Ventottesima domenica durante l’anno
Is 25,6-10/ Fil 4,12-20/ Mt 22,1-14
Chiamati alla festa
“Agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede”.
Detto da me, che sono birichino di natura, questa affermazione, commento al vangelo dei due figli di due domeniche fa sarebbe passata abbastanza inosservata. Detta da Papa Benedetto durante la messa conclusiva della recente visita al suo paese natale lascia davvero stupiti e ammirati e denota la freschezza e lo spirito evangelico di questo grande papa-teologo!
E la liturgia continua sulla linea della contrapposizione fra chi accoglie e chi no, fra chi vive una vita di facciata, anche nella fede, ancora oggi, e chi si rende conto della fortuna immensa di avere ricevuto la chiamata a lavorare nella vigna del Signore o, in questo caso, al banchetto nuziale del Figlio di Dio.
Oggi si parla di nozze, finalmente.
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Banchetto nuziale
La festa nuziale, di questi tempi, non attira molta simpatia.
Per come abbiamo ridotto questo evento, splendido, la decisione di due innamorati di consegnarsi all’Amore, a ripetizione di un cliché molto più simile ad un set cinematografico che ad una vera festa. Capisco che, in questo giudizio, prevale la mia indole orsifera, ma l’esperienza mi ha terribilmente segnato e sono più i matrimoni finto/forzatamente allegri che ho celebrato/cui ho partecipato di quelli autenticamente gioiosi. Forse per una semplice incomprensione di base: la festa non è misurabile dal numero di portare al pranzo o dall’ostentazione del lusso, ma dal cuore e dalla disposizione interiore dei presenti.
Mettetevi nei panni di un ebreo vissuto duemila anni fa: si mangiava forse una volta al giorno e il matrimonio era l’occasione di una vita per uscire da una quotidianità molto dura. Il rito del matrimonio prevedeva una settimana di festeggiamenti e un pasto regale. Banchetto nuziale, allora, richiamava una festa straordinaria e riuscita, la massima espressione della gioia terrena.
Ecco, dice Gesù, incontrare Dio è la più bella festa cui una persona possa partecipare.
Noia mortale
Una bella festa nuziale riuscita, ecco cos’è l’incontro con Dio.
Non un dovere noioso.
Non un obbligo.
Non una penitenza per meritarci il Paradiso che, per giunta, è pure gratuito.
Non un legame parentale di cui vorrei tanto fare a meno.
Una splendida festa.
Porca di quella miseria. Ma come abbiamo ridotto la fede, noi cristiani?
Basterebbe questo per meditare, oggi. Chiederci se la nostra esperienza di fede sia più simile ad una festa o ad un funerale. Per ripartire nella straordinaria esperienza di discepolato.
No, grazie
La parabola raccolta da Matteo mischia diversi piani, salta subito agli occhi, inserzioni derivanti, probabilmente, da altri detti di Gesù. La prima parte racconta del rifiuto degli invitati, troppo occupati dalle cose di questo mondo per pensare seriamente a Dio. Matteo, probabilmente, si riferisce alla parte di Israele che non accetta l’invito (il tema del rapporto fra Dio e Israele come patto nuziale è molto presente nella Bibbia) ma possiamo benissimo attualizzarla: anche noi corriamo il rischio di essere troppo indaffarati per gioire. I luoghi comuni, durissimi a morire e fomentati dai cattolici troppo devoti!, continuano a relegare la fede nelle attività doverose ma noiose, da fare il meno possibile.
Cosa abbiamo di meglio da fare, oggi, del lasciarci amare da Dio?
Abiti strappati
L’inserzione finale di Matteo, derivata da un altro detto di Gesù, sull’invitato cacciato perché vestito in maniera inadeguata, cosa del tutto improbabile avendo appena raccolto gli invitati fra i mendicanti!, pare essere, invece, rivolta a noi discepoli, che ci siamo trovati seduti al tavolo senza averne diritto, figli acquisiti dopo il diniego di Israele.
Anche noi corriamo il rischio di abituarci alla festa, di cadere nella routine della fede.
Anche noi corriamo il rischio di gettare la nostra vita interiore dalla finestra, di non indossare la veste bianca che, pure, ci contraddistingue come discepoli.
Non commettiamo questo errore madornale.
Non rifiutiamo la felicità.