Commento al Vangelo di domenica 12 Maggio 2019 – p. Alessandro Cortesi op

“Era necessario che fosse annunziata anche a voi (ebrei) la parola di Dio, …, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani”.

Paolo e Barnaba durante il loro viaggio missionario si rivolgono per la prima volta ai pagani. E’ punto di svolta nella storia del cristianesimo primitivo. Matura una comprensione più profonda di scelte e gesti di Gesù. ‘Ti ho posto come luce delle nazioni, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra’ (Is 49,6). Il servo di Jahwè è presenza di luce, inviato a portare la salvezza sino ai confini della terra, oltre i limiti dell’appartenenza ad un popolo o ad una religione. Ad Antiochia si attua un passaggio che trova il suo fondamento nelle promesse di Dio

Sorge una comprensione del disegno di Dio come dono di salvezza per tutti i popoli. La scelta di Paolo e Barnaba si connota in continuità con la fede ebraica: è ispirata dal coraggio che la Parola di Dio suscita e sorge dalla fedeltà alla stessa Parola.

Le parole di Paolo e Barnaba contengono una critica indirizzata a coloro che non accolgono il loro messaggio, ma anche a tutte le forme di religiosità che si rinchiudono e non si lasciano interrogare da un disegno Dio che va oltre i progetti religiosi umani.

Questa disponibilità ad accogliere il vangelo in modo nuovo, passaggio importante nella prima comunità cristiana, trova le sue radici nelle benedizioni di Dio che sono per Israele ma anche per tutte le nazioni.

La stessa chiamata fondamentale per Israele è di essere il tramite di un dono di salvezza e di vita per tutti i popoli e le genti. L’elezione è uno dei cardini della storia del popolo d’Israele, ma essa è ordinata ad un disegno divino più ampio. In Isaia la benedizione è rivolta al popolo degli egiziani e degli assiri: “Benedetto sia l’Egiziano, mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità” (Is 19,25). Il salmo 87 invita a vedere tutti i popoli della terra come iscritti nei registri dei nati a Gerusalemme, quindi cittadini a pieno titolo della città santa: “L’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda. Il Signore scriverà nel libro dei popoli,: Là costui è nato” (Sal 87,4-6).

Paolo e Barnaba ad Antiochia si lasciano convertire dalla forza della Parola: fanno esperienza di come la parola di Dio sia fonte di gioia e di forza. Il loro discorso è compiuto con il coraggio della fede, con l’attitudine della libertà del credente anche nelle difficoltà: i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio… i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito santo. L’apertura dell’annuncio ai pagani è opera dello Spirito.

La pagina dell’Apocalisse presenta una visione con al centro l’immagine di una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare. Il dono di salvezza non è per pochi ma si apre ad abbracciare ogni nazione, razza popolo e lingua. “Tutti stavano in piedi davanti al trono e all’agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani”. E’ la moltitudine di coloro che hanno tra le mani il segno della vittoria: hanno vissuto la prova e provengono da ogni direzione.

Viene qui riletto il salmo 23, canto rivolto a Dio come pastore d’Israele. “L’agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti della vita”. La visione termina con una parola di speranza e di consolazione: “Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi”.

La presenza di Cristo risorto, è simboleggiata dall’agnello: Gesù ha inteso la sua vita come servizio e dono per tutti, nel segno dell’inermità e della nonviolenza, apre ad una comunione nuova possibile che non pone chiusure e limiti, si estende a comprendere tutta l’umanità. Per la prima comunità cristiana il vangelo è forza che apre speranza di vita per tutti.

“le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano”. Usando la similitudine del pastore Gesù parla del rapporto con pecore di diversi ovili: ‘E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore’ (Gv 10,16-17).

Il pastore ha un’unica preoccupazione, poter custodire e comunicare la vita. Nel linguaggio giovanneo ‘vita eterna’ non è realtà vaga e lontana, è piuttosto risposta alla sete più profonda che ogni persona porta nel cuore. Vita eterna significa l’essere accolti e amati, nell’incontro con Dio – fonte della vita. Il Padre si fa a noi incontro nella presenza di Gesù ed apre possibilità di rapporti nuovi con gli altri.

Anche per noi oggi approfondire il nostro incontro con Cristo, agnello e pastore, è motivo per cercare come vivere l’esperienza di chiesa, non nella chiusura e nell’esclusione, ma in aperture nuove Le chiamate del Signore ci raggiungono nell’incontro con chi, apparentemente lontano, ci spinge a convertirci al vangelo come bella notizia di salvezza per tutti.

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