PAROLE CHIARE E TAGLIENTI
Solo due settimane fa abbiamo sentito l’apostolo Giacomo tuonare contro i ricchi soddisfatti, ingiusti e crudeli. Oggi il tema della ricchezza ritorna sulle labbra di Gesù, con un accento diverso ma come ammonimento non meno chiaro e forte.
La parola di Dio è “tagliente”
C’è chi, ascoltando la parola di Dio nelle letture della Messa e nell’omelia, vi cerca motivi di consolazione e d’incoraggiamento: e non ha torto. Se “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16), la sua parola non può non essere ispirata dall’amore con cui egli ama i suoi figli. Il salmista dichiara: “Quanto sono dolci al mio palato le tue parole: più del miele alla mia bocca” (Sal 118,103). Ma essa è anche “viva, efficace e più tagliente d’ogni spada a doppio taglio”. Penetrando nell’intimo per scrutare i pensieri e i sentimenti più reconditi, la parola di Dio ci svela a noi stessi, mette a nudo quanto c’è in noi di buono, ma anche le magagne nascoste a tutti, che ci procurano rimorso e ci coprono di vergogna. Certo, sbaglieremmo noi, che abbiamo la missione di proclamare la parola di Dio, se dimenticassimo la debolezza dell’uomo peccatore – s. Paolo non esitava a dichiararsi il primo dei peccatori che Cristo è venuto a salvare (cf 1 Tm 1,15) –, se non fossimo i mes-saggeri della misericordia, del perdono e dell’amore.
Ma nei profeti, nel Vangelo, negli scritti degli apostoli, le minacce dei castighi si avvicendano agli appelli dell’amore: “Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno” (Sal 84,11). Se la predica non ci disturba, se uscendo dalla chiesa non ci sentiamo scossi e decisi a cambiare qualcosa nella nostra vita, c’è da dubitare che il predicatore abbia fatto il suo dovere, perché la sua non è veramente la parola di Dio “viva, efficace e tagliente” (o non potrà essere colpa di chi ascolta la parola e non la mette in pratica?) (cf Gc 1,23-25). Le parole del sacerdote, così s. Massimo di Torino, sono come un’arma che abbatte i pensieri vani, che soggioga chi è gonfio di superbia e colpisce il disobbediente e il ribelle.
Gerarchia dei valori
La 1ª lettura stabilisce un confronto fra due ordini di valori. Da una parte stanno il potere (scettro e trono), la ricchezza (gemme, oro, argento), la salute, la bellezza, infine, la luce. Di fronte a questi beni sta la prudenza, la sapienza che viene da Dio, che ci fa conoscere e amare lui, ci fa comprendere il vero senso delle cose e della vita, “è radiosa e indefettibile” (Sap 6,12), “è un’emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente… È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà… pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova” (Sap 7,25-27). La distanza è tale che, paragonato alla sapienza, l’argento non è che sabbia, l’oro è come fango. Questo scriveva l’autore sacro verso la metà del primo secolo avanti Cristo. La parola di Gesù, “viva, efficace e tagliente”, è come l’applicazione pratica di ciò che insegna il libro della Sapienza.
Il Vangelo non fa paragoni. Semmai c’è un confronto implicito fra le ricchezze di quel tale che “aveva molti beni” e il tesoro che l’aspetta nel cielo se è disposto ad accettare il suo invito: “Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Tuttavia Gesù va più in là quando denuncia, parlando ai discepoli, l’ostacolo che costituiscono le ricchezze a chi vuol entrare nel regno di Dio: “Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!… È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Eppure cosa c’è di più importante per l’uomo che entrare nel regno di Dio, “il regno eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace” (prefazio della festa di Cristo Re)?
Iniziando il suo ministero, “Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo”” (Mc 1,14-15), e chiamava tutti gli uomini ad accogliere il Regno, a entrarvi. Quando l’uomo, per riprendere i temi della 1ª lettura, potesse godersi tutti quelli che si considerano i beni della vita: salute, bellezza, ricchezza, potere, non avrebbe con ciò trovato la pace del cuore, perché non avrebbe trovato Dio. E la “vita eterna”, su cui il ricco interroga Gesù? Ci crediamo che non c’è solamente questa vita terrena, che “passerà come le tracce di una nube, si disperderà come nebbia scacciata dai raggi del sole e disciolta dal calore”, che “è il passare di un’ombra” (Sap 2,4-5), ma c’è una vita che, iniziata quaggiù col dono della fede e della grazia che ci fa figli di Dio, alimentata dalla parola di Dio e dall’Eucaristia, è destinata a durare oltre la barriera della morte? L’ha detto Gesù: “Io sono il pane della vita… Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno… Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,48-58).
Ma come si spiega questa incompatibilità fra la ricchezza e il regno di Dio? In fondo non viene da Dio creatore tutto ciò che l’uomo ha a disposizione per provvedere alle necessità della vita, tutto ciò che costituisce fonte potenziale di ricchezza? Certo; ma è troppo facile che il luccichio dell’oro seduca l’uomo fino a fargli dimenticare la sapienza, dono di Dio e Dio stesso. È troppo facile che l’uomo, cedendo all’avidità del denaro, si lasci irretire dall’egoismo. “Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e popoli” (Gaudium et Spes, 69) e non al godimento di persone, classi sociali, gruppi e nazioni privilegiate, a cui sia lecito disporne a capriccio calpestando le esigenze della giustizia, della solidarietà, dell’amore fraterno.
Ammonisce Paolo VI: “L’acquisizione dei beni temporali può condurre alla cupidigia, al desiderio di avere sempre di più e alla tentazione di accrescere la propria potenza. L’avarizia delle persone, delle famiglie e delle nazioni può contagiare i meno abbienti come i più ricchi, e suscitare negli uni e negli altri un materialismo soffocatore” (Populorum progressio, 18). Il congresso eucaristico nazionale brasiliano del 1975, incentrato sul tema “Condividere il pane”, il congresso eucaristico internazionale di Filadelfia del 1976, che aveva come tema “L’Eucaristia e la fame nel mondo”, fanno eco alla parola di Paolo VI nell’Enciclica ora citata: “I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello” (n. 3).
Ma se la piaga dell’ingordigia di chi vuole tutto per sé, è così diffusa – e non sembra che ai nostri tempi lo sia meno che ai tempi di Gesù –, anche noi domandiamo, come i discepoli: “E chi mai si può salvare?”. Gesù non ammorbidisce le cose dure che ha detto prima, ma completa: “Impossibile presso gli uomini ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio”. Dunque, entrare nel disegno di Dio, ascoltando e accettando la sua parola, “viva, tagliente ed efficace”. Dunque pregare, chiedendo al Signore: “Effondi su noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni” (colletta della 27ª Domenica per annum).
“Gesù, fissatolo, lo amò”
Solo lui, uomo di buona volontà, ma non certo una stoffa di eroe? Lui che, con il suo implicito “no” stava per recare al Maestro un grande dispiacere?
L’amore di Gesù non è solo per i migliori, per i più generosi. È amore che dona e si dona, con assoluto disinteresse. Amore che non va solo agli uomini in genere, ma a ciascuno in particolare. Amore che non si dà per vinto, che risponde anche al saluto di Giuda, nell’atto che consuma il suo tradimento, chiamandolo “amico” (cf Mt 26,50). Un noto scrittore di romanzi mette in bocca a un suo personaggio: “Il cuore oggi è messo al bando… Ora va avanti chi ha una macchina calcolatrice al posto del cuore”. Nel loro accento pessimistico, queste parole hanno purtroppo un fondo di verità. Ma non toccano Dio, il Padre che ci ama (cf Gv 16,27), che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito… perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,16-17); Gesù, “che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20); lo Spirito Santo, “fonte viva, fuoco, carità… che infonde amore nei cuori” (Inno “Veni Creator”).
“Lo amò”: perciò gli parlò con verità, per il suo bene, con parole che lo lasciarono triste e afflitto. Gesù ci ama quando ci fa sentire il suo invito, anche se ci costa; possiamo noi rispondere con un “sì” pronto e generoso! Gesù ama tutti e ciascuno. Potrò io negare a qualcuno il mio amore di fratello, un amore sincero di cuore e di opere, che mi spinge a vivere in comunione con tutti, in primo luogo con i più vicini, nella chiesa locale, nella comunità civile di cui faccio parte, ad aiutare chi ha bisogno, a lottare, secondo la mia vocazione e le mie possibilità, contro “le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni”, per realizzare “l’ascesa dalla miseria verso il possesso del necessario, la vittoria sui flagelli sociali, l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura”. Per vivere nella fede, “dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo”, per attuare “l’unità nella carità di figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini” (Populorum progressio, 21).
Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC
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XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
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- Colore liturgico: Verde
- Sap 7, 7-11; Sal. 89; Eb 4, 12-13; Mc 10, 17-30
Vendi quello che hai e seguimi.
Mc 10, 17-30
Dal Vangelo secondo Marco
17Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». 20Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 22Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 24I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». 27Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
28Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». 29Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, 30che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 14 – 20 Ottobre 2018
- Tempo Ordinario XXVIII
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 4
Fonte: LaSacraBibbia.net
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