Commento al Vangelo di domenica 18 Dicembre 2022 – Comunità Kairos

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A partire dall’esperienza del Risorto i cristiani evocano a ritroso il suo cammino sulla terra sino alla legittima domanda: come è apparso sulla scena del mondo l’Uomo-Dio? La giovane comunità di Marco vive il silenzio sul mistero. La matura comunità giovannea tenterà di esprimerlo con rara profondità, tra riflessione teologica ed intuizione mistica. Le comunità di Matteo e di Luca si affidano ad una narrazione che percorre con i suoi protagonisti umani la terra, ma è aperta insieme alla presenza di un protagonista Altro, invisibile e indicibile, l’unico che significa e dà il senso ultimo alla storia.

Matteo è un ebreo che scrive per una comunità in prevalenza giudeo-cristiana. E, alla maniera semitica, apre il suo racconto con la catena generazionale per cui, di padre in figlio, fa discendere Gesù da Davide e, ancor prima, da Abramo. È scelta teologica che fonda la novità di Cristo nelle promesse antiche sino, però, a una frattura; sino a “Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo” (1,1-16). Qui la discesa di Dio nella realtà carnale della sua creazione scompagina l’ordine regolare delle cose, originando da subito dolorosi tagli … di spada.

Una anonima coppia di promessi sposi viene umanamente sconvolta da una gravidanza misteriosa, da subito sigillata dall’evangelista come opera del santo Spirito del Signore. Sono piccoli che hanno incrociato nella loro storia il Dio che, dopo aver parlato tante volte nel tempo per mezzo dei profeti, intende ora rivelarsi definitivamente alla sua creatura come piena parola d’amore. Matteo tace sull’avventura spirituale di Maria. Sarà poi Luca a raccontarla.

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Qui la vergine è pura ricettività già visitata dal mistero e, situata in stato di umiliazione, non pronunzia parola. L’attenzione si concentra invece sull’uomo, il capofamiglia, anch’egli drammaticamente spiazzato dalla situazione e a cui non si prospettano che due alternative: la denunzia pubblica della fidanzata, con le tristi conseguenze connesse, o un improbabile ripudio privato. Giuseppe è giusto, e di una giustizia che già supera la sottomissione alla legge e la scavalca per l’affetto verso la donna con cui ha sognato una famiglia normale. Ma, pienamente inserito in una cultura e in una religione patriarcale che dalle origini considera la moglie proprietà esclusiva del marito, non può arrivare a considerare altra soluzione. Pur sentendo nella profondità del cuore che può fidarsi di Maria, come accettare che quella terra di Dio sia la sua donna? E come accogliere il misterioso figlio non suo nella sua vita?

Come all’epoca dei patriarchi, al silenzioso Giuseppe tormentato dal dubbio appare in sogno un angelo del Signore, la prima di altre volte. Il messaggio sarà sempre lo stesso: Prendi con te Maria e il figlio. Questa volta l’angelo, comunicazione di Dio, gli dona di superare se stesso e la propria giustizia per andare oltre. Lo incoraggia in ciò che è il suo vero desiderio: “non temere di prendere con te Maria”. Lo sbalza in un’altra dimensione, come in una nuova creazione: l’umano che supera l’attaccamento al sé, al proprio contesto, alle proprie precomprensioni e diventa capace di prendere con sé, di fare suo il progetto divino e aprirsi a una relazione nuova, su prospettive che hanno il respiro di Dio. Figlio di Davide, lo ha infatti interpellato l’angelo, rivelandogli la sua identità profonda, vocazione ad un ruolo nella storia della salvezza: traghettare nel futuro la speranza messianica, antica di generazioni infinite, che abbraccia ora con respiro universale tutte le genti in attesa di liberazione dall’insignificanza. Suo compito quello di inserire, da padre legale, il figlio dello Spirito nella sua famiglia davidica, depositaria delle promesse.

Nella catena generazionale Matteo ha appena fatto discendere Gesù da Abramo. Giuseppe risale infatti a quell’Abramo dalla fede nuda che ha abbandonato il suo futuro nelle mani di Dio, accettando la propria mancanza, lasciando spazio a Dio e divenendo “padre di molti popoli”. Allo stesso abbandono è chiamato anche lui, che ora lascia il suo io ben strutturato, accetta il mistero che abita la sua sposa e adora il nome che dovrà imporre al figlio: Jehoshù’a, cioè: Dio salva, salva il suo popolo dal fossato della distanza e lo fa vicino nel perdono. Lo salva dal non-senso di una vita ripiegata su se stessa, e lo riempie di pienezza vitale. Ha compreso che in quel debole nascituro la forza salvifica del Signore diventerà liberazione dai peccati, passaggio dall’angoscia soffocante dell’io all’“allargamento” del cuore. E a questo progetto allora aderisce, prestando tutto il suo essere uomo, sorpassato da un’evenienza altra, che pure ha bisogno di lui.

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Tutto ciò prende avvio dalle Scritture. L’angelo è suggestiva allusione alla meditazione delle profezie che Giuseppe rumina nel suo travaglio. Le Scritture registrano il tracciato dell’umanità in cammino verso Dio e della Divinità che si china sull’umanità, sino ad inserirsi in essa, incarnandosi: Emmanuel, Dio con noi. È il nome che tornerà, sigillo del Risorto, alla fine del vangelo per dare inizio al tempo della Chiesa. Per questo è qui, fin dalla genesi di Gesù, anzi da prima, da un’attesa lontana, quando Isaia aveva profetizzato alla casa di Davide: “il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,10-14). Grande atto di fede: una giovane sposa reale ha indicato alla ormai indegna casa di Davide che non i potenti della terra, non altre divinità potranno essere salvezza per il popolo angosciato dalla pressione dei nemici, ma solo il Signore che è e sarà sempre il “Dio con noi”. I due nomi ora si identificano: Dio salva perché Dio con noi.

Vivere della Parola, respirare il respiro di Dio attraverso lo Spirito che soffia dalle Scritture significa per tutti accettare di perdersi, di deragliare dalle proprie certezze, poi di lasciarsi plasmare dal suo progetto che vuole figli co-protagonisti responsabili, che assumano il rischio della libertà. Nessun evento di salvezza può darsi senza la corresponsabilità degli uomini. E di uomini che al fuoco delle scritture compiano un cammino di umanizzazione, perché alla compiutezza dell’umano lì si trova Dio.

Prendere con sé, sposare per sempre l’evento di grazia che ha investito un giorno la propria vita nell’incontro con Gesù; lasciarlo crescere nel silenzio interiore, portarlo con sé per le terre e per il tempo, nella storia, custodendolo ed essendone custodito: la vocazione di Giuseppe è la stessa di ogni credente.


A cura di Raffaela per la Comunità Kairos.

Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay