In questa 29.ma Domenica del Tempo ordinario la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui i farisei, per mettere alla prova Gesù, gli chiedono con malizia se sia lecito, o no, pagare il tributo a Cesare. Il Signore, smascherando la loro ipocrisia, si fa mostrare la moneta del tributo dove c’è l’immagine di Cesare. Quindi dice:
«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del carmelitano, padre Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Niente male come tranello questo quesito sul tributo: se risponderà “no” rischia una denuncia come sovversivo antiromano; se risponde “si” delude il popolo, che mal sopporta i romani. Insomma stai con Israele o con Roma? Gesù non si scompone, e invita tutti ad uscire dall’ipocrisia. Tutti usavano la moneta con l’immagine dell’imperatore per tante cose e senza troppi scrupoli, e quindi li rimanda al senso pratico: la moneta ha una utilità sociale evidente, e le esigenze sociali vanno rispettate, ma non sono un assoluto. Anche Paolo scriveva ai cristiani di Roma di pagare le tasse e rispettare le autorità, per un ordinato convivere. Lo Stato ha i suoi diritti, ma non può arrogarsi diritti che competono solo a Dio, non può sostituire nella coscienza i diritti che sono di Dio. Sopra Cesare c’è Dio: è lui il valore assoluto, a lui tutto appartiene, anche Cesare. Rendere a Cesare quello che è di Cesare vuol dire rispetto delle mediazioni storiche e sociali, utili per una vita ordinata. Però nulla può sostituirsi a Dio, prendere il suo posto, fargli concorrenza. Quante volte, messo da parte Dio, si è diventati schiavi del tiranno di turno, che si crede padrone di tutto! Troppa gente, anche oggi, vorrebbe identificare il linguaggio della religione con modelli politici concreti, o viceversa fare della propria politica una nuova religione, fino all’idolatria. Teniamo gli occhi aperti!
Fonte: RadioVaticana