Commento al Vangelo di domenica 18 Luglio 2021 – p. Alessandro Cortesi op

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p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

“Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’”. E’ l’invito di Gesù agli apostoli “che si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato”.

L’esito di tutto questo ‘fare e insegnare’, sembra dire Marco, e con esso il senso di tutta l’attività degli apostoli, sta nel riposo, a cui Gesù li invita, in disparte.

Sta qui racchiuso un importante elemento del seguire Gesù e dello stare con lui. Gesù, nei momenti in cui veniva cercato e quando le folle lo circondavano, si ritirava tutto solo, in un luogo solitario (cfr. Mc 1,35; 6,46). In questi momenti Gesù viene ritratto da Marco nella sua preghiera, che è innanzitutto distanza dalla visibilità, allontanamento da modi sbagliati di cercarlo, generate da attese di gesti eccezionali, dalla ricerca di un capo da esaltare. Gesù vivve invece silenzio e nella intimità lasciando spazio alla relazione che è radice della sua vita, l’incontro con l’‘Abbà’.

In questi passaggi di distanza e ascolto Gesù chiama anche i suoi accanto a sé, a condividere la sua scelta di chi non è venuto per farsi servire, ma per servire e quindi scendere, farsi piccolo. Li chiama non all’azione ma al riposo, in disparte. Non si tratta solamente di un invito al riposo dopo la fatica, ma più profondamente l’aprire loro lo sguardo su ciò che costituisce la radice e la sorgente di ogni loro fare e insegnare, quella relazione viva personale ed intima con il Padre.

In questo si può cogliere il senso profondo della preghiera che Gesù desidera trasmettere ai suoi: la sua preghiera è un tempo di incontro, fatto non di parole, di rituali, di particolari attività, ma un tempo donato, segnato dal riposarsi, dall’attitudine a ricevere, dalla gratuità che sorge dal riconoscimento che ogni cosa viene dal Padre e dalla consapevolezza che l’unica cosa richiesta è l’abbandono fiducioso a lui. Il ‘luogo solitario’ evoca il deserto, luogo biblico della prova, ma anche luogo in cui, senza orpelli e difese, si può vivere l’incontro con Dio nell’amore. E’ lo spazio del fidanzamento tra Dio e il suo popolo e di cambiamento nell’accogliere il dono di un rapporto con lui non più da servi, ma da amici con il Dio dell’amore.

In questo brano compare anche un’espressione assi significativa: “(Gesù) vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise ad insegnare molte cose”. Lo stringersi delle viscere è sentimento propriamente femminile nel ‘sentire’ dentro di sé sofferenze e angustie dei figli. La compassione di Gesù nei confronti delle folle reca i tratti del coinvolgimento profondo. Non è sguardo paternalistico di assistenza. Gesù è coinvolto nella condizione di coloro in cui egli si identifica. E’ espressione che nella Bibbia è riferita alle ‘viscere di misericordia’ del Padre: “Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti, dopo averlo minacciato me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza” (Ger 31,20)

E’ questa l’attitudine del pastore che accompagna , si fa solidale perché conosce le sue pecore e condivide con loro l’esistenza e si prende cura di ognuna di esse: è Dio che “come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri” (Is 4,11; cfr Dt 32,11). L’autentico pastore di un gregge disperso e senza guida è Jahwè. Gesù guarda alle folle che lo cercano come gregge disperso e in attesa di guida e cura. Nel suo sguardo si rende presente quanto la prima comunità ha colto dello stile di Gesù. Nella sua vita attua quanto era stato promesso: “Il Signore, il Dio della vita in ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo che li preceda nell’uscire e nel tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore” (cfr. Num 27,16-17). Il suo andare e insegnare è per un grande raduno di affaticati e oppressi perché trovino in lui la serenità del riposo. Nell’incontro con lui si incontra la cura e tenerezza del Dio della compassione.