Il commento al Vangelo di domenica 16 gennaio 2022 – Anno C, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.
Fatelo
Venuto a mancare il vino.
Quante volte facciamo questa esperienza, nelle nostre vite.
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Quanto la stiamo facendo, in questi due anni di pandemia.
Lo scoraggiamento ha sostituito la paura, avanziamo per abitudine senza sapere cosa ci riserva il futuro. Ma, ad essere onesti, non è stato il Covid a toglierci le gioie della vita, ma la mancanza di senso, di orizzonte. È normale che sia così, succede a tutti.
Partiamo, entusiasti, convinti, determinati poi, cammin facendo, viene a mancare il vino.
Una sofferenza, un fallimento, un’esperienza negativa ci fanno rendere conto che manca qualcosa di importante nella nostra vita: il vino, simbolo della gioia, della festa, della gratuità.
Ve la immaginate una festa di nozze senza vino? No. Esatto.
Manca il vino, manca la voglia di vivere, di andare avanti, di fare festa.
Allora tutto diventa grigio, faticoso, rancoroso.
E cresce la rabbia, l’aggressività, la depressione, il vittimismo. Esattamente quanto ci sta accadendo.
Manca il vino alla nostra vita. Manca il vino alla nostra Chiesa. Manca il vino alla nostra società.
Oggi, iniziando l’anno nuovo, il vangelo di Giovanni ci richiama all’essenziale: il miracolo numero uno come scrive l’evangelista, quello che sta alla base di ogni altra esperienza di fede, è trasformare l’acqua insipida nel vino nuovo.
Perché senza il vino della gioia, la vita e la fede non hanno senso.
Fate
È la Madre che si accorge della mancanza.
Un matrimonio senza vino è destinato al fallimento, con grave danno agli sposi e alla festa.
Nelle nozze fra Dio, lo sposo, e Israele, la sposa, è venuta a mancare la gioia dell’amore.
E Maria, figlia di Israele, lo sa e chiede al figlio di agire. No, dice Gesù alla madre, non è ancora il momento e, ammonisce, se inizia il tempo dell’annuncio lei lo perderà, non sarà più suo.
In questo strano matrimonio in cui mancano gli sposi e protagonisti sono i camerieri e lo sconosciuto Gesù, Maria si rivolge a noi. A me.
Sono le uniche parole rivolte ai discepoli in tutto il Vangelo.
Maria ha parlato con gli angeli. E con Elisabetta. E con suo figlio, custode del mistero.
Ora parla a me.
Qualunque cosa vi dirà, fatela.
Maria è la prima ad accorgersi della mancanza di gioia nella nostra vita. E ne informa il Figlio.
E a noi intima: fate. Non: aspettate. Non: pregate. Non: pazientate. Non: rassegnatevi.
Fate.
La gioia di costruisce, mica si attende. Si plasma giorno per giorno.
Come?
Riempire le giare
Dobbiamo riempire le giare fino all’orlo. Con l’acqua, non abbiamo altro.
Dal poco al tutto. Dall’insignificante al miracolo.
Giare di pietra che certamente non erano presenti in quella festa. Ma all’ingresso del tempio di Gerusalemme, contenenti acqua per la purificazione.
In pietra e sei, una in meno del numero della perfezione che è sette.
Simbolo di una fede stanca, impietrita, trascinata. Come spesso è la nostra. Una fede tutta imperniata sulla purificazione, sull’essere indegni, sul senso di colpa. Una fede simile a quella che si respira nelle nostre comunità.
Eppure proprio questa fede va riempita. Non snobbata. Non abbandonata.
Ma vissuta con tutto ciò che siamo.
La tentazione di fuggire è tanta. Ma i camerieri, ignari della situazione, stupiti della richiesta assurda, obbediscono. Sono loro, insieme a Maria, il simbolo della fede tenace, che attende lo Sposo.
Quante altre cose dovevano fare in quel servizio matrimoniale! Con quanto poco entusiasmo avranno riempito d’acqua gli oltre seicento litri quelle giare (senza rubinetto)! E quanti improperi avranno mandato a quel giovane taciturno e bislacco.
Quante volte vorrei mollare, anch’io.
Quando nella mia comunità ci troviamo i soliti due gatti. Quando, nonostante tutti gli sforzi, vedo l’oratorio svuotarsi. Quando servo i poveri riconoscendo in essi il Cristo e vengo insultato dai nuovi razzisti che si sono fatti forza.
Ma tengo duro. E riempio le giare, anche se sono di pietra.
Sommelier
Quell’acqua attinta e servita al sommelier diventa un vino straordinario.
Tale da entusiasmare il maestro di tavola che si complimenta con lo sposo.
E da servo divento sommelier.
Anch’io faccio i complimenti a Cristo, lo sposo, per tutta l’acqua che ho visto trasformarsi in vino. Litri. Ettolitri. Intere botti di ottimo vino.
Perché questo matrimonio, questa festa, questo segno numero uno, è la storia d’amore fra lo sposo, Dio, e la sposa, Israele. E dei servi, noi, che partecipano a questa festa.
E della madre del Signore, prima fra i discepoli, prima fra i credenti, che discretamente si accorge dell’assenza della gioia. E provvede, spingendo ad agire il Signore. E noi.
Numero due
Inizia così il nostro anno civile.
Annotando, con amarezza, quanto sia faticosa la nostra vita quando manca il vino della gioia.
E guardando avanti. Offrendo un percorso.
No, non stiamo precipitando nel caos. E nemmeno nella disperazione più cupa.
Alcuni aspettano la fine della festa, incuranti di quanto accade.
Altri si lamentano dell’imperizia dello sposo e del pessimo servizio catering.
A noi è chiesto di riempire le giare fino all’orlo. Anche se solo di acqua.
L’incontro con Dio è una festa di nozze. Una grandiosa festa di nozze.
Il segno numero uno, diventa per noi, in questa domenica, il segno numero due. E tre. E quattro…
Eccomi, Signore.
Pronto a riempire le giare.
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