DOMENICA della «parabola del seme e del granellino di senape»
La parabola odierna ci dice che il regno di Dio progredisce proprio là dove non l’abbiamo nemmeno annunciato; spesso accade tra coloro a cui non prestiamo attenzione e persino dove poniamo degli ostacoli al regno. La parola di Dio è essa stessa all’opera, potente e creatrice. Dio ci affida questa parola come un piccolo seme: se lo lasciamo maturare, è capace di trasformare il mondo. Non è la povertà che conduce la Chiesa alla sconfitta, ma se mai i suoi cedimenti alla tentazione di essere potente. Preoccupati per la rapida diminuzione del numero dei credenti e per il secolarismo crescente di una società che si adatta senza fatica al silenzio di Dio, alcuni cristiani arrivano a rifiutare il mondo contemporaneo che, col suo disprezzo del passato e dei fasti ecclesiastici, ha cessato di meritare le glorie e i miracoli dei secoli della cristianità. Nella parabola del seme che germoglia da solo e del granellino di senapa, costoro potrebbero trovare una risposta alla loro preoccupazione e al loro scandalo.
Nonostante la sua apparente passività, Dio è all’opera nel mondo: il suo regno di salvezza conoscerà un’espansione prodigiosa, del tutto sproporzionata alla modestia degli inizi. Ma la condizione di questa crescita è la morte di Gesù, chicco di frumento gettato nella terra per portare molto frutto: la Chiesa non deve mai dimenticarlo. Non dobbiamo dunque perderci d’animo, ma dobbiamo piuttosto essere capaci di comprendere i cambiamenti che si impongono all’esistenza cristiana. Nella «condizione di diaspora» che ormai le è propria, la Chiesa deve operare un ritorno alle origini: all’evangelo, che i primi cristiani hanno vissuto senza il sostegno di una potente organizzazione, ma con i mezzi poveri della conversione e della testimonianza, gli unici capaci di guadagnare al Cristo il cuore degli uomini.
Dall’eucologia:
Antifona d’Ingresso Sal 26,7.9
Ascolta, Signore, la mia voce: a te io grido.
Sei tu il mio aiuto,
non respingermi, non abbandonarmi,
Dio della mia salvezza.
Dal Signore provengono tutte le benedizioni e tutta la misericordia, mentre dal suo nascondimento viene l’abbandono della morte. Per questo la Divina Liturgia si apre con la preghiera dell’orante del sal 26 come antif. d’ingresso, dove tutta l’assemblea grida col salmista il suo bisogno di aiuto e di grazia. Venga il Signore in aiuto cancellando il peccato dell’uomo.
Canto all’Evangelo
Alleluia, alleluia.
Il seme è la parola di Dio, il seminatore è Cristo:
chiunque trova lui, ha la vita eterna
Alleluia.
Continua il Tempo Ordinario e lungo questo Tempo, privilegiato tra tutti gli altri dell’Anno liturgico, noi celebriamo Cristo Signore Risorto, mentre Lo contempliamo in uno degli episodi della sua Vita tra gli uomini, quando insegna, o opera, o prega. Questa Domenica Egli insegna come Profeta e Maestro divino la Dottrina del Regno di Dio.
L’Evangelo di Marco non ha la ricchezza delle parabole di Matteo e di Luca, ma le concentra nel cap. 4, dove si succedono così: Mc 4,1-12, parabola del Seminatore; 4,13-20, spiegazione di essa; 4,21-25, la lampada sotto il secchio; 4,26-29, la crescita del seme; 4,30-34, il granello della senape. Ora, la prima di queste parabole è di gran lunga la più importante, per la clausola interrogatoria severa del Signore: «Non comprendete voi questa parabola? E come comprenderete tutte le altre?» (Mc 4,13). Purtroppo, essa è stata confinata alla feria 3 della Settimana III del Tempo per l’Anno, non di Domenica, quando è presente tutto il popolo.
Il capitolo 4, detto “capitolo delle parabole”, è anche un testo chiave per la comprensione del secondo evangelo ed è anche annoverato – in particolare a causa dei vv. 11-12 – tra quelli di più difficile interpretazione. Oggi dunque si proclama la parabola della crescita mirabile del seme e del granello di senape.
In questo testo Marco presenta la predicazione di Gesù in modo molto particolare. Vengono messi in scena due gruppi di uditori: le folle (cf. vv. 1-2.33) e “quelli che erano intorno a lui con i dodici” (v. 10; cf. v. 34). Due gruppi di uditori ai quali sono destinati insegnamenti specifici: per le folle, il discorso “in parabole” (cf. vv. 1-2.11b. 33-34a); per “quelli che erano intorno a lui con i dodici”, un insegnamento letteralmente “esoterico”, cioè riservato (cf. vv. 11-34b).
Insegnamento pubblico Insegnamento riservato
4,1-2a introduzione al discorso
pubblico
4,2b-9 parabola del seminatore
4,10-25 discorso esoterico:
- 10-12 il mistero del Regno
- 13-20 spiegazione della parabola del seminatore vv. 21-25 la lampada e la misura
? 4,26-32 parabole del seme ?
4,33 conclusione
4,34 conclusione
Da questo piccolo schema emergono due dimensioni dell’insegnamento in parabole e con esse due obiettivi della predicazione di Gesù:
- Le parabole appaiono come un mezzo per le folle, di intendere la predicazione del regno di Dio (vv. 9.23.24.33)
- Dall’altro esse provocano l’indurimento degli uditori (vv. 11-12).
Non abbiamo il tempo di approfondire questa contraddizione apparente che viene spesso spiegata sia con il carattere composito del cap. 4 (diverse tradizioni messe insieme) che con aggiunte che la comunità primitiva avrebbe fatto (cfr spiegazione della parabola del seminatore vv. 13-20).
I lettura: Ez 17,22-24
L’albero della dinastia di Davide è stato sfrondato dalla tragica scomparsa degli ultimi rampolli. Questo vuol dire che Dio rinnega il suo popolo? Dio ha soltanto deciso di rinnovare tutto, senza rinnegare l’alleanza: il ramo più fragile del vecchio albero così amorosamente piantato sarà all’origine di un popolo nuovo. Questo ramo sarà Gesù di Nazareth; con lui scompare il sogno simboleggiato dal cedro opulento: una chiesa senza pretese, piccola come un granello di senape, riunirà i piccoli e i poveri (cf. l’evangelo di oggi).
Il profeta dedica l’intero cap. 17 della sua profezia parabolica da narrare per divino comando alla casa d’Israele: le parabole delle due aquile, del cedro e della vite (Ez 17,1-24).
Le due aquile predone sono Babilonia e l’Egitto, che discerparono il cedro magnifico «del Libano», la figura del Monte Sion, per trapiantarlo come vigna da cui trarre i frutti (Ez 17,1-10). Questo fu con la complicità dei re d’Israele, che chiesero alleanze profane rigettando l’alleanza divina, per trovarsi nella rovina (Ez 17,11-21). Ma alla fine interviene il Signore. Prenderà la cima di quel cedro, ne toglierà un ramoscello e lo trapianterà sopra il Monte eccelso d’Israele (v. 22). Quella cima è il Ramoscello di lesse, sul quale riposa per animarlo lo Spirito del Signore (Is 11,1-2; vedi Ger 23,5-8). Il Ramoscello crescerà come un cedro immenso e verranno gli uccelli dell’aria a riposare all’ombra dei suoi rami estesi e frondosi (v. 23), ossia radunerà il suo popolo e le nazioni della terra. Allora le nazioni della terra riconosceranno che esiste il Signore Unico e che opera contro la superbia dei potenti, che schianta l’albero che si innalza troppo contro gli altri, e fa crescere l’alberello esile; che fa disseccare l’albero verde che sembrava non temere il tempo e fa di nuovo germogliare alla vita feconda l’albero che sembrava secco (v. 24ab). La grande promessa della rigenerazione del suo popolo termina con la clausola profetica propria di Ezechiele: «Io, il Signore! Parlai e attuai!» (v. 24c). La visuale è quella storica profetica, con i verbi al passato, perché dal suo eterno presente il Signore vede per intero l’adempimento. Si può tradurre allora: Mentre parlo, ecco, Io già ho posto in attuazione.
Il Salmo responsoriale: 91,2-3.13-14,15-16, AGI
Il Versetto responsorio riprende, modificandolo, il v. 2a come apostrofe diretta: È bello rendere grazie al Signore . L’Orante nel salmo esordisce con un canto di gioia, che è come annunciare una vittoria: per i fedeli è buono celebrare il Signore, che è la forma più alta di comunione, e cantare Salmi melodici al suo Nome glorioso, Egli che è l’Altissimo (v. 2) e proclamare dalla mattina alla notte, ossia di continuo, la sua Misericordia, a cui il Signore si obbliga per il titolo dell’alleanza, e la sua Fedeltà divinamente perenne (v. 3).
Per la potenza irresistibile della Misericordia e della Fedeltà, il Signore sta vicino al giusto, ossia al misericordioso e ne sviluppa le qualità di fedele suo, a somiglianza di una palma che cresce alta e rigogliosa o di un imponente e maestoso cedro del Libano (v. 13). Il Signore cura i suoi giusti uno per uno, li chiama ad abitare nel suo santuario e li nutre al suo convito sacrificale e li rende fecondi, poiché essi emetteranno fiori e frutti di vita anche per i fratelli (v. 14). Essi non conosceranno età e vecchiaia di morte, anzi ancora invecchiando produrranno frutti, la loro vita sarà di continuo rinnovata, come un albero vitale e sempre frondoso e verde (v. 15). La loro vitalità sta nel celebrare il Signore, nel contemplarlo e nel proclamare in modo solenne e festoso: Il Signore è retto, per l’Orante è e resta l’irremovibile Rupe del suo rifugio sicuro, solo in Lui non esiste iniquità (v. 16).
Esaminiamo il brano
26 «Diceva»: Marco qui passa dalla frase introduttiva kai elegen autois («diceva loro») al semplice kai elegen («diceva»), che è l’imperfetto dell’azione abituale o continuativa. Nella struttura del capitolo adottata in questo punto le due parabole seguenti sono presentate allo stesso pubblico di 4,3-9 e all’origine potrebbero aver fatto parte di una raccolta tradizionale di parabole «del seme».
L’inizio è tuttavia una formula da comprendere bene. La spiegazione dice che «avviene nel Regno nel modo medesimo quando un uomo….». Le realtà del Regno si proiettano sulla vita degli uomini e opera con efficacia e le realtà umane vi debbono corrispondere, perché debbono portare gli uomini al Regno. Ora, la figurazione è tratta dalla decisiva opera della vita dei campi che è la semina. Il contadino si attende tutto dalla sua semina. In fondo, anche se in genere non si dice, la vita dei cittadini dipende totalmente da quella della campagna.
Gesù è molto sensibile alla vita dei campi, la osserva e ne parla con simpatia evidente, al modo del fine osservatore, ma anche, come è dato di vedere analizzando i testi, con un enorme senso poetico.
«Così è il regno di Dio»: Sebbene sia affermato praticamente da tutti gli studiosi del N.T. che Gesù proclamava il regno di Dio per mezzo delle parabole, nell’Evangelo di Marco questa e la seguente sono le uniche due parabole dichiaratamente «del regno». Entrambe sono presentate con una formula introduttiva simile (vv. 26 e 30). un uomo che getta il seme nella terra: Il frasario dà l’idea di un metodo di semina ancora più a “casaccio” che non in 4,3.
27 «dorma o vegli»: L’azione del seminatore (si noti la presenza dei due termini distali come “quando mi alzo e quando mi seggo” ecc. che racchiude tutta l’attività) è descritta in uno schema ritmico e distensivo tenuto assieme da quattro kai («e»).
«di notte o di giorno»: L’ordine rispecchia il costume ebraico di considerare la notte come l’inizio del giorno seguente. Lo schema di questo versetto sottolinea l’azione ordinaria, abitudinaria e distaccata del seminatore, che in sé è alquanto irrealistica poiché la normale prassi contadina rispecchiata nella parabola del seminatore (4,3-9) e in quelle della zizzania e del grano in Mt 13,24-30 comporta che i campi coltivati vengano tenuti d’occhio e curati.
Il comportamento del contadino, se è sicuro di avere proceduto ad una semina accurata, è nell’attesa fiduciosa, dorme sonni tranquilli giorno dopo giorno. Questo non è un invito alla pigrizia, si sa che il contadino ogni giorno si affaccia con cura gelosa e curiosa sul suo campo, che guarda con amore e attesa. Già i libri sapienziali esortano a questa frequenza:
«La mattina semina il tuo seme, e la sera non si fermi la tua mano,
poiché tu non sai che ne uscirà di più, questo o quello,
e se poi ambedue insieme, è meglio» (Sir 11,6),
insegnamento che racchiude anche una sottile ironia.
«il seme germoglia e cresce»: Ci sono due verbi della crescita: «germoglia» (blasta) e «cresce» (mekynetai; lett. «si allunga»). La ripetizione dei verbi della crescita serve, come fanno i verbi del dormire e svegliarsi, a creare un senso del passare del tempo senza alcuna fretta.
Il seme germina e «si fa lungo» dice il testo e vuole dire che il contadino dalla sua esperienza conosce bene il fatto: quando avviene il primo spuntare della pianticella, quali siano i tempi della sua crescita e del momento della sua maturazione, che prelude alla mietitura. Anche se pianta il seme di un albero, conosce in analogia questo ciclo biologico, fino alla prima raccolta dei frutti. Tuttavia non sa come e perché avvenga questo. Se si dice che le conoscenze di allora erano primitive e non paragonabili con quelle di oggi, allora si deve osservare che anche lo scienziato della botanica, oggi così sofisticata, risponderà poco di più: sul come avvenga il ciclo biologico. Ma se gli si chiede perché avvenga così e non in altro modo, si irriterà, perché questo non fa parte della “sua” scienza.
28 «La terra produce»: L’uso del verbo karpophorei riecheggia 4,20, dove il seme buono «produce frutto».
«spontaneamente»: Gesù avverte che la terra «porta frutto automátê», un aggettivo al femminile che compone il pronome autós, se stesso, con la radice verbale máomai, muoversi. Ancora una volta, anche la scienza moderna sa calcolare il clima, i tempi del ciclo produttivo, la fertilità del terreno, la sua necessaria umidità, la fecondità del seme. Tuttavia non sa perché la terra, date queste condizioni di ambiente e di lavoro, compia sempre tale miracolo sotto gli occhi attenti del contadino o dello scienziato.
Origene predicatore, spiegando in un’omelia il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, interpella i presenti circa così: «voi mostrate tanta meraviglia per questo grande miracolo, ma il Signore lo compì solo 2 volte, mentre compie ogni giorno l’immane miracolo del sole che sorge e della campagna che produce i suoi frutti mirabili». Gesù da divino scienziato, qui divino biologo, seguita a spiegare il ciclo della produzione granaria: la terra dunque produce prima lo stelo d’esile e tenera erba, poi la spiga di grani ancora lattiginosi, poi la spiga esibisce il chicco pieno e sodo di grano.
Il greco automátê (un aggettivo usato qui come avverbio) è detto dunque di cose che accadono senza una causa spiegabile. Nella descrizione della piaga delle tenebre in Egitto in Sap 17,6 è detto che «nessun fuoco, per quanto intenso, riusciva a far luce, se non le luci spontanee (automátê) degli astri». L’aggettivo è usato anche nella versione LXX di Lv 25,5 e 11 per descrivere la crescita spontanea negli anni sabbatici e giubilari. L’uso del termine in questo senso suggerisce che è Dio che si cela dietro la crescita.
«prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno»: Le quattro fasi della crescita (compresa la maturazione, nel v. 29) sono un altro esempio in questa breve parabola della ripetizione di parole per creare un senso del tranquillo e compassato trascorrere del tempo. La sostituzione ai quattro tipi di terreno della parabola del seminatore è per sottolineare non la bontà dell’ascolto, ma il potere sconosciuto per cui la parola del regno ottiene risultati positivi nella gente che ascolta nel modo appropriato.
29 «subito si mette mano alla falce»: Chi mette mano alla falce è il seminatore. Il verbo apostellei, che normalmente significa «mandare, inviare», qui viene tradotto con «mettere mano» poiché il versetto è praticamente una citazione di Gl 4,13: «date mano alla falce, perché la messe è matura». Visto che il verbo è usato in 3,14 e 6,7 in un contesto missionario e dato che la messe ha la connotazione di un’urgenza escatologica (vedi Gl 4,13), questi sottintesi possono essere presenti anche qui.
30 «A che cosa potremmo paragonare»: Per una analoga doppia introduzione si veda Is 40,18: «A chi potreste paragonare Dio, e quale immagine mettergli a confronto?». Questo linguaggio è tipico anche delle parabole rabbiniche più tardive.
«con quale parabola»: Il termine «parabola» è usato nel senso ebraico generico di «illustrazione» o anche di «indovinello» (ebraico mashal).
31 «un granello di senape»: Il seme della pianta della senape era proverbiale per la sua piccolezza (cfr Mt 17,20 per una fede esigua quanto un seme di senape). La pianta della senape, i cui semi sono usati per il loro aroma, lungo le sponde del mare di Galilea può raggiungere l’altezza di circa tre metri. Plinio scrive nei suoi trattati che è una pianta resistente che cresce rapidamente e tende ad invadere il giardino. Il punto è che il regno è un qualcosa sia di resistente che invadente.
32 «più grande di tutte le piante dell’orto»: Date le dimensioni effettive della pianta della senape, qui cogliamo dell’esagerazione parabolica e un pizzico di ironia.
«gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra»: Nell’AT i grandi alberi qualche volta sono presi a simbolo del potere nazionale. In Dn 4,19-21 il grande albero sotto il quale «vivevano le bestie della terra [e tra i cui rami abitavano gli uccelli del cielo]» è un simbolo della persona e del potere di Nabucodònosor.
In Ez 17,22-23 (I lettura) Dio prenderà un ramoscello da un grande cedro e lo pianterà affinché possa portare frutto e diventare un nobile cedro. Poi, «sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà». La corrispondenza verbale tra Mc 4,32 ed Ez 17,23, dove gli uccelli si riposano all’ombra (hypo ten skian), attesta che per Marco questa è la principale allusione all’AT. Se così è, allora il regno di Dio proclamato da Gesù è, come il nuovo Israele, il luogo dove tutte le creature viventi troveranno rifugio. C’è anche una piacevole ironia nel presentare il regno non come un maestoso cedro ma come un cespuglio di senape.
Il contrasto è orribile, e chiaro. Il Signore non si serve più dei re della terra per radunare le nazioni nel suo Regno. Si serve della pochezza di un Seme mirabile, la sua Parola, che appare all’inizio minuscola come il seme della senape, ma poi crescerà tanto, che nella Comunità che avrà prodotto potrà accogliere le creature che attendevano l’ombra del rifugio, le nazioni della terra. Negli Atti degli Apostoli Luca narra come avvenga questo, da Gerusalemme ai confini della terra. Paolo ne riferisce l’esperienza storica difficile.
33 «annunziava la Parola»: L’uso dell’imperfetto denota un’azione abituale e la “Parola” è usata in senso assoluto come una sintesi virtuale dell’insegnamento di Gesù come in 4,14 (si veda anche 1,45; 2,1-2).
«come potevano intendere»: Questa affermazione molto probabilmente si riferisce alla folla, che è il pubblico di 4,1-9.26-32. Alcuni autori ritengono che questa era originariamente la conclusione della raccolta di parabole premarciana.
34 «Senza parabole non parlava»: Questa è praticamente la ripetizione di 4,33a, che illustra l’abituale tecnica marciana delle espressioni duplicate.
«ai suoi discepoli spiegava ogni cosa»: Questo versetto sovente è considerato una ripetizione di 4,11, ma qui il concetto è diverso. Nei versetti precedenti non si parla di spiegazione, ma semplicemente «a voi è dato il mistero». Inoltre, i destinatari della donazione sono i Dodici e «quelli che gli stavano intorno», mentre qui sono «i discepoli» che ricevono le spiegazioni.
Questo versetto preannuncia altri casi in cui Gesù interpreta insegnamenti (ed eventi) enigmatici per i suoi discepoli. Queste spiegazioni normalmente riguardano argomenti importanti per la comunità marciana: condotta morale onesta (7,17-21), divorzio (10,10-12) e il pericolo della ricchezza (10,23-30).
L’espressione “come potevano intendere” non significa affatto che le parabole sono per i semplici, sono piccoli racconti per bambini. Esse sono dense e complesse, poiché sono il “seme”, per così dire, della Dottrina divina stessa del Regno, esposta e offerta attraverso immagini immediate. Ma queste a loro volta rimandano al Disegno divino storico, contenuto nell’insegnamento profetico e sapienziale dell’A. T., e mostrano come questo si attui ormai con Cristo. Infatti, Cristo con lo Spirito Santo è il Regno venuto ormai agli uomini (Mt 12,18; Lc 11,20). Tanto che appena battezzato, Cristo comincia la predicazione con l’appello: «I tempi sono stati compiuti [dal Padre] e il Regno sta qui» (Mc 1,14) chiedendo «di convertirsi e di credere all’Evangelo» (Mc 1,15). Ma allora perché le parabole figurate, non basta l’insegnamento esplicito e piano dell’A. T. sotto forma nuova? No, e anzitutto perché le parabole sono più ricche di tutti i trattati di teologia, tanto che questi debbono spiegare quelle, e non viceversa. Poi perché all’inizio, con la prima delle parabole, quella del Seminatore, il Signore chiama ad esercitare le migliori qualità dell’uomo, l’intelligenza: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!» (Mc 4,9). E non risparmia i discepoli che gli chiedono ulteriori spiegazioni di quella prima parabola: «Voi non conoscete questa parabola? E come conoscerete tutte le parabole?» (Mc 4,13). Esse le debbono portare al mondo.
II Colletta:
O Padre, che a piene mani
semini nel nostro cuore
il germe della verità e della grazia,
fa’ che lo accogliamo con umile fiducia
e lo coltiviamo con pazienza evangelica,
ben sapendo che c’è più amore e più giustizia
ogni volta che la tua parola fruttifica nella nostra vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo..
Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano