Commento al Vangelo di domenica 12 Maggio 2019 – mons. Giuseppe Mani

Oggi la liturgia vuol attirare la nostra attenzione sul personaggio del Pastore. Bella ostinazione voler perpetuare questa immagine biblica in pieno tempo industriale! Ma stiamo al gioco anche se sappiamo poco delle competenze del pastore di un grande gregge.

Non siamo entusiasti di essere assimilati ad un gregge belante di bestie tra le meno intelligenti della creazione. Perché la Bibbia ha così presentato volentieri i suoi re sotto l’immagine del pastore? Per rispondere a questo basta pensare alle transumanze di questi grandi greggi che percorrono distanze considerevoli verso pascoli migliori e punti di acqua. Non c’è dubbio che Israele si presenta come un popolo in cammino e sempre in movimento. Una storia che fa nascere nuove situazioni e incontrare cose diverse. E’ esattamente il contrario di un mondo chiuso. Per questa strada una guida: Dio, che è il Pastore per eccellenza ma che si fa rappresentare da un personaggio regale, di cui il Messia è l’ultima espressione.

Nella storia ci sono i grandi pastori nomadi, capi di tribù (Abramo, Isacco, Giacobbe) ma c’è soprattutto l’Esodo, guidato da Dio e dal suo inviato Mosè. Re non come gli altri. La sovrapposizione dei personaggi del re e del pastore è significativa. In effetti il Pastore è un personaggio pacifico. Il suo compito è la felicità del gregge. La sua attenzione non è soltanto collettiva ma si occupa di ciascun individuo. Da questo la parabola della pecorella smarrita: “Egli chiama ciascuna pecora per nome”.

Le conduce verso il luogo del riposo e dell’abbondanza. Altro tratto è quello del re-pastore: è colui che riunisce. Le tribù d’Israele son sempre state centrifughe: creare tra di loro una unanimità non era una cosa facile. Da dove il tema della riunione opposto a quello della dispersione. Il capitolo decimo di San Giovanni esprime tutte le figure che descrivono a sua volta il pastore, il Re, il Cristo e , finalmente, Dio stesso come si vede bene dall’ultima frase del nostro Vangelo. Immagine pacifica. Essa corregge ciò che Davide, primo “pastore” d’Israele, aveva di troppo bellicoso.

Israele ha dovuto passare sotto la guida di Yahveh-Pastore, passare dagli istinti di violenza, comune a tutti gli uomini alla certezza che il Pastore regale doveva essere anche Agnello, ciò che si è realizzato in Cristo. L’Agnello – Pastore. Alla fine della seconda lettura troviamo un esempio di questo scambio che avviene frequentemente nella Bibbia. Qui è l’Agnello che diventa il Pastore, che conduce alle sorgenti di acqua viva. Ma per arrivare là bisogna che Dio-Pastore si metta nelle condizioni di Agnello immolato. Questo passaggio si effettua in due sensi.

Così salta l’immagine di un pastore che guida un gregge di pecore ignoranti. Essendo allo stesso tempo “Pastore” e “Agnello” le posizioni risultano intercambiabili. “Non temere piccolo gregge, è piaciuto al Padre di darvi il Regno”(Lc 12,32) Anche “Tu non sei più schiavo ma figlio”(Gal 4,7). Eredi della Regalità di Cristo, come Pietro, entriamo nella condizione di pastori. Ciò cosa vuol dire? Vuol dire che nella vita più diamo importanza a Cristo, più lo seguiamo più diventiamo liberi e padroni della nostra esistenza..

Nello stesso tempo diventiamo adatti alla “Comunione”, atti a diventare “Una cosa sola con gli altri”. Una unità che non distrugge la nostra particolarità, il nostro modo di essere personale ma lo valorizza: è quando siamo riuniti che Cristo ci conosce ciascuno per nome. La folla immensa di cui parla la seconda lettura non è anonima ma fatta di persone conosciute una per una.

Fonte – il sito di mons. Giuseppe Mani

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