La prima lettura di questa domenica ci mostra il profeta Elia smarrito e disorientato, al punto di inoltrarsi nel deserto per cercarvi la morte. In questo momento egli ha perso il senso di Dio, che sembra essere entrato nel silenzio e aver abbandonato il suo profeta. Di fronte all’idolatria dilagante in Israele, Dio sembra tacere e disinteressarsi di quanto accade. Tutta l’identità di Elia è nella sua relazione con Dio, «alla cui presenza io sto» (cfr. 1Re 17,1).
Se Dio tace, Elia smarrisce se stesso e il significato della propria esistenza. «A te grido, Signore, mia roccia, con me non tacere: se tu non mi parli, sono come chi scende nella fossa» (Sal 28,1). Più che cercare la morte, Elia cerca Dio e la sua parola. Il suo inoltrarsi nel deserto è come un grido innalzato verso Dio perché torni a parlare e a manifestarsi. E Dio ascolta il grido del suo profeta, parla, si rivela. A un Elia disorientato dona di nuovo un orientamento, apre una strada davanti ai suoi passi, offrendo anche un pane che sostenga il suo cammino. L’itinerario che Elia dovrà percorrere è lo stesso vissuto dai suoi padri, di cui sa di non essere migliore: quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb, altro nome con cui si identifica il Sinai, il monte dove Dio aveva parlato a Mosè e aveva stipulato l’alleanza con il suo popolo. E come la manna aveva nutrito Israele durante il cammino nel deserto, così ora c’è un pane che nutre il cammino di Elia.
Il primo libro dei Re, nei versetti successivi, racconterà come l’esperienza di Dio che Elia vivrà sull’Oreb sarà molto diversa da quella vissuta da Mosè sullo stesso monte. A Elia Dio parlerà non in un vento impetuoso, non nel terremoto, non nel fuoco (elementi presenti nella grande teofania alla quale assiste Mosè in Esodo 19), ma nella voce di un silenzio sottile. Per ascoltare questa voce, e riconoscere in questo silenzio la presenza di Dio, Elia stesso dovrà entrare nel silenzio, mettendo a tacere le attese e i preconcetti con cui immaginava che Dio gli si rivelasse. Se fosse rimasto bloccato nei suoi pregiudizi, non avrebbe saputo ascoltare e riconoscere questo diverso modo di manifestarsi da parte di Dio. Potrà così comprendere che talora, quando Dio entra nel silenzio, è perché cambia il suo modo di parlare e vuole purificare la nostra attesa.
Il Vangelo di Giovanni, di cui ascoltiamo un’altra sezione del capitolo sesto, mostra come i Giudei rimangano prigionieri della loro incredulità proprio perché incapaci di riconoscere la rivelazione di Dio nella carne di Gesù. Dio entra persino in questo silenzio per manifestare la sua gloria: il silenzio di una carne in tutto simile alla nostra, ma che già prelude a un abbassamento ben più profondo, quello che giunge fino al silenzio della Croce. Il Prologo del Vangelo lo aveva già annunciato: «il Verbo, la Parola, si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria» (1,14). Tutta la gloria di Dio si rivela nel farsi carne della Parola e nel suo dimorare in mezzo a noi. Questo occorre ascoltare, vedere, contemplare per fare esperienza di Dio. Ma è proprio questo che suscita la mormorazione e l’incredulità dei Giudei: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire “Sono disceso dal cielo?”» (6,42). È lo scandalo dell’incarnazione a impedire la fede. Due schemi o due logiche di pensiero si contrappongono. Per i Giudei la carne di Gesù, il suo essere uno di noi, smentisce la sua pretesa di venire dal cielo e di essere il rivelatore di Dio. Al contrario, per Gesù è proprio la sua carne, il suo venire dal cielo per dimorare tra di noi come uno di noi, a dire tutta la verità di Dio. Dio è infatti così: è colui che tanto ama il mondo da donare il proprio Figlio unigenito, «perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna», come annuncia Gesù a Nicodemo (3,16).
«Solo colui che viene da Dio ha visto il Padre» (6,26), afferma Gesù per vincere l’incredulità dei suoi interlocutori. Occorre intendere in senso forte questa espressione. Non sta a indicare solamente che Gesù conosce il Padre perché viene da lui, appartiene alla sua sfera, è da sempre rivolto verso il seno del Padre (come ricorda ancora il Prologo nel versetto conclusivo, il 18). Più radicalmente, Gesù conosce il Padre perché si lascia da lui donare al mondo fino allo scandalo dell’incarnazione e della Croce. Conoscere il Padre significa infatti ri-conoscere la gratuità del suo dono, o meglio il suo essere il Donatore. In secondo luogo, si può riconoscere il Padre come Donatore solo lasciandosi consegnare al mondo, come Gesù, che fa di tutta la sua vita un’offerta: «il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (v. 51).
Per giungere alla fede occorre perciò spezzare le catene dei propri preconcetti su Dio, lasciandosi attirare dal Padre e istruire da lui. «Nessuno può venire a me e non lo attira il Padre che mi ha mandato… Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me» (v. 45). La fede implica lasciarsi strappare alle proprie certezze, che ci scandalizzano e ci conducono a mormorare, per divenire docili all’attrazione con cui il Padre ci fa venire a Gesù. Lasciarci consegnare a Gesù ci fa entrare in quella dinamica del dono che qualifica tutta la sua vita. Le sue mani ci accolgono, ci custodiscono, così che nessuno vada perduto, ma venga da lui risuscitato nell’ultimo giorno. Gesù lo aveva poco sopra affermato dialogando con i suoi interlocutori, in alcuni versetti che la lectio liturgica omette e che può essere utile qui richiamare: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno (6,37-39).
A Elia Dio aveva offerto un pane che gli consentisse di camminare fino all’Oreb. A ciascuno di noi Dio dona il proprio Figlio unigenito come un pane che ci fa camminare verso il Padre. Ci rende figli come lui è Figlio, ci rende dono come lui è Dono. Solo così possiamo conoscere il vero volto del Padre, che non trattiene il Figlio per sé, ma lo offre affinché nessuno vada perduto. La logica implicita nel segno operato da Gesù si chiarifica: dopo aver sfamato la folla, Gesù ordina:
«raccogliete (meglio: radunate!) i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto» (v. 12). Gesù offre la propria carne per la vita del mondo, affinché nessuno vada perduto. È pane di vita che ci comunica la vita eterna, una vita che non si perde, non deperisce, non viene meno, proprio perché vive il passaggio dalla logica del possesso a quella del dono. Nei Sinottici Gesù esprime questa dinamica con le parole: «chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,15). In Giovanni afferma: «Ho il potere di dare la vita e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,18). Gesù, pane di vita, ci comunica la vita eterna, una vita che rimane perché riceve da lui la medesima possibilità che egli riceve dal Padre, nell’obbedienza alla sua parola e al suo comandamento: la possibilità di riprendere la vita perché la si offre per la vita del mondo.
Fonte: Monastero Dumenza
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XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
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- Colore liturgico: Verde
- 1 Re 19, 4-8; Sal. 33; Ef 4, 30 – 5, 2; Gv 6, 41-51
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6, 41-51
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 12 – 18 Agosto 2018
- Tempo Ordinario XIX
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 3
Fonte: LaSacraBibbia.net
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