Commento al Vangelo di domenica 14 Marzo 2021 – mons. Giuseppe Mani

Dio ci ha amato per primo

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Che Dio ci ha amato per primo è ribadito con forza nel vangelo di oggi. Non è che non si sappia, ma una certa spiritualità punta maggiormente sulla necessità di amare Dio, più che sul fatto che siamo amati da Lui. Giovanni sottolinea la realtà dell’amore di Dio rivelato nell’azione salvifica del Figlio: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi ed ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,9-10).

La priorità dell’amore che Dio ha per noi implica da parte di Dio la misericordia per il peccato e la debolezza degli uomini. E’ caratterizzante la fede del cristiano. D’altra parte Giovanni afferma: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi” (1Gv 3,16).

Credere questo è talmente importante da diventare determinante per la nostra fede: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi”. E non si tratta di una situazione passeggera, ma di una costante necessaria: “Dio è amore e chi sta nell’amore sta in Dio e Dio è in lui” (1Gv 4,16).

Il conflitto tra luce e tenebre rivela il conflitto della vita cristiana. Il cristiano si trova dinanzi ad una scelta che non può eludere.

Nella prima lettura di questa domenica ci viene presentata l’infedeltà di Israele: “Tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicavano le loro infedeltà”. L’ira di Dio provoca la distruzione del tempio e la deportazione in Babilonia di coloro che erano sfuggiti al massacro.

Ma il Signore è Dio di amore e, settanta anni dopo, Ciro, re di Persia, fa ricostruire il tempio e permette a tutti coloro che appartengono al popolo di Dio di tornare a Gerusalemme.

Lo stato di sofferenza del popolo di Israele è l’immagine di ogni sofferenza, quindi anche della nostra, di questo momento. Il salmo che viene messo sulle labbra del popolo e che oggi è proposto anche a noi esprime in modo meraviglioso i sentimenti di Israele ai quali si possono unire i nostri : “Come cantare i canti del Signore in terra straniera? Se ti dimentico Gerusalemme, si paralizzi la mia destra” (Sal 136). In ogni situazione non dobbiamo cessare mai di lodare e ringraziare il Signore con la certezza che ci ama!

Il cristiano ha un modo per ricordare l’amore di Dio per lui: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14).

Innalzare la croce con il Crocifisso è il simbolo per eccellenza del cristiano, perché siamo nati dalla Croce. La Croce apparirà per prima al momento del giudizio finale e non può essere che il punto di riferimento della vita del cristiano, come dice san Paolo: “Non mi glorio di nient’altro che della Croce del Signore Nostro Gesù Cristo in cui è vita, salvezza e santificazione”.

E’ facile comportarsi da “nemici della Croce di Cristo”, perché la Croce capovolge ogni criterio di giudizio umano. Per il cristiano la vittoria non è la sconfitta del nemico, ma l’amore per lui; la riuscita non è il successo, ma il fallimento; segno della vittoria non è la “bandiera sanguinante” del sangue del nemico, ma la Croce della sconfitto. Dio, che ha detronizzato i potenti, innalza gli umili e mentre disperde i superbi nei pensieri del loro cuore, sostenta gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote. Innalzare la Croce è credere alla potenza dell’amore di Dio che salva l’uomo da ogni male.

La nostra quaresima di Pandemia è sicuramente una occasione di grazia per penetrare il Mistero della Croce di Cristo fino alla convinzione profonda che dalla Croce non si scende, ma si risorge.

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