DALLA VITA ALLA MORTE, DALLA MORTE ALLA VITA
Se la parola di Dio deve rispondere ai problemi più assillanti, alle ansie più profonde dell’uomo, deve dirci qualcosa di sicuro, di definitivo, su queste due realtà, così intimamente saldate fra loro, che si chiamano la “vita” e la “morte”, realtà che toccano tutti gli uomini, costituendo quello che il Concilio chiama “l’enigma della condizione umana” (Gaudium et Spes, 18).
Una risposta per risolvere questo enigma ce la offre, insieme a tante altre pagine della Bibbia, la parola di Dio che abbiamo ascoltato nella 1ª lettura e nel Vangelo.
Dalla vita alla morte
Marco ci presenta Gesù accanto a due inferme. Di una non dice l’età, ma solo la lunga durata della malattia che l’affliggeva da dodici anni, senza che le cure, molto costose, le avessero portato giovamento, che anzi continuava a peggiorare. Se la sua vita fosse in pericolo, lo sapranno forse dire i medici: l’uomo della strada cerca di curarsi quand’è malato non solo perché la malattia per lo più lo fa soffrire, ma anche perché ci vede in qualche modo una minaccia alla vita, sempre esposta a pericoli. Quanto alla fanciulla dodicenne, il padre aveva ragione di dire: “La mia figlioletta è agli estremi”, se, prima che finisse di parlare, vennero da casa a dargli la dolorosa notizia: “Tua figlia è morta”.
La vita è un cammino verso la morte. L’autore del libro della Sapienza lo costata e si domanda il perché. L’uomo non può prendere atto con indifferenza di questo fatto, come osserva il Concilio: “Non solo si affligge, l’uomo, al pensiero dell’avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre” (Gaudium et Spes, 18). L’affermazione che segue poco dopo, che l’uomo sarebbe stato esentato dalla morte corporale se non avesse peccato, è suggerita anche dal passo che ora è stato letto: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza… Dio ha creato l’uomo per l’immortalità”.
Perché dunque la morte? “La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo”. Paolo spiegherà: “A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte” (Rm 5,12); “Il salario del peccato è la morte” (Rm 6,23); “Il pungiglione della morte è il peccato” (1 Cor 15,56).
La morte, per lo più preceduta da sofferenze fisiche e morali in chi la subisce, è motivo di dolore per chi ne vede colpita la persona che ama. Anche se nel trambusto della gente che piangeva e urlava nella casa della fanciulla morta doveva esserci una buona dose di folclore, è certo che morte e dolore si richiamano.
Una fanciulla di dodici anni! Sarà bene che ci pensiamo: la morte può sopravvenire a ogni momento, a ciascuno di noi, a me. Se la medicina ha compiuto progressi sbalorditivi nella lotta contro la morte, non l’ha eliminata; anzi nuove insidie, connesse col “progresso”, attentano ogni giorno alla nostra vita.
Dalla morte alla vita
“Dio ha creato l’uomo per l’immortalità”. Il disegno di Dio sarà frustrato irrimediabilmente dall’“invidia del diavolo”? Ascoltiamo ancora il Concilio: “L’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte”. D’altra parte, solo un cieco orgoglio potrebbe indurre l’uomo a pensare di poter liberarsi da sé dal dominio della morte: “Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell’uomo: il prolungamento della longevità biologica non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore che sta dentro invincibile nel suo cuore” (Gaudium et Spes, 18). La risposta ci viene da Gesù, nella maniera più semplice e inattesa: “La bambina non è morta, ma dorme… Presa la mano della bambina, le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!””. E la fanciulla, “subito” passa dalla morte alla vita.
Così, a Nain, col giovane figlio della vedova che viene portato alla sepoltura; così, a Betania, con l’amico Lazzaro, sepolto da quattro giorni; così – e questa sarà la vittoria definitiva sulla morte – quando Gesù stesso risorgerà, “primizia di coloro che sono morti” per darci la garanzia che, “come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1 Cor 15,20.22).
Ci crediamo? Cioè, crediamo alla parola di Dio, che proclama nei termini più aperti l’immortalità e la risurrezione? Molti, anche tra quelli che si professano cristiani, preferiscono mettere fra parentesi la vita futura, il giudizio, il paradiso, il purgatorio, l’inferno. Ma con che diritto ci faremo noi giudici del Vangelo, prendendo quello che è conforme alle nostre vedute e respingendo o lasciando da parte quello che non ci garba?
Che fare della nostra vita?
“Ordinò di darle da mangiare”. Perché la vita miracolosamente restituita doveva essere alimentata e crescere; perché anche l’innocente fanciulla aveva una missione da compiere negli anni, verosimilmente molti, che l’attendevano.
S. Paolo, dopo aver indugiato nel dimostrare e illustrare la risurrezione di Cristo e nostra, conclude: “Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Cor 15,58).
Non si tratta di attendere passivamente il futuro, ma di impegnarci fino in fondo nel compito che ci attende al presente. Le circostanze suggeriscono all’apostolo di esortare la comunità di Corinto a dare generosamente per quella di Gerusalemme, duramente provata dalla carestia. L’argomento più forte egli lo desume dall’esempio di Cristo: “Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”. S. Girolamo ne trae una conseguenza sempre attuale: “Il Signore si dice povero e mendico (cita il Sal 108,17): e chi vorrà vantarsi delle sue ricchezze? Avete motivo di consolarvi, o poveri: anche il Signore è povero con voi”.
Ma qui Paolo ha un altro intento: stimolare i Corinzi a dare, come ha dato Cristo, fino a “fare uguaglianza”. Il programma è ambizioso: non dare qualche briciola, ma mirare a raggiungere l’uguaglianza.
Come i primi cristiani: “Stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2,44-45). Utopia? Sia almeno un motivo di esame di coscienza, un incitamento, uno stimolo. Preparandoci alla liturgia eucaristica, possiamo far nostro l’augurio e la preghiera di s. Girolamo: ““La fanciulla si alzò”. Che Gesù voglia toccare anche noi, e subito ci metteremo a camminare. Anche se siamo paralitici, gravati di colpe e non possiamo camminare, anche se siamo coricati nel letto dei nostri peccati e del nostro corpo, se Gesù ci toccherà subito saremo guariti… Ti prego, Signore, tocca anche noi con la tua mano, rialzaci dal letto dei nostri peccati, e comanda che ci si dia da mangiare. Finché siamo nel letto, non possiamo mangiare: se non siamo in piedi, non possiamo ricevere il corpo di Cristo”.
Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC
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- Colore liturgico: Verde
- Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal. 29; 2 Cor 8,7.9.13-15; Mc 5, 21-43
Mc 5, 21-432
Dal Vangelo secondo Marco
21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 17 – 23 Giugno 2018
- Tempo Ordinario XI
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 3
Fonte: LaSacraBibbia.net
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