Fare memoria di un apostolo, come Bartolomeo, significa tornare alle radici della nostra fede che si fonda sulla testimonianza di chi ha visto e seguito il Nazareno.
Pensiamo che per essere discepoli autentici occorra essere delle persone straordinarie, dei santi, dei super uomini. Non è così: Gesù chiama persone semplici, a volte piene di difetti, ad essere suoi seguaci. Come Bartolomeo/Natanaele, come noi.
Studia la Scrittura, Bartolomeo, la conosce bene, la sa citare, e Filippo lo incontra sotto un fico che, nella tradizione rabbinica, è l’albero sotto cui si medita la dolcezza della Torah. Ed è, tutto sommato, una persona aperta: ha come amico proprio Filippo, il cui nome tradisce ascendenti non proprio di puro giudaismo.
Ma è rigido, prevenuto, acido: Nazareth è un posto dimenticato da Dio e dagli uomini, è uno dei pochissimi luoghi mai citati dalla Scrittura, e ha ragione, cosa può venire di buono da un posto così? Il Messia? Scherziamo? E Gesù, vedendolo, lo loda: sei una persona sincera. Non dice che è una linguaccia, che è uno spara sentenze, no. Gesù vede sempre l’aspetto positivo in noi, anche quando è davvero difficile vederlo! E sottolineare il positivo, sempre, converte i nostri cuori, ci aiuta a crescere, a credere.
Bartolomeo, così duro, si scioglie e professa che Gesù è l’atteso.