Il brano si pone in continuità temporale (il giorno dopo) e spaziale (là = presso il fiume Giordano) con l’episodio del Battesimo di Gesù presentato dalla liturgia domenica scorsa, seppure tratto dalla versione di Marco, e con la pericope precedente dello stesso primo capitolo di Giovanni (vv. 29-34).
Il Battista nel suo ruolo profetico consegna a Gesù la sua testimonianza e condivide la rivelazione che ha ricevuto da Dio e che trasmette a chi va ad ascoltarlo e a farsi battezzare: Gesù è l’Agnello di Dio, il Figlio di Dio, colui che toglie il peccato del mondo.
Anche all’inizio di questo brano, il Battista ribadisce la sua testimonianza davanti ai suoi discepoli con la piena consapevolezza di chi sa di avere esaurito il suo compito e deve passare il testimone a quell’uomo che è davanti a lui perché era prima di lui (“un veniente dietro a me” Gv 1, 26)
Rispetto agli altri Evangeli dove l’iniziativa della chiamata è sempre di Gesù, il quale vede uomini intenti al loro lavoro quotidiano e li invita direttamente alla sequela (Mt 4,18-22; Mc 1,16-20; Lc 5,1-11), Giovanni preferisce approfondire il collegamento tra la chiamata e la mediazione di un testimone che ha il ruolo di indicare la strada, di far rivolgere lo sguardo verso, di orientare la ricerca.
Il testimone proclama, il discepolo ascolta e l’ascolto diventa sequela di ciò che si è ascoltato a partire da una ricerca.
Non a caso le prime parole di Gesù sono un interrogativo che pone l’uomo davanti al suo desiderio profondo, al dove scegliere di far dimorare il proprio cuore: “Che cercate?” (v. 38)
Per Giovanni si crea quasi un circolo virtuoso, caratterizzato da un dinamismo incessante e contagioso. È chiaro, quindi, il perché l’evangelista voglia sottolineare la novità di questa fede rispetto alla quale la fede veterotestamentaria, legata all’osservanza individuale di una Legge, rimaneva statica. Il Battista, l’ultimo dei profeti dell’Antico testamento, “stava là” (v. 35), mentre Gesù, il Veniente, “passava” (peripatounti). Il Vangelo, dunque, si presenta come una realtà in movimento e che mette in movimento a partire da un desiderio profondo.
L’ascolto della esperienza della Parola di Dio, come nella parabola del seminatore, può cadere in un terreno fertile, tuttavia da solo non è sufficiente a far scaturire la fede, se non passa attraverso una personale esperienza di comunione e un darsi un tempo per “rimanere” per “dimorare”. In questo si realizza la dinamica dell’incontro e della relazione tra l’uomo e Dio: cercare, seguire, dimorare presso.
La domanda dei discepoli, quel “dove dimori?”, più che una richiesta di informazioni ad un Rabbì (v. 36), nasce proprio da una esigenza di comunione, da un umanissimo desiderio di entrare in relazione, non più su un piano intellettualistico o morale ma propriamente esistenziale. E Gesù non si tira indietro, non si nasconde, ma si offre subito al loro sguardo (“Venite e vedete”) e permette ai discepoli di rimanere in sua compagnia.
Nel “venite e vedete”, può forse rinvenirsi anche una diffidenza verso vie di comunicazione della fede che passino solo da mediazioni intellettuali, da bei discorsi fatti alla ricerca di proseliti senza sostanza evangelica che possono far breccia per qualche tempo nella mente dell’uomo, ma non riescono a trasmettere bellezza della Buona Notizia di Gesù per noi. Gesù ci invita ad incontrarlo ed a fermarci con Lui, a gustare la sua presenza.
Da quella esperienza ormai personale, non più mediata dal Battista, i due discepoli pervengono al riconoscimento di Gesù come Salvatore: “Abbiamo trovato il Messia” (1,41).
Ma la fede, se autentica, non è ferma, ma si comunica agli altri. Le parole di chi ha udito diventano parole di chi annuncia. Andrea incontra il fratello Simone e lo mette a parte della sua scoperta del Salvatore, conducendovelo di persona.
Il dialogo tra Gesù e Simone assume, stavolta, connotati parzialmente diversi dal precedente. Gesù, in continuità con lo sguardo del Battista su di Lui (il verbo usato per definire lo sguardo di Gesù su Simone è lo stesso di quello presente in 1,35, ossia en-blepo, “scrutare in profondità”), entra in relazione profonda con il fratello di Andrea, tanto da ricostruire il suo passato (“figlio di Giovanni”), il suo presente (“tu sei…”) e il suo futuro (“ti chiamerai…”) a partire da uno sguardo profondo d’amore (cfr. lo sguardo sull’uomo ricco in Mc 10,21) che costituisce il modo in cui Dio fissa coloro che ama. L’accoglienza di quello sguardo trasforma l’uomo fin nella sua più profonda essenza, nella sua identità: Simone diventa Pietro.
Nel dinamismo della fede troviamo così la realizzazione di una relazione tra uomo e Dio, relazione che si passa attraverso la vita vissuta ed è risposta al desiderio che spinge alla ricerca.
Commento a cura di Luuisa
Fonte: Comunità Kairos (Palermo)
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay