Commento al Vangelo di domenica 15 Agosto 2021 – Comunità di Pulsano

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ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

       Si elevi, o Padre, a favore del tuo popolo la preghiera della

       Madre di Dio,

       che, se per la nostra condizione mortale

       ha dovuto abbandonare questa vita,

       si allieta ora, gloriosa e potente,

       presso il tuo trono.

       Amen.

(Messale Ambrosiano, Milano 1976: Assunzione della B.V.M. Vigilia, Orazione liturg. parola)

Ancora una volta oggi le Chiese anche tra esse non unite, che si richiamano all’Una Santa, si raccolgono in mirabile sinfonia per celebrare Cristo Signore Risorto nello Spirito Santo per la gloria del Padre, facendo la memoria della Semprevergine Maria, la Madre di Dio.

Il 15 agosto, si celebrava in Oriente una delle piú antiche feste mariane, molto popolare tra i fedeli. Secondo quanto indicano le letture della Messa, conservate finora, era una festa in onore di Maria, Madre di Dio. La festa ha nomi vari, come la Kóimèsis, la Dormizione, o l’Anàlèmpsis, l’Assunzione, quest’ultimo affermatosi in Occidente, ma le Chiese della festa hanno contenuti e temi identici nella sostanza, con accentuazioni dottrinali dovute alla sensibilità di ciascuna di esse. La celebrazione dei santi Misteri oggi offre a tutte le Chiese un materiale ricco, a suo modo inesauribile. Questo, come Lex orandì, riflette la fede stessa della Chiesa, portata dalla divina Parola e dalle preghiere con cui ogni Chiesa l’accompagna e la esplicita.

A Gerusalemme, le celebrazioni si svolgono nella chiesa presso il Giardino degli Ulivi dove si trovava la tomba, dalla quale, come si riteneva, Maria fu assunta in Cielo. L`imperatore Maurizio (582-602) prescrive di celebrare l`Assopimento di Maria in tutta la Chiesa orientale. La Chiesa romana accolse la festa mariana del 15 agosto nel VI secolo, e nella metà del VII secolo, sotto influsso della Chiesa bizantina, la celebra quale festa dell`Assopimento della Beatissima Vergine Maria. Il Sacramentario Gregoriano le dà il nome di «Assunzione» di Maria. Papa Sergio (+ 701) introduce la solenne processione notturna.

Verso la fine del X secolo, si congiunge con la festa dell`Assunzione di Maria il costume di benedire le erbe medicinali. Il costume si richiamava alla piú antica tradizione orientale in cui, nella festa del 15 agosto, si benedicevano i campi. In questo giorno, fino ad oggi, i fedeli portano in chiesa i frutti del loro lavoro nei campi, giardini, frutteti per presentarli a Dio.

Maria con l`anima e il corpo fu assunta in Cielo, questa la sostanza della festa che la Chiesa celebra con grande gioia. Non ha subito la corruzione della tomba e questo suo nuovo privilegio è implicato nel primo. Maria fu preservata dalla macchia del peccato originale, perciò adesso non deve sottostare alle sue conseguenze. Ha partorito il Figlio di Dio, il Datore di tutta la vita, per questo la morte non può toccarla. Ha partecipato nel modo piú pieno al mistero salvifico di Cristo ed ecco che in lei si rivela già fin da ora la pienezza della salvezza portata da Cristo. Per prima raggiunse la salvezza, diventò l’immagine della Chiesa della gloria e per il popolo pellegrinante un segno di speranza e di consolazione.

La festa di oggi è la più antica tra le feste mariane, e resta la principale, la più tipica e completa, una specie di Omega tra le feste mariane, poiché in essa si fa la memoria dell’assimilazione finale e totale della Madre di Dio al Figlio suo, a partire dalla Resurrezione e glorificazione del Figlio suo, nella glorificazione della persona materna e verginale, anima e corpo. Infatti a colei che «dallo Spirito Santo» partorì nel tempo il Verbo Dio, per prima, speranza nostra, è stato decretato e concesso dal Padre il “transito” ai cieli, e fu “assunta” dal Figlio nella gloria divina e divinizzata anima e corpo dallo Spirito Santo.

Nell’Assunzione di Maria e la sua piena unione con Cristo risorto dai morti possiamo sperimentare la sua viva ed efficace presenza nella Chiesa, la sua spirituale maternità. Come Maria, abbiamo parte al mistero salvifico di Cristo e come lei tendiamo alla gloria del Cielo: ci arriveremo se cercheremo con costanza le cose di lassú. L’intercessione di Maria ci riempia con l’amore, ci sostenga sulla via che porta alla gloria, ci rafforzi nella perseveranza.

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Ap 12,1

Un segno grandioso apparve nel cielo:

una donna ammantata di sole,

con la luna sotto i suoi piedi

e sul capo una corona di dodici stelle.

L’antifona d’ingresso è Ap 12,1 ripreso dalla Lettura, il testo apre sulla visione del «grande Segno» dal cielo, la Donna adornata con i simboli cosmici della regalità messianica.

Canto all’evangelo

Alleluia, alleluia.

Maria è assunta in cielo;

esultano le schiere degli angeli.

Alleluia.

L’alleluia all’Evangelo è una composizione. Per questo divino evento, i Turni angelici dell’adorazione celeste perenne intorno a Dio esultano.

L’evangelo

Una scena commovente, e tuttavia comune: due donne che aspettano un bambino si incontrano. Ma se pensiamo al posto che ciascuna di esse occupa nel disegno di Dio, questo incontro diventa uno straordinario e fecondo mistero. Nella visita di Maria ad Elisabetta, la Vita va incontro alla speranza umana. Il figlio di Maria, «le cui origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti» (Mi 5,2), incarnerà in mezzo agli uomini il Dio invisibile; il bambino di Elisabetta porterà al culmine l’attesa di Israele. La vita di Dio e la speranza degli uomini: quale incontro! Ci stupiremo di ciò che è detto, di ciò che avviene?

«Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore!»: in questo grido di Elisabetta si può cogliere un richiamo all’annunciazione attraverso cui Maria, ricoperta dall’ombra dello Spirito, è diventata la madre di Dio. La visitazione conclude e completa il messaggio dell’angelo. Ci troviamo di fronte al dinamismo dello Spirito che invade progressivamente i protagonisti dell’evangelo dell’infanzia: Maria, che intraprende con entusiasmo il primo viaggio apostolico, per condividere la propria gioia con la cugina; Elisabetta, che si inchina di fronte a ciò che rappresenta colei che è venuta a farle visita, e la proclama benedetta fra tutte le donne; Giovanni, che già sussulta di gioia, inaugurando così il proprio ruolo di precursore. Piccoli segni che rivelano che, fin dal concepimento di Gesù, un fiume di vita dilaga irresistibile, impaziente di irrigare tutta la terra.

La stessa atmosfera evangelica si respira ancora oggi, quando i cristiani, sull’esempio di Maria e di Elisabetta, parlano fra loro, con semplicità di cuore, della presenza di Dio nella loro vita, quando celebrano nell’azione di grazie le meraviglie che il Signore ha compiuto per loro. Ogni volta è la Chiesa di Dio che nasce fra gli uomini, nel sussulto gioioso dello Spirito.

La parte dell’Evangelo relativa ai primissimi eventi della vita di Cristo gode, come si sa, di un trattamento di favore in Luca come in Matteo gli unici due dei quattro evangelisti attenti a quel periodo.

Senza pregiudicarne la storicità e la fedele trasmissione, i fatti dei primi anni di Cristo furono presentati con una particolare ricchezza di motivi soprattutto biblici, che riflettono la più profonda intelligenza che di tutto l’Evangelo gli apostoli ebbero dopo il dono dello Spirito Santo, al compimento del mistero pasquale di Cristo.

Nella trattazione parallela dell’infanzia di Giovanni Battista e di Gesù, 1’Evangelo si snoda in due dittici: un dittico delle annunciazioni (Cfr. 1,5-56) e un dittico delle natività (1,57-2,52). La visita di Maria ad Elisabetta è l’episodio complementare con cui termina il primo dittico, quello delle annunciazioni, che comprende:

  1. L’annuncio della nascita di Giovanni il precursore (1,5-25)
  2. e 1’annuncio della nascita di Gesù (1,26-38).

II racconto collega tra loro i due precedenti episodi; in effetti, oltre che Maria ed Elisabetta, sono Giovanni e Gesù che si incontrano per la prima volta. Attraverso la propria madre il profeta precursore saluta e rende testimonianza al Signore Messìa presente in Maria di Nazaret. Questo significato dell’incontro delle due madri è suggerito dalle discrete allusioni a episodi e personaggi dell’AT che si intravedono come in filigrana. Nel loro incontro è l’abbraccio tra l’Antico e il Nuovo Testamento, tra la promessa e il compimento. Il N.T. fa visita all’AT che è segno e promessa, per capire la realtà che si sta compiendo. Per questo l’evangelista Luca introduce accuratamente il suo lettore di origine pagana nella lettura della storia di Israele, della quale offre nei primi capitoli un riassunto insieme simbolico e concreto. Al di fuori della promessa dell’AT è impossibile «riconoscere» il dono di Dio che è venuto a visitarci; solo il Battista è in grado di indicarlo.

Nell’evangelo una ragazza intona l’inno della liberazione. Quanti ricordi di guerra in questa pagina! Maria è paragonata all’arca dell’alleanza, che assicurava la presenza di Dio alla testa dell’esercito; e Giovanni danza dinanzi a lei, come Davide davanti all’arca (2Sam 6,12); la durata della permanenza di Maria nella casa di Zaccaria è identica a quella dell’arca nella casa di Obed-Edom (2Sam 6,10-11). Inoltre, Elisabetta accoglie Maria con l’esclamazione che aveva accolto Gioele e Giuditta (Gdt 5,2-31; 13,7-18) dopo il loro successo sul nemico. Ma il cantico delle primitive comunità cristiane, che Luca pone sulle labbra di Maria, oltrepassa tutti i canti di guerra dell’AT. Inno rivoluzionario, porta i gemiti e le speranze dei poveri, è il canto pasquale, l’inno a tutti i rinnovamenti possibili: da quando la morte non è più cosa assurda l’odio si può disgregare di fronte all’amore.

I lettura: Ap 11,19a; 12,1-6a.10ab

Qui il Disegno divino realizzato nella prima fase degli ultimi tempi in Maria, poteva essere meglio proposto all’ascolto da un’idonea Lettura dell’A.T. La presente Lettura è un chiaro “adattamento”. Infatti la Chiesa apostolica vedeva nel Segno grande, la Donna, la Comunità messianica, la sua storia di dolore e di persecuzione fino al parto travagliato e doloroso del Figlio suo, il Messia, ma nella vittoria regale finale di questo, «il Figlio maschio». Più tardi il testo, trascurando alquanto il suo contesto, fu applicato in senso mariologico. La Chiesa può operare applicazioni e le spiega opportunamente. Tuttavia oggi la spiegazione ecclesiologica resta confinata quasi alla sola esegesi di scuola, mentre è corrente solo quella mariologica. Così le due spiegazioni, ambedue vere e legittime, non sono raccordate tra esse in modo opportuno. La sola soluzione conveniente invece è di tenere conto delle due visuali in armonia.

Si tenga presente qui lo schema dell’Apocalisse. Alla settima tromba il Cielo si manifesta e si rivela, aprendosi e mostrando l’Arca dell’alleanza, la Dimora della divina Presenza che interviene nella storia. Avviene allora una teofania grandiosa nei segni della tempesta (11,19). Insieme si manifesta il Segno grande, la Donna, la Regina e la Sposa, con l’adornamento regale divino, i segni cosmici e astronomici posti come trofeo sotto i suoi piedi (v. 12,1). Per lei viene ormai il momento cruciale di partorire, in modo terribile, doloroso, nell’angoscia (v. 2, fuori lettura). È qui allusa la Croce, da dove nasce alla vita eterna l’Umanità del Figlio adesso generato.

L’altro segno, permesso dal Cielo come anti-segno, è il Drago, l’Anti-Dio, con le insegne della regalità terrestre e infernale (v. 3), e con i segni cosmici negativi, la distruzione del creato e la riduzione di questo al caos (v. 4a). Esso si pone in guerra contro la Donna partoriente, per divorare il Figlio. Qui sono alluse le tentazioni e le persecuzioni mortali contro Cristo, dal diavolo nel deserto, dai parenti, dai discepoli, sotto la Croce, che sono di necessità anche le tentazioni contro la sua Chiesa (v. 4b).

La Donna partorisce il Figlio maschio. Qui si nota l’applicazione a Maria, che costringe a tralasciare il v. 2, sui tremendi dolori del parto messianico, fondamentale per la spiegazione, e sposta così l’asse del significato. Il Figlio è il Re messianico (Sal 2,7-9), che dopo la Croce è assunto al Cielo nella gloria regale del Trono divino (v. 5). Resta sulla terra la Donna, la Comunità, la quale è oggetto di persecuzione e di tribolazioni, e deve fare un lungo, tribolato esodo nel deserto, pellegrinaggio disposto e protetto da Dio (v. 6a).

Il testo qui espunto (v. 6b) parla del nutrimento di 1260 giorni, disposto da Dio per la Donna, e sono i 42 mesi; questo è il numero simbolico del tempo della persecuzione sofferta dai santi dell’Altissimo al tempo della dissacrazione del tempio da parte di Antioco IV Epifane, poi riconsacrato dai Maccabei vittoriosi (1 Macc 1,10-64, e 4,36-59; e la profezia di Dan 7,24-27). Nei vv. 7-9 avviene la grande battaglia, vinta da Michele contro il Drago, il Serpente antico, il Diavolo, Satana, il Seduttore del mondo, precipitato con i suoi angeli ribelli sulla terra.

Dopo la vittoria finale, dal cielo stesso si proclama che è avvenuta la salvezza e la potenza e il Regno del Dio e la Sovranità dei Cristo suo (v. 10ab). La motivazione è che fu precipitato il grande Accusatore dei fratelli fedeli, nell’abisso da cui sarà detenuto fino al momento stabilito nel cielo. Si è avverata la primordiale profezia di Gen 3,15: la Discendenza della Donna ha schiacciato la testa del serpente.

Esaminiamo il brano

39 – «In quei giorni»: La visita di Maria ad Elisabetta è collegata con l’annunzio dell’angelo Gabriele, il quale, in segno dell’onnipotenza di Dio manifesta nella incarnazione del Figlio, menzionò il concepimento dell’anziana parente della Vergine (1,16-37).

«in fretta»: Maria fa visita ad Elisabetta, ma non per sciogliere un dubbio o per verificare la verità delle parole dell’angelo; va “in fretta” non certo mossa da ansia o da incertezza, ma da gioia e premura. Non va per “curiosità”, ma perché crede a ciò che le è stato detto e dato. Essa corre là dove il progetto di Dio comincia a realizzarsi, per riconoscere, adorare, cantare.

«una città di Giuda»: il luogo dell’incontro vagamente indicato come una città della Giudea montagnosa, è stato identificato dalla tradizione con il villaggio di Aìn Karìm, «la fontana generosa», a circa 6 Km a sud-ovest di Gerusalemme e a circa 150 Km da Nazaret. Il viaggio richiedeva preparativi e una scorta; occorrevano infatti ben quattro giorni di cammino.

40 – «Entrata… salutò»: il saluto ebraico è shalom, pace! Maria non solo augura e promette, ma anche porta in quella casa la pace promessa ad Israele.

41 – «sussultò»: alla presenza di Maria, sussultano le viscere dì Elisabetta; i due bambini si riconoscono prima delle rispettive madri, che pur sì conoscevano bene. Il verbo greco usato dall’evangelista skirtáō indica che il movimento è scomposto, non è fatto con ritmo o misura (tripudiare). Lo ritroviamo in:

  1. Gen 25,22 indica il movimento di Esaù e Giacobbe in grembo a Rebecca, movimento che, non essendo ritmico ma disordinato, viene interpretato in senso sfavorevole.
  2. La danza di Davide davanti all’arca (2 Sam 6,13-22) proprio perché non si trattava di danza ma di movimenti disordinati, scomposti, viene rimproverata da Micol (figlia di Saul e moglie di David).

«fu piena di Spirito Santo»: la Parola Vivente, che Maria porta nel suo seno, come primo effetto comunica lo Spirito Santo ad Elisabetta, che nello Spirito riconosce in Maria la Madre del suo Signore.

42 – «esclamò a gran voce»: in sostituzione dell’originale anaphōnéō che indica un urlo, un grido causato da una forte emozione, senza precisarne la natura. Luca ama le espressioni energiche nel rendere le emozioni aggiungendo l’aggettivo grande come qui.

«Benedetta tu… benedetto il frutto…»: nel linguaggio semitico siamo di fronte ad un superlativo: non benedetta dunque ma benedettissima. La formula superlativa con la quale Maria è esaltata come “benedetta fra le donne“, cioè più d’ogni altra donna, è una eco degli elogi rivolti alle due celebri eroine del popolo di Dio Giaele (Cfr. Gdc 5,24) e Giuditta (Cfr. Gdt 13,18), ma assume un significato inedito perché unita alla benedizione del «frutto del grembo» di Maria.

43 «A che debbo…»: Al grido di benedizione per il dono ricevuto, si accompagna il senso di meraviglia: come mai a me questa grazia? Molti autori mettono in evidenza il parallelismo verbale che intercorre tra il racconto della visitazione e il trasporto dell’arca a Gerusalemme al tempo di Davide.

Mille anni prima dell’incontro di Ain Karim, il re Davide al culmine della sua potenza aveva voluto fare di Gerusalemme la nuova capitale della nazione santa riunita sotto il suo scettro e per prima cosa si preoccupò di trasportarvi l’Arca Santa, trono di Dio, che si trovava su una collina a circa 15 Km da Gerusalemme:

    1. L’arca sale a Gerusalemme (2 Sam 6,2) Maria ad una città di Giudea (Lc 1,39);
    2. grida di gioia ed acclamazioni accompagnano l’arca (2 Sam 6,15; 1 Cr 15,28), il grido festoso di Elisabetta accoglie Maria (Lc 1,42);
    3. Davide saltava davanti all’arca (2 Sam 6,16), Giovanni salta nel grembo di Elisabetta (Lc 1,44);
    4. infine Davide si chiede, dopo un tragico incidente, se fosse degno di accogliere il trono di Dio nella sua casa e la lasciò in casa di un pio filisteo per «tre mesi», durante i quali il Signore benedisse quella casa (2 Sam 6,9-11; Cfr. Lc 1,43.56).

Maria è ora l’arca che reca la presenza salvifica del Signore in mezzo al suo popolo.

44 – «appena la voce… il bambino ha esultato…»: Il sussulto (skirtáō) che permette il riconoscimento è narrato due volte: prima come fatto e poi come conoscenza del fatto. Non basta il fatto della visita del Signore, bisogna riconoscerla; lui infatti ci visita sempre anche se noi non ce ne accorgiamo, per questo non lo amiamo! I padri dicevano che il gigante dei peccati è l’oblio e richiamavano continuamente all’ascolto attento del cuore.

«Non appena giunse in mezzo a noi, il redentore dell’umanità si recò subito, ancora nel seno di sua madre, presso il suo amico Giovanni. Si vide allora il vasaio visitare l’argilla, il re andare ad abitare sotto la tenda del soldato, il padrone entrare nella capanna dello schiavo. Quando, dal seno materno, Giovanni lo vide nel seno materno, tentò di infrangere i limiti della natura. «Non conosco, disse, il Signore che fissò i confini della natura; non aspetto il traguardo della nascita.

Non ho bisogno di una nascita maturata per nove mesi; a che prò starmene rinchiuso come lo sono ora? Perché non spezzare i legami che mi trattengono? Voglio uscire, voglio proclamare il significato di questi avvenimenti sconcertanti. Sono il segnale della venuta divina, sono l’annunciatore dell’incarnazione del Verbo di Dio. Voglio far udire la mia voce, e donare alla lingua di mio padre il bene della parola; voglio farmi sentire, e vivificare le viscere inerti di mia madre». Ecco ciò che vi è di straordinario in questo mistero: non è ancora nato, e parla sussultando nel grembo di sua madre; non è ancora venuto alla luce, e proferisce minacce; non è ancora in grado di gridare, e si fa capire a gesti; non è ancora iniziato alla vita, e predica Dio; non vede ancora la luce, e indica il sole; non è ancora stato messo al mondo, e cerca di correre avanti.

Non può sopportare di rimanere rinchiuso quando viene il Signore; non può attendere il traguardo della nascita, e cerca di infrangere la prigione delle viscere, si sforza di indicare il Salvatore che viene, e con i suoi sussulti grida: «Ecco colui che spezza le catene: perché sono ancora legato? È venuto colui che con una parola ha organizzato l’universo: perché devo attendere i termini della natura? Uscirò, correrò davanti a lui, griderò a tutti: Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!». Tutto questo dicono i sussulti di Giovanni, o meglio le sue parole». (Omelia attribuita a san Giovanni Crisostomo)

45 – «Ecco»: un avverbio usato più di 200 volte nel N.T., serve a Luca per attirare l’attenzione del lettore o sottolineare la grandezza di una cosa o l’importanza di un vaticinio. In ebraico era il modo con cui una persona si dichiarava pronta ad obbedire; nella narrazione vivace è usato per segnare, quasi a dito, una cosa presente o vicina.

«Beata colei che ha creduto…»: Elisabetta chiama makaría = beata Maria perché ha creduto nell’adempimento della parola del Signore che promette l’assolutamente impossibile. Questa è la prima beatitudine dell’evangelo e sarà su questa linea anche l’ultima di esso, in Gv 20,29: «beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno».

46-55 «Maria disse…»: è il canto con cui la Chiesa conclude ogni giorno la preghiera del vespro; è il canto dei salvati, di coloro che hanno sperimentato oggi la salvezza. È un cantico di lode, sul tipo di quello di Anna in 1 Sam 2, che vede la promessa ormai realizzata. È il canto di beatitudine di chi ha veduto e ha riconosciuto l’azione di Dio in suo favore. È il canto che prorompe dall’uomo che ha accolto il suo signore. È un canto personale ed insieme universale e cosmico.

Il canto di Maria testimonia con certezza che giunge il cambiamento decisivo della storia degli uomini; Gesù è il portatore di quella pienezza escatologica che il popolo d’Israele cercava ansiosamente. Con parole dell’AT e in un contesto profetico, il canto che Luca ha posto sulle labbra di Maria esprime la certezza che siamo ormai al culmine della storia: le vie degli uomini sono giunte al loro termine e tutte le loro leggi sono state inefficaci. Ebbene, questa è l’ora in cui si presenta a noi la vera via di Dio fra gli uomini.

In primo luogo, il canto di Maria è una testimonianza della forza trasformante di Dio sulla storia. Dio era nascosto dietro il fondo d’ingiustizia originale del nostro mondo; pareva che questa fosse l’appoggio e la garanzia della forza dei grandi (i superbi, i potenti, i ricchi della terra). Certamente, c’era una parola di speranza contenuta nella promessa di Abramo e del suo popolo; ma il mondo nel suo insieme era cieco, abbandonato da Dio e sottomesso ai poteri della terra che, in un modo o in un altro finivano col divinizzarsi. Orbene, su questo fondo di «ingiustizia» (che è la vera idolatria degli uomini) è venuta a manifestarsi la vera intimità di Dio per mezzo di Gesù, il Cristo. Dio si rivela come la forza della santità misericordiosa che «ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati», dimostrando che la sicurezza dei.grandi è del tutto inesistente. È impressionante scoprire la profondità del contenuto sociale di questa lode di Maria. La presenza di Dio sulla terra si traduce (o si deve tradurre) in una trasformazione che cambia tutti i fondamenti della storia. La grandezza degli uomini, che hanno cercato (e cercano) il loro profìtto mentre gli umili della terra soffrono, si è dimostrata antidivina, per quanto siano numerosi quelli che rivestono il loro potere di frasi apparentemente religiose. Dio si è definito per mezzo di Gesù Cristo come l’amore che aiuta e arricchisce i piccoli. L’applicazione concreta di questa istanza radicale del cristianesimo, contenuta nel canto di Maria, significherebbe la più profonda fra le rivoluzioni sociali della storia.

Ma questo canto è qualcosa di più d’un «manifesto sociale» e ci scopre che solo Dio è la vera ricchezza. Perciò, chi è pieno di sé e delle sue cose in realtà è vuoto. Solo aprendosi alle profondità di Dio e del suo amore, ricevendo la grazia del perdono ed estendendola agli altri, l’uomo diviene veramente ricco. L’esempio più alto di questa ricchezza è Maria.

Prefazio:

Oggi la Vergine Maria, madre di Cristo,

tuo Figlio e nostro Signore,

è stata assunta nella gloria del cielo.

In lei, primizia e immagine della Chiesa,

hai rivelato il compimento del mistero di salvezza

e hai fatto risplendere per il tuo popolo, pellegrino sulla terra,

un segno di consolazione e di sicura speranza.

Tu non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro

colei che ha generato il Signore della vita.

Il Prefazio proclama la gloria pura della Madre di Dio e Semprevergine, la Genitrice dell’Autore di tutta la vita. Maria è chiamata «inizio e immagine della Chiesa» di Dio, poiché questa deve ancora essere portata alla perfezione. Anche noi, avendo conosciuto dall’evangelo come l’angelo annuncia l’Incarnazione del Cristo Figlio di Dio, accettando la Croce e l’assimilazione a Cristo che soffrì, possiamo giungere alla gloria comune della resurrezione. Così preghiamo con la colletta: 

Dio onnipotente ed eterno,

che hai innalzato alla gloria del cielo

in corpo e anima l’immacolata Vergine Maria,

madre di Cristo tuo Figlio,

fa’ che viviamo in questo mondo

costantemente rivolti ai beni eterni,

per condividere la sua stessa gloria.

Per il nostro Signore Gesù Cristo…