Dopo l’entrata messianica di Gesù a Gerusalemme e i suoi insegnamenti al Tempio, sommi sacerdoti e scribi, profondamente irritati dalle sue parole e dalle sue azioni, ne mettono palesemente in dubbio l’autorità, riconosciuta dalle folle (“tutto il popolo pendeva dalle sue parole” Lc 19,48), e tramano di farlo perire (Lc, 19,47). In tale contesto estremamente ostile, essi mettono in atto una serie di provocazioni con lo scopo di coglierlo in fallo. Il nostro brano si inscrive in questo contesto provocatorio, qui per mano dei Sadducei, appartenenti all’aristocrazia sacerdotale che, distaccandosi anche dagli stessi Farisei, non credevano nella resurrezione dei morti e si rifacevano inoltre esclusivamente al Pentateuco di cui proponevano una lettura fondamentalista.
Essi avvicinano Gesù proponendogli un quesito tanto provocatorio quanto assurdo e grottesco. Rifacendosi alla legge del levirato (Dt 25,5-7) secondo la quale, per garantire una discendenza, il fratello del defunto ne sposava la vedova, essi spingono fino all’assurdo la situazione prospettando il caso di una vedova che sposa ben sei fratelli del primo marito, ai quali la stessa sopravvive ma senza riceverne alcuna discendenza. Qui la domanda: «Questa donna, dunque, nella resurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’anno avuta in moglie» (v. 33).
Nella sua risposta, Gesù entra nel solco del riferimento scritturistico proposto dagli stessi sadducei, ma per dimostrare loro quanto essi non fossero capaci di leggere il senso vero di quella legge mosaica, e ribalta completamente la situazione, portandoli a un livello di interpretazione rispetto al quale essi si mostrano del tutto inadeguati, vista la cecità con cui i loro stessi occhi guardano alle Scritture, incapaci di entrare nel cuore della promessa di salvezza divina e, soprattutto, in quella relazione di amore che Dio da sempre ha voluto con l’uomo.
Oltre la morte, infatti, tutti i parametri umani non valgono più, ma vengono ribaltati e trasfigurati. Né la mente umana può concepire ed elaborare un ragionamento che funga da prova, perché mancano le categorie mentali e, conseguentemente, anche linguistiche per potere rendere conto di ciò che ci aspetta. Il linguaggio si fa così allusivo, Gesù parla di angeli (v. 36), mette in contrapposizione «i figli di questo mondo» (v. 34) con i figli «giudicati degni dell’altro mondo» (v. 35). Nel fare ciò, si richiama proprio al Pentateuco, riconosciuto come sacro dai sadducei, e all’episodio del roveto ardente (Es. 3,1-6), prospettando tuttavia una diversa interpretazione, liberata dai vincoli di una lettura letterale e asfittica.
Ciò che Gesù prospetta è, infatti, il salto della fede: la resurrezione dei morti è già stata fatta intravedere a Mosè, allorquando Dio si proclama «Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe», poiché, chiosa Gesù:
«Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Il Dio di Abramo non può tradire la sua promessa, che è promessa di condivisione, nella Vita, con l’uomo. Il punto di totale discrasia rispetto alla visione dei sadducei consiste proprio nel sottolineare quel legame forte che Dio stabilisce con i suoi figli e, cioè, il senso della relazione profonda da sempre voluta da Dio nei confronti dell’uomo: se da un lato, infatti, coloro che avranno accesso al regno di Dio vengono definiti «uguali agli angeli e, essendo figli della resurrezione, sono figli di Dio», dall’altro, Dio stesso si definisce in Esodo «Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe». Gesù, dunque, rifiutando la visione sadducea di fede asfittica e fredda, non permeata dall’amore di Dio, rimanda a quella relazione col Padre, già presente nell’alleanza stipulata con Abramo e di cui Egli è ora incarnazione.
Ma ribalta, altresì, la prospettiva farisaica della resurrezione: se i farisei, infatti, immaginavano la resurrezione come una vita in cui veniva proseguita la vita terrena con i suoi riti e le sue usanze (sposarsi, fare figli…), Gesù prospetta ciò che l’intelletto umano non può immaginare: una vita al cospetto di Dio, in cui tutti i parametri e tutti i riferimenti umani vengono sovvertiti e di cui il linguaggio umano non può dire.
Risponde, pertanto, con una lettura sapienziale, interpretando il disegno di Dio come progetto di amicizia con l’uomo, che supera la morte, per giungere al mistero della Vita eterna.
Se inconcepibile e inaccettabile è, infatti, la morte – il limite che da sempre e per sempre costituisce l’essenza della creatura umana e di tutte le creature della terra – ancor più scandalosa appare la resurrezione.
Il fedele è dunque messo davanti a ciò che costituisce il punto focale della sua stessa fede e senza il quale la stessa fede si dissolve: la resurrezione. A questa egli è chiamato a credere, non in virtù di un convincimento, quanto in virtù di un’accettazione del mistero che, grazie alla bontà misericordiosa di Dio, diventa il suo progetto di alleanza eterna con l’uomo.
Lo scetticismo dissacrante del sadduceo, pertanto, ci interpella profondamente e vaglia la nostra fede che, per essere tale, deve essere capace di fare un salto in una dimensione di vita che le nostre coordinate umane non possono concepire, che rimane mistero ma a cui, in Gesù, è possibile abbandonarsi.
Dice l’apostolo Paolo: «Se non vi è resurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto […] e se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede» (1Cor 15, 13-17). Una fede che ci riporta a quella alleanza che Dio da sempre ha sancito con l’uomo e di cui Gesù, con la sua vita, morte e resurrezione, è primizia.
É proprio guardando a Cristo che il fedele trae la sua speranza e la sua forza; in lui è il segno dell’alleanza di Dio con l’uomo, promessa di salvezza.
Alessandra Colonna Romano
Commento a cura di Vanna
Fonte: Comunità Kairos (Palermo)
Letture della
XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Prima Lettura
Il re dell’universo ci risusciterà a vita nuova ed eterna.
Dal secondo libro dei Maccabèi
2 Mac 7,1-2.9-14
In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.
Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 16 (17)
R. Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno. R.
Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole, R.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine. R.
Seconda Lettura
Il Signore vi confermi in ogni opera e parola di bene.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
2 Ts 2,16 – 3,5
Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.
Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.
Parola di Dio
Vangelo
Dio non è dei morti, ma dei viventi.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 20, 27-38
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Parola del Signore
Oppure forma breve Lc 20,27.34-38
Dio non è dei morti, ma dei viventi.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, disse Gesù ad alcuni sadducèi, i quali dicono che non c’è risurrezione:
«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Parola del Signore