Il brano di questa settimana si può dividere in due parti: una prima che contiene la parabola della vedova insistente (vv. 2-5) e la seconda in cui il Signore esplicita il messaggio che intende comunicare (vv. 6-8), sottolineando le analogie e le differenze tra l’azione del giudice e quelle di Dio, e spostando l’attenzione sulla prospettiva escatologica che costituisce il nodo cruciale: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Il contesto che precede il brano è incentrato sulla venuta del Regno di Dio che, come dice Gesù in risposta alla domanda dei Farisei (17, 21), è già in mezzo a noi.
Tutto il brano, che non trova riscontro negli altri vangeli sinottici, deve essere dunque compreso in stretta relazione con il contesto che lo precede (17, 22-37) e che viene espressamente richiamato dal vs. 8: il ritorno del Figlio dell’uomo sulla terra. La chiave di lettura della parabola è offerta già ad apertura del brano in cui viene dichiarato l’intento per cui è pronunciata: la necessità di pregare sempre, senza stancarsi.
Proprio questa affermazione iniziale orienta la ricerca del senso: la preghiera come condizione che deve accompagnare con assiduità e perseveranza la vita dell’uomo; la preghiera come attività, come fatica, che come tale può produrre stanchezza. Una stanchezza che può essere ancora più insostenibile nel tempo dell’attesa: “fino a quando, Signore?” e in cui può prevalere la tentazione della demotivazione e dello sconforto. Di contro, la preghiera vigilante come atteggiamento del credente per vivere in pienezza questo tempo, alla ricerca del vero volto di Dio.
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La preghiera nasce dalla coscienza della propria debolezza: la vedova, una delle categorie insieme agli orfani che si contraddistinguevano per la mancanza di mezzi di sostentamento e per l’essere esposte ai soprusi e alle ingiustizie (Dt 24, 17, Is 1, 17, 23), non ha nulla da perdere, non può fare affidamento sui suoi mezzi ma deve affidarsi al giudice e chiedergli giustizia. Proprio la coscienza della sua situazione di privazione la spinge a cercare la relazione.
Questa accettazione e confessione della propria debolezza è la disposizione fondamentale in cui può avere origine la preghiera cristiana (cfr. Bianchi, Le parole della spiritualità, pp. 106-107). La situazione è paradossale: chi dovrebbe farle giustizia contro il suo avversario, inspiegabilmente è ingiusto. Il giudice iniquo, infatti, è descritto con un’espressione che ne sottolinea l’assoluta indifferenza verso qualsiasi tipo di relazione: assenza di timore di Dio, assenza di attenzione e cura per gli altri.
Tuttavia questa sua iniquità e il suo disinteresse si infrangono contro l’insistenza della vedova che non si stanca di andare e riandare da lui. Non muta la sua richiesta di giustizia ma continua perseverante nel rivolgersi a lui. Sa che non ha altri a cui rivolgersi, non desiste di fronte al rifiuto, non teme che passi “un certo tempo” ma vive il tempo dell’attesa continuando a pregarlo e sperando di avere giustizia.
A maggior ragione Dio, giudice giusto, non resta indifferente al grido dei suoi eletti che si rivolgono a Lui giorno e notte. Proprio in questa situazione esistenziale, in cui si sperimenta la differenza tra il tempo dell’attesa, in cui Dio non sembra fare mai giustizia, e quello della pazienza di Dio, in cui invece Dio interviene “prontamente” pur nel rispetto dei tempi dell’uomo (13, 8-9; 2 Pt 3, 9; Rm 2, 4), si esplica la forza della preghiera, nel mantenimento di una dimensione relazionale anche quando la storia o gli idoli del nostro cuore sembrano testimoniare solo il silenzio di Dio che tarda a fare giustizia.
Ciò che contraddistingue questa parabola non è tanto la centralità della preghiera o le sue modalità – in tal senso, la parabola successiva del pubblicano e del fariseo (18, 9-14) offre una indicazione sul modo di pregare bene – quanto la necessità di vivere sempre il tempo dell’attesa nella relazione con Dio. La costanza della preghiera è dunque la condizione di una relazione con Dio mai interrotta, fondata sulla fiducia della sua venuta, anche nelle condizioni di più assoluta prostrazione e nei momenti più oscuri della storia.
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay