Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.
Due discepoli, Giacomo e Giovanni, che seguivano Gesù lungo la strada lo interrogano: “concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.
Questa domanda racchiude un’attesa e un modo di intendere la via di Gesù come conquista di un potere da cui può derivare l’acquisizione di un ruolo e un posto di privilegio per i più vicini. Con la sua durezza Marco nel vangelo raffigura i discepoli come coloro che non capiscono e nemmeno seguono Gesù. Gesù risponde con un linguaggio simbolico e parla di calice e di battesimo: “Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo che io ricevo?”. Nella Bibbia il calice è associato alla situazione che gli empi devono subire. Il Salmo 75,9 parla di un calice colmo di vino che gli empi dovranno bere. E’ simbolo dell’ira di Dio per coloro che operano il male. Gesù con questo rimando intende parlare di se stesso: nella sua vita prende la condizione di chi è più lontano di chi è ‘maledetto’. Il suo cammino è in solidarietà con i peccatori, lontani da Dio. L’immagine del battesimo – che significa immersione – rinvia poi ad una situazione di morte. Nei salmi chi è immerso nelle acque vive nel dramma di essere perduto: “affondo nel fango e non ho sostegno, sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge” (Sal 69,3).
Gesù indica in tal modo la sua strada: non si tratta di un percorso di ascesa, di conquista di potere, di gloria e potenza, ma di umiliazione e morte. Sullo sfondo è l’annuncio della croce stessa.
Dice anche loro che il ‘regno’ è dono del Padre e non dipende da progetti umani. I due discepoli sono particolarmente sicuri e rispondono ‘noi possiamo fare questo’, ma Gesù indica ad un orizzonte nuovo. Propone loro una via diversa, contro corrente rispetto alle mire umane di affermazione e supremazia: “sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi si farà servo di tutti”.
In queste parole si può ritrovare una descrizione della via di Gesù, quale strada del servizio e del dono di sè per tutti. Nella sua prassi egli attua la missione del ‘servo’: “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.
La sua via è accostabile a quella del servo, una figura che il secondo-Isaia vissuto nel tempo della fine dell’esilio aveva delineato nei suoi scritti. “Disprezzato e reietto dagli uomini, che ben conosce il patire”. Tuttavia il servo sofferente è come una pianta nel deserto e come una radice in terra arida. La sua vita arreca linfa nuova e porta fecondità. Benché egli sia sottoposto al disprezzo e alla condanna, proprio nel suo offrirsi per gli altri va compiendosi la salvezza di Dio. Il suo soffrire è dono della sua vita in rapporto a tutto il popolo e diviene esperienza di salvezza per tutti. “Il giusto mio servo giustificherà molti egli si addosserà la loro iniquità”. Marco nel suo vangelo presenta Gesù come colui che è venuto per servire e non per essere servito e legge nel suo progetto di vita il compimento delle caratteristiche del ‘servo di Jahwè’.
Marco raccoglie così un altro fondamentale insegnamenti di Gesù ai suoi lungo la via: si tratta di fare proprio il suo destino. La sua proposta è un modo alternativo di vivere i rapporti. In contrasto con la ricerca dei primi posti Gesù invita a vivere nella gratuità del servizio. La via che Gesù ha seguito apre liberazione dalla schiavitù e dalla morte per tutti. Su questa via chiama i suoi a seguirlo.
Alessandro Cortesi op