X Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
Il vangelo di oggi segue in Marco l’istituzione dei Dodici e il primo effetto davanti alle folle che cominciano a radunarsi intorno a Gesù riguarda quelli che sono chiamati i suoi parenti, i quali lo ritengono “fuori di sé”. Quello che Cristo ha cominciato a dire colpisce fortemente gli ascoltatori e produce la reazione degli spiriti immondi.
La liberazione dal male che lui ha iniziato non può non provocare il male a reagire fino al punto di accusarlo di essere posseduto da Beelzebul (cf Mc 3,22). Ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata, dice Gesù (cf Mc 3,29). A Pentecoste si è compiuta la promessa del Padre e il dono dello Spirito è la condizione essenziale per poter seguire Gesù. Rimane confuso chi non è coinvolto in questa discesa e comincia a ragionare secondo termini puramente umani.
Intestardirsi nell’orizzonte solo umano e addirittura appellarsi alle forze oscure, tenebrose, opposte a Dio invece di accogliere il dono dello Spirito che manifesta e realizza nell’umanità del Figlio un’esistenza nuova vuol dire bestemmiare lo Spirito Santo. Il non perdono spiega questa chiusura in sé stessi e la schiavitù di questa nostra limitata, mortale natura. Questo ricorda direttamente il colloquio con Nicodemo: “Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito” (Gv 3,6).
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La logica della carne ragiona secondo cause e conseguenze e non riesce a superare sé stessa, ma lo Spirito è libero e vede il superamento di ogni logica carnale. Cristo stesso si scontra con questo giudizio solo umano ossia solo secondo la carne: “Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno” (Gv 8,15). A partire dallo Spirito Santo non è possibile creare un giudizio sulla persona fatto secondo la carne perché lo Spirito ci libera dai legami della carne e ci fa superare la sottomissione alla natura. “Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così.
Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova.” (2Cor 5,16-17). Non si tratta di una contrapposizione dualista tra il corpo e lo spirito, non si tratta di una reminiscenza gnostica ma si tratta di esplicitare il modo con cui la persona umana vive la propria umanità, la propria natura umana. Lo Spirito Santo ci fa partecipare quel modo divino, comunionale, d’amore che fa vivere la propria umanità come espressione e realizzazione della propria esistenza nell’amore, nel dono di sé agli altri.
Questa è anche la via della vita perché in questo modo la natura umana avvolta nell’amore è innestata nella vita che rimane (cf 1Cor 13,8), mentre far sì che l’io umano diventi l’espressione delle esigenze della propria natura significa distruggersi perché la natura umana non ha in sé stessa nulla che possa superare la morte. Questo lo può ricevere solo dal Signore che dà la vita e versa nei nostri cuori l’amore di Dio Padre (cf Rm 5,5). “Perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo vivrete” (Rm 8,13).
Infatti nel brano di oggi Cristo fa vedere non solo un principio nuovo dell’unità ma nella sua umanità ne rende visibile la piena realizzazione: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” (Mc 3,33). Sappiamo molto bene quanto nella tradizione dell’Antico Testamento fosse fondamentale il legame di sangue, invece Cristo palesemente ne dichiara l’insufficienza perché è un legame che non fa superare all’uomo il suo destino tragico, cioè la morte.
Già il primo modulo dell’esodo che troviamo nella Bibbia come processo di liberazione è la chiamata ad Abramo a svincolarsi dai legami secondo la natura e cominciare a vivere la propria natura umana secondo la vocazione, secondo la voce che lo chiama, cioè tenendo conto di Dio. Si tratta di cominciare a vivere la propria umanità secondo la relazione: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò” (Gn 12,1). La vita secondo lo Spirito sarà dunque la realizzazione dell’uomo come mistero della persona secondo l’esistenza delle Persone divine, cioè secondo la comunione.
La Chiesa è il luogo e l’espressione di questa realizzazione dell’uomo come comunione delle persone. Abramo ha dovuto fare un lungo itinerario per arrivare a comprendere che la paternità da lui tanto desiderata era chiamato a viverla a un livello radicalmente nuovo, non più solo secondo la natura ma secondo lo Spirito, cioè secondo Dio. Il bello di questo passaggio consiste nel fatto che la paternità secondo lo Spirito non elimina la paternità secondo la natura ma la integra liberandola dalla schiavitù della necessità.
È la libertà che caratterizza la realizzazione dell’uomo secondo lo Spirito. Come nei suoi studi fa vedere molto bene Berdjaev, la libertà si trova e la si scopre solo nell’amore perché ne è sua dimensione costitutiva. L’unione delle persone e la realizzazione dell’uomo avviene nell’amore di Dio Padre. Il male del mondo e persino il principe di questo mondo non può avere su di noi nessun potere se ci lasciamo guidare dallo Spirito che ci innesta nel Figlio in cui la volontà del Padre non è compiuta in un’obbedienza secondo la logica umana ma nell’amore. “Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; egli non ha alcun potere su di me, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco” (Gv 14,30-31).
P. Marko Ivan Rupnik – Fonte