I Domenica di Quaresima – Anno C
L’urgenza della decisione
La vita ci mette continuamente davanti a molteplici possibilità e quello che siamo oggi è il frutto delle scelte che abbiamo operato. Quando ci ritroviamo davanti a diverse opportunità siamo presi inevitabilmente da un sentimento di angoscia. Ci rendiamo conto che il nostro futuro, l’immagine di noi stessi, dipende anche dalla scelta che faremo. Davanti a una decisione siamo fondamentalmente da soli, perché nessuno può scegliere al nostro posto. E per lo più non si tratta di decidere tra bene e male, ma tra diversi beni, alcuni dei quali lo sono in realtà solo in modo apparente e lusinghiero.
L’icona del deserto, descritta da passo odierno del Vangelo di Luca, così come quella del deserto che Israele ha dovuto attraversare per giungere alla terra promessa, sono l’immagine della solitudine radicale nella quale ci troviamo quando siamo chiamati a decidere. Se lo Spirito ci guida nel deserto della decisione, è altrettanto vero che il nemico cercherà di allontanarci dalla nostra felicità.
Il peso delle attese
Il testo di Luca sulle tentazioni di Gesù si colloca immediatamente dopo l’episodio del battesimo e prima dell’inizio del ministero pubblico a Nazareth. Tale collocazione del brano offre una prima chiave per capirne il senso. Gesù ha accolto la missione che il Padre gli ha affidato esprimendo il proprio compiacimento su di lui, nel momento del “battesimo” al Giordano. Ora, però, prima di intraprendere la propria missione, Gesù è guidato dallo Spirito per decidere che tipo di Messia vuole essere. Questo testo di Luca ha il ruolo di quello che potrebbe essere un discorso programmatico del Signore come Messia. Al tempo di Gesù, infatti, c’erano molte attese su questa figura, attese complesse, diversificate, ambigue. Davanti alle aspettative che il mondo ha su di noi, anche noi abbiamo bisogno di allontanarci, di prendere le distanze, per confrontarci con i nostri desideri e con i valori che vogliamo realizzare.
Il deserto della decisione
Tutto il racconto delle tentazioni colloca sullo sfondo un’altra storia, quella del popolo d’Israele (Dt 26,4-10). Si tratta di un popolo che ha attraversato il deserto e proprio lì, per quarant’anni, come i quaranta giorni di Gesù nel deserto, si è confrontato con le paure, con l’indecisione, con gli ostacoli della vita. Per Israele il tempo del deserto è stato però anche il tempo della maggiore intimità con Dio, il tempo cioè in cui ha sperimentato di essere amato, il tempo in cui si è reso conto che Dio si prende cura del suo popolo. Nella vita di ognuno di noi, il tempo della decisione, per quanto complesso e faticoso, è anche il tempo in cui possiamo sperimentare la cura premurosa che Dio ha per la nostra vita.
Una dimensione quotidiana
La tentazione fa parte delle dinamiche della vita e si presenta inevitabilmente quando nasce in noi il desiderio di servire: «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2,1). Come mostra la prima tentazione, si tratta di una dimensione quotidiana dell’esistenza. La tentazione si insinua nella fame inevitabile che accompagna la nostra vita.
La fame è una dimensione ordinaria e frequente, come a dire che la tentazione si presenta nella nostra quotidianità. Del resto anche Adamo venne tentato attraverso l’azione del mangiare. È evidente, dunque, che si tratta della possibilità di usare in modo sbagliato le relazioni con il mondo. Mangiare significa infatti metterci in relazione con ciò che sta fuori di noi, creare un legame intimo, nutrirci di quello che ci sta davanti. Possiamo infatti usare le cose in maniera violenta, vorace, così come possiamo usare gli altri per soddisfare la nostra brama di possesso. Il modo in cui mangiamo dice molto del nostro modo di metterci in relazione con il mondo: ci sono quelli che si saziano pensando solo a se stessi, ci sono quelli che non si controllano quando mangiano, ci sono purtroppo anche coloro che si rifiutano di prendere cibo.
Nel nutrirci esprimiamo diversi modi, a volte distorti, di metterci in relazione con il mondo. Il nemico vuole indurre Gesù a sfamarsi utilizzando il privilegio. Gesù ha fame ed è capace di trasformare le pietre in pane. Non ci sarebbe niente di male, eppure Gesù si rifiuta di usare questo potere per se stesso, senza essere visto, solo per soddisfare una propria esigenza. Gesù si rifiuta di entrare in relazione con il mondo secondo la logica del privilegio. E sta dicendo di fatto che tipo di Messia vuole essere.
Il modo in cui affrontiamo le tentazioni costruisce la nostra identità. Il verbo peirazo, usato qui per esprimere l’azione del tentatore, significa infatti propriamente ‘far venir fuori’, ‘mettere alla prova’. Il modo in cui affrontiamo quotidianamente le tentazioni ci fa venir fuori per quello che siamo.
A fin di bene…
La tentazione si presenta spesso attraverso l’ambiguità, ci spinge a usare mezzi illeciti pur di arrivare a uno scopo in sé buono. Qui si tratta dell’alleanza con il male per fare qualcosa che alla fine sarà magari anche buono per sé o per gli altri. Quante scelte, non solo personali, ma anche sociali, sono passate e passano attraverso questa dinamica. Abbracciamo i mezzi e le modalità del male, nascondendoci dietro il pretesto che alla fine sarà un bene per tutti.
Il bisogno di conferme
C’è poi un volto della tentazione ancora più oscuro. È quello che sopraggiunge nei momenti in cui ci sentiamo precipitare nel vuoto, i momenti di difficoltà, di disperazione, dove ci prende la tentazione di pensare che Dio non ci soccorrerà, Dio non verrà in nostro aiuto. Ci comportiamo come figli capricciosi, figli che pretendono una conferma continua dai propri genitori. Ma che amore è quello che ha bisogno di una continua conferma? Il nemico vuole spingere Gesù a sperimentare il suo potere di figlio capriccioso, di un figlio che può godere del privilegio di costringere il padre a venire in suo soccorso ogni volta che ne ha bisogno. È la tentazione che sperimentiamo nel dubbio di non essere amati.
Gli altri nella mia decisione
Gesù non affronta la tentazione da solo, in maniera autoreferenziale, come se fosse una questione solo sua. Le sue decisioni coinvolgono anche altri e si collocano all’interno della storia di un popolo, così come le nostre decisioni non sono mai solo un affare nostro. L’evangelista rende questa relazione tra Gesù e il popolo attraverso le risposte che Gesù contrappone alla tentazione, si tratta infatti di citazioni dal libro del Deuteronomio che percorrono momenti fondamentali della storia di Israele: il popolo che mormora contro Dio perché stanco di mangiare sempre la manna (Dt 8,3); la consegna della legge che permette di restare nella relazione con Dio (Dt 6,3 ss.); la provocazione nei confronti di Dio a Massa e Meriba (Dt 6,16).
Quando siamo più deboli
Proprio perché la tentazione accompagna la quotidianità della nostra vita, essa ritorna nei momenti di maggiore debolezza. Il nemico lascia Gesù con il proposito di tornare al momento opportuno. Quel momento arriverà quando Gesù si troverà solo e tradito nell’orto degli Ulivi e quando si sentirà abbandonato mentre pende dalla croce. È il momento della solitudine totale. E ancora una volta, Gesù sarà chiamato a decidere. La tentazione si presenta con il volto dell’auto-salvezza. Le voci suggeriscono a Gesù di salvare se stesso, di mettersi prima degli altri, di pensare prima a se stesso.
Non possiamo non riconoscere come, anche nel nostro tempo, questa tentazione continui a tornare, sempre sotto l’apparenza di un bene giustificato e persino sacro. Come Gesù, anche noi siamo chiamati a svelare il volto della tentazione e a scegliere secondo la logica della croce e non secondo la logica dell’interesse personale.
Leggersi dentro
- Come opera ordinariamente la tentazione nella tua vita?
- Cosa dicono di te le tue decisioni o il modo in cui prendi decisioni?
P. Gaetano Piccolo SJ
Compagnia di Gesù (Societas Iesu) – Fonte