Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.
“Un ramoscello dalla cima del cedro… lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto imponente… metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno… Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore”.
Il profeta Ezechiele, nel tempo del disastro e della dispersione, cioè in quel passaggio devastante della storia d’Israele che fu l’esilio, indica con un’immagine vegetale la cura continua di Dio per il popolo dell’alleanza proprio nel momento in cui più si sperimenta la fragilità e la piccolezza. La dinastia di Davide è infatti il ramoscello di cedro che Dio stesso prenderà e pianterà sopra un monte alto. E l’agire del Dio che prende le parti di chi è piccolo e vittima genera una storia diversa, una crescita inaudita, una possibilità di accoglienza smisurata per tutti gli uccelli del cielo.
Il messaggio che il profeta offre nella desolazione è in linea con l’intero percorso della storia della salvezza. Il Dio dell’alleanza è colui che ascolta il grido dell’oppresso, si è chinato su Israele non perché più forte o privilegiato tra i popoli, ma perché oppresso in Egitto, nella schiavitù, continua a prendersi cura scegliendo i piccoli e il suo rivelarsi è per un progetto di accoglienza e di vita. Così come l’immagine del ramoscello che diviene grande albero esprime. Mentre nessuna speranza appare dal punto di vista umano lo sguardo di Dio si posa sul più piccolo dei ramoscelli per aprire una storia nuova, dove sia possibile trovare dimora per tanti. E’ una promessa di una realtà nuova di ospitalità, di incontro, e in essa, di scoperta del volto di Dio che guarda non alle apparenze ma al cuore e sceglie i piccoli per accompagnare a scoprire che ‘Io sono il Signore’.
Anche Gesù usa riferimenti alla coltivazione per parlare del regno di Dio, cuore del suo annuncio. Le due parabole del vangelo offrono l’indicazione di immagini in cui scoprire da parte di chi ascolta che la propria vita è coinvolta. Innanzitutto l’immagine dell’uomo che getta un seme nel terreno. Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme… dorma o veglia, di notte o di giorno il seme germoglia e cresce”. Gesù esprime la forza dirompente di vita che sta dentro ad un piccolo seme: il gesto del seminare, ben conosciuto da chi l’ascoltava, indica innanzitutto che la presenza di Dio non è lontana ma vicina alla vita. In secondo luogo fa scorgere la sproporzione tra una piccolezza iniziale e l’ampiezza della mietitura. Quel gesto in perdita della semina si apre ad una crescita di vita che Gesù vede in atto nel suo annuncio, negli inizi di una fecondità di vita nuova.
La seconda parabola richiama l’immagine del granello di senapa, il più piccolo di tutti i semi. Questa estrema piccolezza fa da contrasto con ciò che diventa, “più grande di tutte le piante dell’orto”. E su questo albero ancora un’immagine di protezione e di accoglienza: gli uccelli del cielo possono fare il nodo alla sua ombra. Dal piccolo seme all’ombra del grande albero, dall’insignificanza di realtà trascurabile al dono di vita allargato.
Con un particolare importante: Gesù indica l’albero che cresce dal granello di senapa come la pianta più grande dell’orto. Non si tratta di qualcosa di lontano ed estraneo alla vita, ma è lì, piccola cosa nell’orto di casa e può diventare grande: è l’appello al cuore della parabola. L’incontro con Dio vicino, la possibilità di entrare nel regno, il suo disegno di vita condivisa e nell’accoglienza ospitale non sta chissà dove, non è realtà di un aldilà che non ha che fare con la terra ma è alla portata di mano, nell’orto di casa, nella zolla di terra di un quotidiano in cui scoprire un dono che genera risposta e responsabilità.
Alessandro Cortesi op