La domenica delle Palme è come la porta d’ingresso nella Settimana Santa che ci mette in presenza dell’evento della nostra salvezza. Non è una storia come le altre ma la storia che cambia il corso della storia. Le prime due letture della Messa di oggi contengono la chiave per capire il mistero pasquale per cui le commenteremo proprio in funzione di questo: entrare nel mistero che stiamo celebrando. “Come Dio “ e “Come uomo”. Son certo che l’autore dell’inno della lettera ai Filippesi aveva in testa il cap. 3 della Genesi e i testi di Isaia (48, 50,52,53). Tutto il testo si gioca su “essere come Dio “ e “essere come uomo”.
Cristo fa la strada esattamente al contrario di come la voleva fare Adamo. Dio è accusato di voler custodire gelosamente la sua condizione divina, di non voler parteciparla. Cristo, in partenza, “nella sua condizione divina” smentisce questa gelosia “facendosi come uomo”. Ma essere uomo non è soltanto avere delle braccia e delle gambe ma accettare la condizione integrale dell’umanità che comprende anche la possibilità di perder un giorno questa condizione con la morte e la possibilità di essere rigettato, umiliato e scartato. Cristo va fino in fondo a questa condizione umana. Cristo manifesta la non gelosia di Dio “Svuotò se stesso” e prese la condizione di servo. E’ esattamente il contrario del peccato descritto dalla Genesi. Disobbedienza e obbedienza. La gelosia aveva condotto Adamo alla disobbedienza che è il risultato della sfiducia. La controgelosia di Cristo conduce all’obbedienza. Obbedienza a Chi? Prima di tutto alla condizione umana: “spogliò se stesso”; obbedienza alla volontà degli uomini: “non ho opposto resistenza, non mi son tirato indietro”; obbedienza alla Scrittura: il Cristo si conforma al programma del Servo, e infine l’obbedienza a Dio.
E qui tocchiamo l’indicibile: perché l’obbedienza umana del Cristo non è che il riflesso della sua uguaglianza col Padre. La sua volontà non può differire da quella del Padre. Perché: cosa vuole il padre? Che nulla sia perduto di ciò che gli ha dato. (Gv 6, 37-40). La volontà di Dio è di condividere in Cristo, tutte la debolezze dell’uomo per salvarlo. Gesù prende l’atteggiamento opposto da quello dei dominatori (rivestendo il personaggio del servitore). Facendo questo Dio è rivelato esattamente come il contrario del dominatore. Il vero punto di incontro. Il nostro problema è di essere come Dio perché per questo siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. Ma essere come Dio non si accaparra con la disobbedienza (questo è il peccato) non può essere ricevuto che come un dono. L’uomo, Adamo, ha scelto il peccato.
Ora il peccato è mortale perché rompe la possibilità dell’amore ed è l’amore, il dono che ci fa vivere.Dio non rinuncia all’identità dell’uomo con Lui. Anzi si identifica con l’uomo. La disobbedienza di Adamo lo conduce alla morte; anche l’obbedienza di Cristo conduce alla morte. E’in questa morte che Dio è come l’uomo e l’uomo come Dio. Ma non è finita. E’ il primo tempo. Paolo dirà che Cristo si è fatto peccato. Sulla croce è l’immagine stessa di come siamo noi. E nello stesso tempo rivela a noi Dio che è amore. L’uomo infine “come Dio”. Il Cristo esaltato è il Crocifisso divenuto come Dio. In Lui è l’umanità che si trova nella condizione divina. Si sa che nella Bibbia il nome di Dio può essere scritto ma non pronunciato. Ormai Dio riceve un nome pronunciabile. Il Nome indicibile al di sopra di ogni altro nome che può essere proclamato “in tutte le lingue”. E questo nome è Gesù.
Un nome di uomo. Gesù riceve l’omaggio regale (tutto l’intero cosmo si inginocchia davanti a Lui) riservato soltanto ad Yahveh. E’ l’esaltazione di Cristo ma è anche l’esaltazione dell’uomo. E al di la della morte, attraverso la disobbedienza-obbedienza è la vita che è magnificata perché Gesù è il Signore. La mia insistenza sulla lettera ai Filippesi è perché ci permettere di capire la passione di Cristo senza farci vedere un Dio giustiziere che reclama il sangue per lavare l’offesa. Ciò che non è vero.
Fonte – il sito di mons. Giuseppe Mani