negli occhi la gente che mi ascolta, quando m’incontro con gruppi di giovani (o non giovani) che mi pongono questo o quel problema, ma che in fondo, molto spesso, vogliono «vedere Gesù». Ma non sono io stesso che dico: «Voglio vedere Gesù»? Perché quello che so di lui è così poco, perché di lui Dio e uomo, della sua grandezza, della sua santità, del suo amore non so far altro che balbettare. Quanto ho bisogno di ascoltare la sua parola, di contemplarlo in ogni suo passo, di far tesoro di quanto su lui m’insegna la Chiesa, di pregare lo Spirito che mi ammaestri ricordandomi tutto ciò che Gesù ha detto (cf Gv 14,21).
Vedere Gesù nel fratello
«Ogni volta che avete fatto queste cose (dar da mangiare e da bere, ospitare, vestire, visitare chi è infermo o in carcere) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). E cosa sia dar da mangiare, soprattutto in riferimento al Terzo Mondo, lo spiega Paolo VI: «Dicendo “saziare la fame”, ci troviamo tutti d’accordo nel sostenere che ciò è molto di più del prolungare un’esistenza biologica di grado minimo e infra-umano. Si tratta, in effetti, di dare a ciascun uomo di che mangiare per vivere, ciò che si chiama vivere un’autentica vita da uomo, capace per il suo lavoro di assicurare la sussistenza dei propri cari, e adatto per la sua intelligenza a partecipare al bene comune della società attraverso un impegno liberamente consentito e una attività volontariamente assunta». Dunque, mentre da una parte dobbiamo cercare l’incontro con Gesù da persona a persona, nella fede, nell’amore, nella preghiera, nella comunione eucaristica, con altrettanto impegno siamo invitati a cercarlo nei fratelli bisognosi, per vederlo nella sua situazione reale di sofferenza, di solitudine, di emarginazione, per venirgli incontro con amore sincero, con solidarietà fattiva, con dedizione operosa.
Conoscenza e alleanza
Ricordando sempre che non si tratta d’una conoscenza teorica e distaccata, di rispondere con una formula alla domanda del catechismo: «Chi è Gesù Cristo?», ma di stabilire con lui, e per mezzo di lui, nello Spirito Santo, l’« alleanza nuova» promessa dal profeta. Di alleanza ci ha detto ampiamente la Parola di Dio prima e durante la Quaresima. Nessuna meraviglia che oggi il tema ritorni, poiché la Pasqua, a cui ci andiamo preparando, è il memoriale della «nuova ed eterna alleanza» nel sangue di Cristo. Alleanza che Dio conclude «con la casa di Israele», cioè con la Chiesa. Non vivremo mai abbastanza il senso della Chiesa, che è così debole in molti cristiani, abituati a concepire il loro essere cristiani soltanto come un rapporto individuale con Dio allo scopo di salvarsi l’anima. Ma il lin-guaggio del profeta fa pensare a un’alleanza che, mentre è di tutto il popolo di Dio, passa attraverso la persona ponendola in una relazione con Dio profondamente interiore, nella conoscenza, nell’amore, nella piena adesione alla sua volontà: «Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore». Altro che il cristianesimo ridotto a qualche pratica esteriore, «assistere» alla Messa per l’osservanza del precetto, accostarsi qualche volta ai sa-cramenti!
Debbo tendere a un rapporto con Dio come di figlio col Padre, un rapporto con Cristo come amico e fratello, un rapporto con lo Spirito come l’Ospite divino che abita in me, mi dà luce e vita. È un’esigenza che molti sentono vivamente e a cui danno una risposta seria e impegnata, nel colloquio personale con Dio, nei vari gruppi di preghiera, nel «deserto» cercato non come alienazione dall’impegno per gli altri ma come tuffo in Dio per donarsi sempre più agli altri, animati dal suo Spirito.
Perché, se Dio ha stabilito la sua alleanza con gli uomini, piccoli deboli peccatori, potrò io isolarmi nell’egoismo, disprezzando o trascurando gli altri? Ancora una volta, la Quaresima, richiamo allo spirito e alla pratica della fraternità, ci suggerisce la preghiera che abbiamo rivolto poco fa al Signore: «Vieni in nostro aiuto, Signore, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi».
Il chicco di frumento
La risposta di Gesù a Filippo e Andrea (ma fu veramente una risposta?) suona sorprendente. Sottolineiamo solo una frase: « In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Ai tempi delle persecuzioni i cristiani riferivano volentieri ai martiri questa parola, con cui Gesù alludeva alla sua morte vicina e ai frutti di salvezza che avrebbe portato. «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani»: ripeteranno costantemente dopo Tertulliano, come sfida ai persecutori, come incitamento ai testimoni della fede e alla comunità.
Morire per portare frutto; odiare la propria vita in questo mondo per conservarla per la vita eterna; seguire Gesù sul cammino della croce. Solo così, ci ha detto la lettera agli Ebrei, Gesù, dopo aver imparato l’obbedienza attraverso i patimenti, «divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono». Parole dure.
Programma inaudito per chi propone come ideale della vita il denaro, il piacere, il successo. Eppure è il «manifesto» di Gesù. Che non esclude la gioia, quella vera, anzi la promette, come frutto, anch’essa, del chicco di frumento che accetta di morire. Del resto, ciò che segue mostra che cosa Gesù ci chiede nella vita d’ogni giorno: servire lui. Sentiamo il commento di s. Agostino, semplice e pratico: «O fratelli, quando sentite il Signore che dice: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, non vogliamo pensare solamente ai vescovi e sacerdoti degni. Anche voi, ciascuno a suo modo, potete servire Cristo, vivendo bene, facendo elemosine, facendo conoscere a quanti vi è possibile il suo nome e il suo insegnamento. E così ogni padre di famiglia si senta impegnato, a questo titolo, ad amare i suoi con affetto veramente paterno. Per amore di Cristo e della vita eterna, educhi tutti quei di casa sua, li consigli, li esorti, li corregga, con benevolenza e con autorità. Egli eserciterà così nella sua casa una funzione sacerdotale e in qualche modo episcopale, servendo Cristo per essere con lui in eterno». Scomparire, dimenticarmi, per darmi al Signore e agli altri, sembra duro. È duro. Perché è morire. Ma è necessario. Per non restare solo, ma moltiplicarsi nella spiga matura, destinata a diventare pane. Come il pane eucaristico, che fra poco ci verrà offerto alla cena del Signore. Ma Gesù non mi dice: « Fa’ così, con le tue forze». Promette: «lo, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».
Signore, elevato da terra per essere inchiodato sulla croce, per risorgere dalla terra e innalzarti al cielo, nel «mistero della fede» che sta per farsi presente sull’altare, attiraci a te, perché ti possiamo vedere e amare, perché possiamo, nel sacrificio di noi stessi, amarti e servirti nei fratelli.
Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC
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della Quinta Domenica di Quaresima – Anno B
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- Colore liturgico: Viola
- Ger 31, 31-34; Sal.50; Eb 5, 7-9; Gv 12, 20-23
Gv 12, 20-23
Dal Vangelo secondo Giovanni
20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 18 – 24 Marzo 2018
- Tempo di Quaresima V
- Colore Viola
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 1
Fonte: LaSacraBibbia.net
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